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Il filosofo greco Gorgia, di Lentini, vissuto a cavallo fra il quarto e il terzo secolo avanti Cristo, sosteneva che con le parole è possibile imporre qualsiasi opinione, anche se contraria ad ogni evidenza, e la ragione appare del tutto impotente di fronte ad una realtà irrazionale, per cui l’esistenza umana non è guidata dalla ragione ma da impulsi irrazionali. Un insegnamento tanto più vero oggi, dove il colloquio pubblico diretto è sostituito dalla telecrazia mediatica a senso unico, del tutto passiva, senza possibilità di discussione o replica, che consente di manipolare l’opinione pubblica, particolarmente in una situazione politica, dominata, in tutta Europa, da un ambiente populista, anche di sinistra, ma più spesso di estrema destra dove, come sosteneva Goya, “il sonno della ragione genera mostri”.
L’orizzonte è oggi limitato alle difficoltà contingenti, amplificate dal ricorso a “capri espiatori”, che spaziano dagli immigrati ai sindacati, e viene scandito dalle scadenze elettorali, per eleggere partiti e coalizioni di governo che sono state però espropriate del loro potere da tecnocrazie economiche neoliberiste, come la Troika, che prescindono da qualsiasi consenso e legittimano il loro potere non attraverso alcuna elezione, ma unicamente sulla base del motto della Thatcher: “TINA” ovvero “There is no alternative”, non c’è alternativa, lasciando i paesi riottosi in pasto alla grande speculazione internazionale dei “banksters”, come sono state chiamate a Wall Street, già dagli anni ’30, quella decina di grandi banche internazionali (statunitensi, inglesi, tedesche e francesi), che si sono autodefinite “Masters of Universe” (i padroni dell’universo), che dettano legge sul mercato.
Quelle stesse banche, dopo essere state protagoniste della crisi dei “subprime”, sono state più volte incriminate per riciclaggio di denaro sporco e sono attualmente sotto processo negli Stati Uniti in quanto responsabili del maggiore scandalo finanziario della storia, per aver manipolato a proprio vantaggio, e a danno dell’intero pianeta, quello del “fixing” del Libor, dell’Euribor, dei cambi, dell’oro e degli altri metalli preziosi. Ora dovrebbero, secondo le regole europee, sanzionare, con il “giudizio del mercato”, i comportamenti “viziosi” di paesi come la Grecia o i “piigs”, senza naturalmente toccare i comportamenti “virtuosi”, ma in realtà ben più viziosi e irresponsabili, della Germania, colpevole di portare l’Europa verso il disastro della depressione, ma che si ritiene “legibus soluta”, evitando sanzioni anche quando ha violato le stesse feroci regole da lei imposte agli altri paesi.
Ma se guardiamo nel nostro cortile, in Italia, abbiamo assistito a due celebrazioni mediatiche di successi del tutto inesistenti, legati ad una presunta ripresa dell’occupazione, il cui merito andrebbe ascritto all’effetto del “jobs act”. La prima è quella delle ripresa, che in realtà dovrebbe essere addirittura impetuosa, per gli effetti congiunti della crescita statunitense, spinta dalla “facilitazione quantitativa” (il QE della FED, che ha immesso una enorme liquidità stampando moneta e lasciando i tassi in area negativa), dalla svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, dal crollo del prezzo del petrolio a seguito di una vera e propria guerra energetica. Invece i dati di febbraio sui consumi risultano ancora in territorio negativo e la ripresa non può essere sostenuta dalle sole esportazioni, in presenza d’un mercato interno depresso dai tagli dell’occupazione, dei salari e delle pensioni.
Ma anche i risultati sul piano occupazionale, propagandati dal governo come un effetto del “jobs act”, sono intempestivi perché si tratta di dati antecedenti alla sua approvazione e sono stati immediatamente smentiti dalle rilevazioni dell’Istat, che mostrano invece un ulteriore peggioramento dell’occupazione.
Ma va anche rilevato come assisteremo nei prossimi mesi ad un aumento dei contratti a tutele crescenti (ma è un eufemismo per nascondere il fatto che le tutele vengono invece tolte) a tempo indeterminato e a una diminuzione dei contratti a termine, in quanto questi ultimi offrono più garanzie, sia pur temporanee, dal licenziamento, perché occorre attendere la scadenza, mentre i primi sono sempre licenziabili immediatamente, perché basta inventare una causale falsa e pagare una piccola ammenda, senza problemi. Anche la reintegrabilità dei licenziamenti discriminatori (per motivi politici, sindacali, di gravidanza, di tutela ambientale ecc.), con la nuova legge è di fatto impraticabile, perché occorre fornire la cosiddetta “probation diabolica”, cosa evidentemente impossibile. Quei diritti democratici di cittadinanza che erano entrati in fabbrica con lo “statuto dei lavoratori”, vengono nuovamente cancellati e restano fuori dai cancelli dei luoghi di lavoro, trasformando chi vi lavora da cittadino in suddito, esposto ai ricatti di un ristabilito “regime di fabbrica”: il danno è per tutti, per i vecchi lavoratori, esposti alla novazione del contratto in una situazione di instabilità lavorativa, e per i nuovi, ai quali la nuova legge non offre alcuna effettiva tutela. Ma la conseguenza sarà un ulteriore allontanamento dal sindacato, per paura di ritorsioni della azienda.
Dunque oggi è importante uscire dalle diatribe contingenti. La situazione di crisi e di radicali e rapidissime trasformazioni economiche esige una seria e approfondita indagine sulle cause che l’anno determinata e uno sguardo lungo, capace di progettare un futuro che è stato sostanzialmente espunto dal dibattito odierno. Dobbiamo ricordare che la sola cosa che consente di motivare l’esistenza della sinistra e del sindacato è il rifiuto del “TINA” neoliberista e la capacità di immaginare e progettare un sentiero alternativo rispetto ad una realtà odierna sempre più invivibile e distruttiva. Occorre un progetto di trasformazione verso un’economia ambientalmente e socialmente sostenibile. Dobbiamo offrire una speranza nel futuro anche alle nuove generazioni. “Chi non prevede le cose lontane si espone a infelicità vicine”, diceva Confucio. Da ciò la necessità di approfondire l’analisi puntuale dei processi in atto, come condizione indispensabile per progettare assieme un diverso futuro. Questo libro si pone in questo orizzonte, come una piccolissima tappa d’un lavoro di ricerca e informazione da portare avanti assieme.
Per prelevare il libro in formato pdf: La (contro)riforma del lavoro – Giancarlo Erasmo Saccoman
chi fosse eventualmente interessato ad acquistare il libro cartaceo (attualmente disponibile solo sul “job act”), lo può fare sul sito di Punto Rosso, all’indirizzo http://www.puntorosso.it/