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COSA RESTA DA FARE ALLA LETTERATURA

Nell’ambito della xiv edizione di Letterature Festival Internazionale di Roma, diretto da Maria Ida Gaeta nella serata del 26 giugno, in Piazza del Campidoglio, gli scrittori invitati erano Emidio Clementi, Maurizio De Giovanni e Vinicio Capossela con la presenza dell’attrice Isabella Aragonesi ad introdurre alcuni brani dell’ultimo libro di De Giovanni. Gli autori si dovevano confrontare con un loro testo inedito sul tema “ Cosa resta da fare alla letteratura” citando un intervento di Umberto Saba del 1911.

Il primo a salire sul palco è stato Emidio Clementi, scrittore e musicista. La scrittura, il linguaggio, lo sguardo di Clementi provengono da uno stato giovanile di inquietudine e di fuga, vista come scelta coraggiosa, che lo porta, dopo anni di silenzio e di noia di se stesso, ad accumulare così tante parole da riuscire in seguito a raccontare  la propria e le vite degli altri con disincanto, con la consapevolezza che niente è come sembra.E’ un viaggio di andata, spinge ad approfondire, ma esorta alla leggerezza dello scrivere e del leggere.  Rende più chiari i lati oscuri dell’anima e oscura quelli chiari.

Poi è la volta di Maurizio De Giovanni, introdotto dalla Aragonese che ci racconta il ritorno del commissario Ricciardi. Da buon napoletano,  per De Giovanni la scrittura è contaminazione con altre arti, la letteratura può servire a farci dimenticare un presente terribile, come quello di due ragazzi che, riparandosi in un rifugio sotto i bombardamenti, riescono, grazie al racconto di una persona anziana, a trascendere, allontanarsi dalla loro dimensione di pericolo. Invece di sentire il rumore degli aerei e  delle bombe, sentono il rumore del mare, Per De Giovanni la letteratura può servire a rivedere i propri convincimenti, un semplice racconto può far cambiare modo di vedere e di pensare, ti rimette in gioco con tutto quello che comporta.

Una volta finita la lettura di De Giovanni, ecco Capossela. Chi segue Capossela sa che nel giro di poco, alla prima strofa di una canzone o dopo poche righe di un  suo libro, si troverà a pensare a vecchi transatlantici, antichi strumenti a manovella, trapezisti, giocolieri, campi nomadi e avvertirà nella bocca il sapore della polvere mista all’ouzo. Per Capossela la scrittura è un viaggio alle origini, alle terre dei genitori, un percorso intrapreso in musica e terminato in letteratura. Con quel filo di voce e   pochi accordi, riesce a dare un respiro poetico a una… trebbiatrice volante. Nel romanzo di Capossela non è solo un macchina  agricola che serve solo come mezzo per battere il grano, ma diventa anche un posto magico, da abitare e in grado di dare emozioni.

Tutto sommato la risposta che gli artisti hanno dato è quella che la letteratura,  che sia un viaggio di andata o di ritorno, che racconti la realtà o si inventi delle storie, serve e servirà a pettinare le menti e in alcuni casi, quando lo sono troppo, a spettinarle.

A fine serata mi sono avvicinato a Capossela e sorridendo, gli ho detto “ Certo sei un bel soggetto, riesci a dare un respiro poetico anche alla trebbiatrice. Non vedo l’ora di vederne una per “ struggermi di sentimento “.  “ Perché, non la trovi poetica?” mi ha risposto stranamente affabile.

Mentre me lo chiedeva, non so neanche il perché, mi è venuto da pensare che l’unico Family day a cui mi piacerebbe partecipare, sarebbe quello delle trebbiatrici. Tirate a lucido, con i loro bei rotori, alberi a camme, amiche dell’uomo e amiche fra loro.

“ Si, lo è” ho risposto.

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