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Abbiamo letto, visto, commentato, sentito commentato, rivisto in tv, letto commenti pre-post Oscar.
Siamo sicuri di averlo capito?
Il film di Sorrentino non contempla posizioni mediane o morbidamente diplomatiche. Al bar qualcuno, che non lo aveva visto, ha capito che si trattasse di una biografia di Maradona con colonna sonora dei Talking Heads, e sempre al bar, non lo stesso, qualcun altra, molto giovane, senza averlo visto (ma avendone sentito raccontare) ha sentenziato: “Ti pare che ci facciamo rappresentare in America da un film di merda come quello?”.
Last, but not least, il nostro Presidente Napolitano… Avrà glissato, noblesse oblige? A sostenere che il film sia ambasciatore all’estero della “bellezza” del nostro Paese..
Oddio, certo. Il Fontanone, con quella luce gialla piena. Quegli androni di palazzi nobiliari, i pini marittimi le cui chiome svettano nel cielo blu, del blu che solo Roma riesca a dare al cielo, e che varrebbero un “Patrimonio Unesco” da soli. Le statue romane, le terrazze dei Parioli e del Trieste-Salario. Quella bellezza sta cantando il film?
O la bruttezza umana, la pochezza, la vacuità, l’insostenibilità dell’essere umano che non ha più niente di Kundera, ma gli è rimasto il vuoto di un pirandelliano Enrico IV “rimastichiamo soltanto le parole dei morti”. Una sorta di coazione a ripetere in cui la fotocopia è sempre più brutta, sbiadita, inconsistente.
Altra domanda: l’hanno capito gli americani? I critici avranno colto il tributo a Fellini, la giostra umana del Tony Pagoda più colto e romanizzato? O avranno fatto come noi italiani, quando guardiamo certi film solo perché siccome ci vediamo un pezzo di Fifth Avenue, possiamo riprovare l’ebbrezza di quando siamo stati di passaggio a New York, che ancora ce li ricordiamo gli “spageti bolognaise” mangiati là, che ci hanno pelato il portafoglio e non erano neanche buoni (però neanche così cattivi)!
La grande bellezza di questo Paese non è forse diventata il ricordo sbiadito di ciò che siamo stati, che non ritroviamo più, che lottiamo per riavere e che le condizioni di vita, l’economia, la politica, il DriveIn, la globalizzazione, ecc.. ci hanno tolto? Tutti ce l’hanno tolt0, tutti tranne noi, naturalmente.
Cazzullo ha scritto un libro che ci ricorda cosa siamo stati, una sorta di madeleine proustiana a rivivere i gloriosi anni ’70 e ’80, quando Seveso, il Caf, la nazionale ci facevano sentire il settimo colosso mondiale. Perché? Essenzialmente perché avevamo un futuro, davanti a noi. Eravamo più poveri, più inquinati, guidavamo la 600 e facevamo ferragosto ad Ostia. Eppure avevamo il futuro davanti a noi.
Oggi? Tutte le terrazze dei Parioli, le citazioni erudite, le statue greco-romane, l’ipad in tasca con l’app per il checkin elettronico, non riescono a farci arrivare a dopodomani.
Consigli per la lettura: Daniela Ranieri, “AristoDem” (Ponte alle Grazie).. Per chi volesse passare dalla pellicola alla carta, rimanendo in tema.
Federica Baraldi
2 Responses to La grande bellezza? Sì, no, forse