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di Claudio Gandolfi
Ha ragione chi sostiene che “senza una migliore qualità del lavoro non ci sarà aumento della competitività (….) e che ora bisogna dirlo, e praticarlo nell’azione di governo, che il lavoro è la priorità. Che alla creazione di nuovo lavoro, e all’innovazione, vanno subordinate le politiche fiscali, gli investimenti, gli indirizzi di politica industriale ed economica”. Per dirla più chiaramente, non possiamo più pensare di produrre all’infinito e con la stessa intensità di un tempo per cui bisogna immaginare uno sviluppo diverso, sostenibile, centrato sulla persona nella sua irriducibile integrità fisica e morale. Non è una sfida economica. E’ una sfida di civiltà, in particolare per chi governa il Paese. E’ questo il punto, ovvero capire e far capire (con la politica) che è in crisi irreversibile il modello consumistico per cui bisogna appunto immaginare altri modelli di sviluppo sostenibili da tutti i punti di vista, dove si produce effettivamente quello che “serve” alla comunità per vivere meglio e non quello che “conviene” al mercato per fare profitto. Basta con i bisogni indotti, che hanno creato almeno da noi un finto benessere, ma consumo consapevole, a misura d’uomo e di portafoglio. Dobbiamo passare da un modello basato sulla “quantità” ad uno basato sulla “qualità”: dei prodotti, dei materiali (riciclabili e riutilizzabili) e soprattutto del lavoro, nella sua dignità, nella sua sicurezza non monetizzabile; una sorta di “slow job”. Le organizzazioni sindacali chiedono giustamente al governo che il “lavoro venga prima di tutto”, ora spetta alla politica (al PD e Renzi in particolare con il Job Act) garantire che “non lo sia a qualsiasi condizione”, superando l’idea cara alla destra del lavoro come baratto (moneta di scambio) e non come valore, come una concessione e non un diritto. Il Partito Democratico deve rompere gli indugi tornando nelle piazze, in mezzo alla gente, nei luoghi di lavoro, nei mercati a dire che per noi “il Lavoro viene prima di tutto, ma non a qualsiasi condizione”, perché l’articolo 1 della nostra Costituzione è stato, è e sarà la nostra guida.