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1946. L’anno delle donne

di Maria C. Fogliaro

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Il 1946 segnò un passaggio decisivo, e per molti aspetti rivoluzionario, nella storia politica e sociale del nostro Paese. Per la prima volta, infatti, in occasione delle elezioni amministrative di marzo e del referendum istituzionale del 2 giugno – che diede vita alla Repubblica e all’Assemblea Costituente –, le donne poterono esercitare il diritto di voto attivo e passivo, che era stato loro formalmente riconosciuto fra il 1945 e il 1946. La partecipazione femminile, in occasione delle due diverse tornate elettorali, fu entusiastica: le cronache di quei giorni raccontano di lunghe file di donne, spesso con i figli in braccio, in coda ai seggi fin dalle prime ore dell’alba.

Il pieno riconoscimento alle italiane dei diritti politici non fu – come spesso si è affermato – una concessione dovuta al loro contributo fondamentale nella guerra di liberazione. Fu invece il frutto di una conquista, certamente accelerata dal protagonismo femminile nella Resistenza, ma che non può essere disgiunta dalle lotte del movimento suffragista italiano, fin dal XIX secolo impegnato contro radicate obiezioni all’emancipazione che confinavano le donne al governo della casa e consideravano «follia» la questione dei diritti femminili. Un percorso lungo e irto di ostacoli, dunque, che in Italia vide i movimenti femministi – con forti radici sia nel progressismo risorgimentale, sia nel movimento operaio – impegnati oltre che sulla questione del diritto di voto, anche sui fronti della parità salariale e del diritto alla ricerca della paternità per le ragazze madri.

La spinta verso la cittadinanza femminile ebbe la sua prima e più importante manifestazione pubblica con la presentazione in Parlamento, nel 1877, della prima petizione a favore del voto femminile da parte di Anna Maria Mozzoni (milanese, di formazione mazziniana, approdata in seguito a posizioni socialiste), che fu anche la redattrice nel 1906, per il «Comitato pro suffragio femminile», di un’altra fondamentale petizione al Parlamento, che ricevette l’appoggio di Giolitti, presidente del Consiglio dei Ministri, e che portò alla costituzione di una Commissione ministeriale nell’ottobre del 1907.

Ma fu solo con la fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale che la questione della partecipazione femminile alla vita pubblica – al centro delle battaglie di associazioni femministe sia d’ispirazione comunista e socialista, come l’UDI (l’Unione donne italiane, nata a Roma nel settembre del 1944), sia cattoliche, come il CIF (Centro Italiano Femminile), che faceva capo all’Azione Cattolica – trovò piena e concreta attuazione dapprima con il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 31 gennaio 1945 che conferiva il diritto di voto alle italiane, e poi col decreto n. 74 del 10 marzo 1946 che sanciva il loro diritto all’elettorato passivo.

Per celebrare i settant’anni del voto alle donne il 23 maggio la CGIL Emilia−Romagna ha organizzato un incontro – presieduto da Vincenzo Colla (segretario generale CGIL Emilia−Romagna) – dal titolo La conquista del voto per le donne, al quale hanno partecipato Carla Cantone (segretario generale della FERPA, la Federazione europea dei pensionati e delle persone anziane), Valeria Fedeli (vicepresidente del Senato), Antonella Raspadori (segreteria CGIL Emilia−Romagna), Anna Salfi (presidente Fondazione Argentina Bonetti Altobelli), Luciana Serri (consigliere regionale Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna) e Serena Sorrentino (segreteria CGIL nazionale).

Partendo da un’attenta ricostruzione del cammino della cittadinanza delle donne in Italia – che si è soffermata anche sui percorsi biografici di alcune delle protagoniste appartenenti al movimento suffragista, e al mondo politico e sindacale italiano – nel corso della tavola rotonda si è voluto dare rilievo innanzitutto all’idea che l’allargamento della rappresentanza alle donne sia stato una faticosa conquista di tutte le donne italiane, al di là degli schieramenti ideologici e partitici. Si è poi voluto evidenziare il ruolo risolutivo dei due principali leader politici dell’epoca – De Gasperi e Togliatti –, i quali, anche per consolidare il consenso nei confronti della nascente democrazia, superarono lo scetticismo (e in alcuni casi l’ostilità) dei rispettivi partiti e appoggiarono completamente le rivendicazioni sui diritti femminili. Infine, si è precisato come l’affermazione del suffragio femminile abbia avuto il suo principale fattore propulsivo nell’accesso delle donne al lavoro, fonte di autonomia e d’indipendenza, nonostante che i pregiudizi e le condizioni lavorative del tempo penalizzassero le donne in termini di salario e di accesso alle professioni.

La questione della partecipazione femminile alla vita pubblica ha impegnato, fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, gruppi motivati e sempre più numerosi di donne, ma anche di uomini, le cui battaglie per il suffragio universale hanno finito per incrociare i nodi più spinosi dell’intera condizione femminile in Italia (oltre al diritto di voto, il diritto all’istruzione, il diritto di famiglia, il divorzio). L’affermazione della figura della «donna cittadina», che sceglie in totale libertà i propri rappresentanti e che può decidere di rappresentare – essa stessa – il popolo nel Parlamento sovrano, ha avuto un valore simbolico, politico, culturale e sociale cruciale. Ancora oggi, però, nonostante le importanti conquiste, quel percorso di emancipazione non è stato compiutamente realizzato e quella di un «balzo all’indietro» è una prospettiva sempre presente, e da contrastare con fermezza.

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