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La presenza di un’imprenditorialità cinese nel contesto dell’economia italiana costituisce un fenomeno dibattuto e controverso, a cui si imputano fra l’altro modalità particolarmente grevi di sfruttamento del lavoro, e che generalmente viene recepita e rappresentata nei termini di un impenetrabile “recinto etnico”. Negli ultimi decenni essa ha conosciuto cospicui sviluppi soprattutto nei settori dell’abbigliamento (segnatamente del pronto moda), del tessile e della pelletteria. Ma qual è il ruolo effettivo degli imprenditori cinesi nei distretti industriali italiani, e qual è, in particolare, nella discussa realtà di Prato? Quali sono le modalità effettive di organizzazione e di produzione delle aziende cinesi presenti sul nostro territorio? Su questo tema martedì 15 aprile si è tenuto al Café de la Paix di Bologna l’incontro con cui valorelavoro ha aperto un vasto programma di iniziative volte ad esplorare il mondo multiforme dell’immigrazione cinese.
Lo ha presentato Amina Crisma, curatrice dell’Osservatorio Cina, sottolineando l’esigenza di introdurre nel dibattito pubblico gli importanti contributi provenienti dal mondo della ricerca, e di contrapporre un’articolata riflessione al preoccupante clima di xenofobia che appare sempre più diffuso nel nostro Paese, dove i discorsi demagogici, soprattutto in campagna elettorale, tendono sistematicamente a rovesciare sugli stranieri in genere e sui cinesi in particolare rabbie e paure generate dalla crisi.
La protagonista dell’incontro, Antonella Ceccagno, esperta della diaspora cinese a cui ha dedicato molti studi rilevanti e docente di Sociologia dei Paesi asiatici e di Lingua e Linguistica cinese all’Alma Mater, ha incentrato il suo discorso – che diverrà fra poco un approfondito saggio sulla rivista Inchiesta – su un’analisi strutturale, ponendo in luce gli elementi specifici risultati decisivi nel determinare i vantaggi competitivi dell’imprenditoria cinese nel quadro dei nostri distretti industriali.
Si tratta, in particolare, di un’elevata flessibilità del lavoro e della ben nota identificazione dello spazio lavorativo e abitativo, che viene deprecata a gran voce a livello mediatico, per qualche breve giorno, quando si verificano terribili tragedie come la strage del primo dicembre scorso (l’incendio del laboratorio in Via Toscana, nel quartiere Macrolotto di Prato, in cui hanno perso la vita sette persone, e altre due sono rimaste gravemente ferite), ma di cui si finge ipocritamente di ignorare la spietata funzionalità produttiva, nell’ambito dell’attuale sistema industriale.
Sono precisamente tali caratteristiche a fare dei cinesi dei terzisti perfetti, capaci di rispondere prontamente a ogni mutevole esigenza del mercato. La forte ostilità che essi incontrano a Prato è ascrivibile al fatto che in tale situazione specifica le aziende cinesi sono divenute produttrici finali del pronto moda, assumendo un controllo della filiera che si avvale anche di relazioni transnazionali, e che si configura come un fenomeno davvero inedito.
Nel dibattito, che è stato accompagnato dalla proiezione di un servizio fotografico sulla vita dei cinesi a Prato realizzato, appositamente per quest’occasione, da Franco Tavanti, sono intervenuti i sociologi Giovanni Mottura e Vittorio Capecchi, direttore di Inchiesta (www.inchiestsonline.it). Mottura, docente per molti anni all’Università di Modena, esperto di problemi dell’immigrazione, è stato fra l’altro direttore della struttura del comune di Bologna per l’integrazione delle persone immigrate, poi chiusa da Guazzaloca. Per quella struttura Capecchi dirigeva la rivista La società multietnica, dove è stata pubblicata nel ‘98 un’importante ricerca su “Lavoro e formazione professionale nelle diverse comunità etniche a Bologna”. Mottura ha sottolineato l’esigenza di ripensare la nozione di “distretto industriale”, a fronte dei mutamenti in direzione dell’internazionalizzazione dei processi produttivi che l’esempio di Prato evidenzia in maniera eclatante. Capecchi, nella sua veste di direttore della rivista di modelli matematici per le scienze sociali Quality and Quantity, i cui autori e lettori sono prevalentemente asiatici, ha evidenziato la rilevanza dell’interesse per l’innovazione tecnologica fra le giovani generazioni cinesi.
Un aspetto particolarmente significativo dell’incontro è stato la qualificata presenza di giovani: la studentessa del corso di laurea in Lingue, Mercati, Culture dell’Asia Juan Chin, a cui va il nostro speciale ringraziamento per essersi fatta tramite degli inviti al dibattito, la dottoranda in Scienze della Formazione Qin Yuan, che sta effettuando un’interessante ricerca sulla seconda generazione, e il presidente di Associna di Bologna Wen-Long Sun, che si sta laureando in ingegneria informatica, e che ha dichiarato la sua disponibilità a collaborare ai nostri programmi.
Li ringraziamo per il fattivo contributo alla discussione, e auspichiamo di realizzare con loro una collaborazione produttiva, nella convinzione che potranno assumere il ruolo di mediatori fra la comunità cinese e la città; ed è proprio a loro, alle loro esperienze e ai loro progetti, che ci piacerebbe dar voce e spazio, in una delle nostre prossime iniziative.
15 aprile 2014
Amina Crisma