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In questa questione che sembra stupida e triviale si giocherà una buona parte delle speranze di Bologna nei prossimi anni.
Non perché’ questo sia l’unico progetto in cantiere o il più importante ma perché’ in esso si racchiudono tutte le difficoltà e le possibilità di un territorio ricco di tradizione e storia industriale e politica ma che negli ultimi venti anni sembra come annichilita dall’inebriante successo dell’ultimo mezzo secolo ed atterrita dal terrore del cambio di paradigma economico di fronte al quale una classe politica fino a 20/25 anni fa stimata in Italia ed Europa, anche al di là degli steccati ideologici (esemplari i cablo desecretati della Cia anni 70), sembra non trovare soluzioni plausibili.
C’era una cattedrale nel deserto, figlia di un’intuizione felice ma che non è mai riuscita a stare al livello di quello spunto, che stava li, improduttiva, con un debito monstre nei confronti del suo maggiore azionista (Il comune di Bologna) che stentava a trovare una destinazione.
Quella che forse sarebbe stata l’idea più tradizionale e razionale (la costruzione di una cittadella giudiziaria che sarebbe potuta diventare anche una possibilità di realizzo per la parte pubblica) era stata abbandonata per varie motivazioni, non ultima l’affitto pluriennale di un immobile di proprietà di un importantissimo industriale locale da parte del tribunale (Ing. Volta proprietario di 65% della Datalogic e del 100% Hydra S.p.A.) .
Insomma un sunto omnicomprensivo di ciò che non funziona in Italia: burocrazia, l’inerzia dell’esistente, potentati locali.
Proprio per questo la fabbrica italiana contadina potrebbe essere un esempio che anticipa la tanto aspettata ripartenza. Le difficoltà sono state affrontate con intelligenza e fantasia. Ad una serie di cespiti immobiliari che oggi valevano poco si è dato un valore di circa 45 milioni cercando di dare al comune e quindi alla collettività un rendimento del 7% facendoli convergere in una nuova entità che affitterà al parco a tema sul cibo ed ai suoi 30 ristoranti gli spazi una volta ristrutturati, sono stati immessi capitali freschi di rischio per circa 40 milioni (ebbene sì in una avventura immobiliare si rischia e non si mettono 10.000 euro ed il resto lo si fa rischiare alle perfide banche) si è fatto un piano industriale ed I piani sono stati approvati in pochi mesi.
Ora se funzionerà e riuscirà a portare I 5 milioni di spettatori minimi che farebbero raggiungere il punto di pareggio sarà una vittoria della comunità, del management che ci ha creduto e del comune che ha sostenuto in maniera sostanziale l’avventura.
Se fallirà, sarà un fallimento, ma soprattutto per il sistema che questo sistema l’ha creato non per le persone che hanno cercato una soluzione fantasiosa e brillante per uscire dal cul de sac in cui ci si era trovati.
Comunque vada, anche senza il raggiungimento del pareggio, credo che le esternalità positive (ciò che si riverserà sul territorio) sarà comunque estremamente superiore a quello che il territorio avrà investito.
Quindi bravi! Peccato che a nessuno dentro al partito sia venuto in mente di discuterne 5 minuti… magari avremmo potuto trovare prima una soluzione collettiva per un bene di proprietà collettiva ridando allo stesso tempo un ritorno positivo alla comunità ed una credibilità e senso di utilità alla politica.
Come diciamo da 30 anni? Sarà per la prossima volta? Beh, speriamo…