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Condannato a vivere

di Maria C. Fogliaro

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Asciutto e muto è il dolore, quando è oltre ogni umana sopportazione. A questo si era ridotta l’esistenza di Lee Chandler (Casey Affleck, meritassimo premio Oscar come migliore attore protagonista): senza gioia, senza affetti, senza scopo, in asfittica attesa del nulla. Se qualcuno degli inquilini dei condomìni del quartiere alla periferia di Boston dove Lee lavorava come custode e factotum avesse saputo guardare oltre i silenzi e i suoi modi scontrosi, avrebbe visto un uomo a cui era stata strappata l’anima. Fu una telefonata, arrivata improvvisa in un freddo giorno d’inverno, a rompere la routine solitaria − fatta di tubi da riparare, impianti elettrici da sistemare, e lamentele varie cui tenere testa − dell’impiegato tutto-fare. Suo fratello Joe (Kyle Chandler) era morto, e per Lee fu l’inizio del rientro a casa più difficile e faticoso che si possa immaginare.

È un ritorno alle origini di un dramma umano e familiare quello di cui narra Manchester by the Sea (USA, 2016, 137’). L’attraversamento di una terra seminata di dolore, nella quale per Lee non c’è soltanto la sofferenza per la morte appena giunta dell’amatissimo fratello, ma il tormento per uno stupido imperdonabile errore che gli ha strappato i suoi tre figli e ha annientato il suo matrimonio, distruggendo la sua vita per sempre. Un fatto che, quando avvenne, per la sua crudele insensatezza scosse tutta la popolazione di Manchester-by-the-Sea, e determinò la fuga di Lee a Boston, lontano dai ricordi, dagli affetti, e dal mare che tanto aveva amato.

È con tutto questo dolore che l’uomo si confronta una volta tornato a casa, dove è costretto a fermarsi più di quanto avesse inizialmente previsto. Perché le basse temperature invernali del Massachusetts settentrionale, che non consentono di scavare il terreno per seppellire la bara del fratello, gli impongono di rimandare il funerale. E soprattutto perché, per rispettare le volontà testamentarie di Joe, dovrebbe occuparsi di Patrick (Lucas Hedges), il nipote adolescente al quale era stato profondamente legato.

In direzione opposta e contraria rispetto a quella in cui soffia il vento del nostro tempo, il bellissimo film scritto e diretto da Kenneth Lonergan non si produce in una esibizione sfrontata di sentimenti, lacrime, gesti eclatanti, buone azioni, e intimi segreti, ma si sofferma sui silenzi, sui non-detti, sulle sensazioni, che i protagonisti − seguiti da vicino dalla macchina da presa − ci trasmettono con pudore, senza quasi bisogno di dialoghi. Per tutto il film Lee non parla mai della tragedia che lo ha colpito (della quale sappiamo tramite i flashback della regia), e per la quale è incapace di perdonarsi e di accettare il perdono che Randi (Michelle Williams), la sua ex moglie, sinceramente gli offre. Non affronta mai il senso di inadeguatezza e di paura che lo assale di fronte alla richiesta del fratello morto di fare da padre al nipote. Non ce ne è bisogno, perché tutto − volti, gesti, il paesaggio, la città, le strade, il cielo, il mare, la barca di famiglia «Claudia Marie», la musica di Lesley Barber, la fotografia di Jody Lee Lipes, la scelta stessa di Casey Affleck nel ruolo di Lee − in Manchester by the Sea si compone in un equilibrio perfetto, e parla. È come seguire la corrente del destino, nella quale solo l’indefinito è certezza.

Alla fine del film quello che sappiamo è che niente potrà mai più far ritornare Lee a quella felicità che si è intravista nella scena che apre il film, nella quale lo si vede, insieme a Joe e a un Patrick ancora piccolo, a bordo della «Claudia Marie» in un’atmosfera trasognata. Tuttavia non si può non sperare che il mare, che è sempre lì a ricordare la mutevolezza e insieme l’eterno perpetuarsi di un cosmo che esiste in sé e per sé, possa ridestare in Lee la sua forza d’animo e portare nel suo cuore un po’ di pace e di tranquillità.

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