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di Maria C. Fogliaro
Crollata − sull’onda della crisi economica mondiale esplosa fra il 2007 e il 2008, e che ancora non passa − l’illusione a lungo coltivata che la globalizzazione neoliberista potesse essere governata, è emerso, nelle riflessioni degli analisti più attenti, che la vera forza della destra economica non sta nell’aver affermato il primato dell’economia sulla politica, ma ha a che fare con l’essenza stessa del suo paradigma: l’essere cioè una Weltanschauung, che ha conquistato le menti e imposto la propria egemonia anche alle élites dei partiti della sinistra storica, che ne hanno abbracciato idee, politiche e condotte. Consapevoli della necessità di una più esatta conoscenza del mondo in cui viviamo, la CGIL − Emilia-Romagna e Editrice Socialmente, in collaborazione con la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, hanno organizzato l’11 gennaio a Bologna il convegno dal titolo Cultura, lavoro, sindacato, che è stato moderato da Fiorella Prodi (segretario generale della Filcams−CGIL Modena).
Cesare Minghini (presidente di Editrice Socialmente), aprendo l’incontro, ha osservato che il lavoro e le sue trasformazioni «costituiscono il baricentro per leggere lo stato di avanzamento o di arretramento della civiltà contemporanea». Per adempiere alla «difficile “missione” di coniugare azione quotidiana e rappresentanza generale» il sindacato, per Minghini, deve investire − anche attraverso la costruzione di una rete intellettuale con soggetti esterni al sindacato − in una nuova elaborazione politico-culturale in grado sia di rappresentare il lavoro oggi, sia di sviluppare una nuova idea di società.
La vittoria del paradigma neoliberale alla fine degli anni Settanta − ha affermato Carlo Galli (filosofo politico e deputato) − ha inaugurato una nuova era, la nostra, che ha rovesciato radicalmente l’orizzonte culturale e civile in cui era nata la Costituzione repubblicana, imponendo una nuova gerarchia di saperi e di poteri, che hanno snaturato il lavoro come «dimensione in cui si realizza il soggetto» (come sancito nell’articolo 1 della Carta). Oggi, davanti ai pessimi risultati delle idee della destra economica, il sindacato − ha affermato Galli − potrà combattere la fondamentale battaglia del nostro tempo contro il neoliberismo e sperare di ribaltare l’ordine attuale dei problemi solo se continuerà a essere «generale» e se sarà in grado di affermarsi come «proprietario ed elaboratore di una cultura politica, sociale, economica alternativa».
Per Vando Borghi (sociologo dell’Università di Bologna) nello scenario attuale, che è quello del «capitalismo reticolare», si dovrebbe pensare con grande serietà al «diritto alla ricerca» e iniziare a lavorare per una «cittadinanza cognitiva», che conviva accanto alla cittadinanza politica e a quella sociale. Poiché la conoscenza ha un ruolo centrale nelle vite di tutti e le nostre società sono caratterizzate da un rapporto asimmetrico tra «chi sa» e «chi non sa», il sindacato potrebbe svolgere un ruolo decisivo per rovesciare questo rapporto e contribuire a «far rivivere una vecchia idea, cioè quella secondo la quale per prendere parte a una società democratica occorre essere informati».
Il sindacato si dovrebbe interrogare, inoltre, − secondo Ota de Leonardis (sociologa dell’Università di Milano Bicocca) − sulla questione fondamentale della svalutazione del valore del lavoro oggi, un fenomeno «che è culturale, nel senso che corrisponde a una trasformazione del significato sociale del lavoro», e che è passato attraverso la disarticolazione del lavoro e dei collettivi di lavoro. In particolare, il sindacato dovrebbe − a partire da un ripensamento delle sue stesse categorie sul lavoro − «funzionare da cassa di risonanza delle soggettività del lavoro», costruendo gli spazi e le condizioni per una conoscenza sociale del lavoro che prenda forma dai diretti interessati, ricostituendo «le condizioni di quella che noi studiosi chiamiamo la capability for voice», e contribuendo in modo decisivo a fissare «la conoscenza pubblica delle questioni del lavoro».
Per Carlo Donolo (sociologo della Sapienza – Università di Roma) in una situazione storica come quella attuale, nella quale «il lavoro non è più centrale culturalmente e come valore, e la base organizzabile si è contratta quantitativamente, ma soprattutto si è internamente differenziata», le nuove forme del lavoro richiedono rapporti, linguaggi, forme differenti rispetto al passato. Poiché il sindacato è rimasto l’unica grande organizzazione con radicamenti territoriali stabili, nonostante tutte le difficoltà del momento deve iniziare a occuparsi della rappresentanza di lavori che sono sfuggenti, labili, dispersi, radicalmente differenti nell’organizzazione dal lavoro manifatturiero di fabbrica che tradizionalmente e storicamente ha rappresentato. Se non risponde a questa domanda di rappresentanza − afferma Donolo − il sindacato «è destinato a un lento e inesorabile declino».
Sulla questione fondamentale della rappresentanza delle nuove forme di lavoro ha incentrato il suo intervento anche Nadia Urbinati (politologa, Columbia University), che ha auspicato per il sindacato il ruolo di «agente di rappresentanza e di diritto per coloro che − poiché fuori da un’organizzazione del lavoro come quella tradizionale − non hanno più voce». Per Urbinati è l’idea dell’emancipazione legata al lavoro che deve essere oggi recuperata. In tal modo da questa crisi profonda, che ha investito anche l’organizzazione sindacale, «può nascere l’opportunità per una rivalutazione del lavoro come luogo simbolo di diritti politici, civili e sociali fondamentali».
Per Vincenzo Colla − che ha chiuso le fila di un intenso dibattito che ha coinvolto i numerosi sindacalisti e studiosi presenti al convegno − avviare una riflessione che rimetta al centro del discorso pubblico il valore del lavoro è indispensabile per la stessa qualità democratica della società. Assistiamo − ha affermato Colla − a «uno scontro di potere inedito» in cui «non c’è più un’autonomia politica che è in grado di governare un capitalismo globale che ha una forza sulla politica mai vista», e che non concepisce più il ruolo di mediazione dello Stato o di altri soggetti come il sindacato. «Abbiamo una concentrazione di potere economico − ha affermato Colla − che ha assorbito la forza del potere politico», che «ha dato un colpo ai diritti del lavoro e quindi alla capacità di reazione collettiva come mai è successo» dall’approvazione della Costituzione in poi. È necessario quindi, per Colla, ricostruire i diritti di cittadinanza, a partire dal diritto del lavoro; ma oltre all’elaborazione teorica servono anche delle azioni concrete, che sono sempre possibili, come testimonia l’approvazione del Piano per il lavoro in Emilia-Romagna.