Alessia Amighini: Il ruolo dell’Italia nella BRI (Belt and Road Initiative)
BRI è un grande piano infrastrutturale di portata intercontinentale che non si limita alle infrastrutture di trasporto, ma include anche a pieno titolo quelle logistiche, digitali e finanziarie per aumentare la connettività dei paesi coinvolti, soprattutto della Cina, dell’Asia centrale e dell’Europa. In contrasto con l’aura “romantica” dell’antica Via della seta, per la realizzazione di BRI sono state raccolte ingenti risorse finanziarie veicolate attraverso il Silk Road Fund (40 miliardi di dollari) e la Asian Infrastructure Investment Bank (100 miliardi di dollari), entrambe iniziative cinesi destinate a finanziare i progetti di investimento.
L’Italia è uno snodo strategico nella BRI, uno dei più importanti tra le oltre sei decine di paesi coinvolti. Tuttavia, questo ruolo centrale non è motivato da semplici ragioni commerciali (cioè dal suo essere la porta di accesso all’Europa dal mare). E’ vero che è il terzo paese europeo per traffici gestiti, con 477 milioni di tonnellate, pari al 12,8 per cento del totale (dati Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) e questo aiuta a spiegare il grande interesse della Cina ad intensificare le relazioni con l’Italia, con particolare attenzione alla collaborazione nei settori dei traffici portuali, della logistica e delle spedizioni. Il pragmatismo cinese suggerisce infatti di guardare alle sponde italiane sul Mediterraneo come sbocco strategico per collegare i commerci marittimi provenienti da Oriente attraverso il canale di Suez con Austria, Germania, Italia, Svizzera, Slovenia e Ungheria, facendo leva sull’interesse di tutti i suoi porti come alternativa rilevante ai grandi terminali dell’Europa settentrionale. Il nord Adriatico presenta meno difficoltà rispetto all’alto Tirreno, in quanto la conformazione orografica e le difficoltà infrastrutturali a causa delle numerose gallerie ferroviarie o stradali non facilitano lo sviluppo di ulteriori linee logistiche.
In questa prospettiva, il vantaggio geo-economico dell’Italia come accesso all’Europa continentale è ulteriormente aumentato (e non diminuito) dopo agli ingenti investimenti cinesi nel Pireo (i due terzi del porto di Atene sono stati acquisiti dalla cinese Cosco) diventato ormai principale hub dei commerci cinesi in Europa[1]. Ne è prova, in mancanza di porti adeguati alla mole dei traffici attesi sulle coste italiane, il tentativo cinese, contrario a qualunque logica di efficienza economica e logistica (perché richiede il trasbordo da mare a terra), di realizzare un corridoio balcanico, il Pireo-Budapest (progetto che già gli austriaci avevano ipotizzato più di un secolo fa – ferrovia Salonicco-Novi Pazar-Pest – per ottenere una via logistica sul mar Egeo nel caso di blocco dell’Adriatico).
L’interesse cinese per i porti italiani, storicamente rilevante, ha conosciuto un’intensificazione nel corso dell’ultimo anno, proprio in considerazione della strategicità della piattaforma logistica della Penisola nel quadro della BRI. Pechino si è già assicurata una presenza diretta nel panorama logistico ligure, attraverso una partecipazione dal 2016 del 49,9% del container terminal di Vado Ligure (40% attraverso COSCO Shipping e 9,9% in capo al Porto di Qingdao), dove si sta costruendo una nuova piattaforma che sarà operativa per la fine del 2019, dotata delle più recenti tecnologie in termini di automazione e in grado di accogliere navi di grandi dimensioni. Interesse è stato dimostrato inoltre per le infrastrutture portuali di Genova e Savona, con la recente visita di esponenti del Porto di Qingdao e con la firma nel mese di marzo 2019 di un accordo di cooperazione con la CCCC (Chinese Communications Construction Company), finalizzato alla realizzazione di opere dirette al rafforzamento del sistema logistico ligure. Pechino rappresenta peraltro già il 30% dell’interscambio complessivo dei due scali. Sul versante adriatico, esiste da tempo un’intensa cooperazione con Pechino. Trieste fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. La China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino, mentre il gigante CCCC intende impegnarsi con un’ingente esposizione finanziaria (pari a circa 1,3 miliardi di euro) nella realizzazione di una banchina alti fondali nel porto di Venezia. Sempre nell’Adriatico, nel 2018 la China Merchant Group ha investito 10 milioni di euro nel porto di Ravenna con l’obiettivo di rendere la città bizantina l’hub europeo dell’ingegneria navale e dell’Oil & Gas (settore strategico e sensibile incluso nel documento europeo sullo screening degli investimenti a cui l’Italia non ha aderito).
Oltre i commerci, il grande ruolo geopolitico dell’Italia nella BRI deriva dal ritorno del Mediterraneo a una posizione centrale del mondo. Il Mediterraneo non è solo crocevia delle rotte marittime internazionali Sud-Nord ed Est-Ovest, che collegano, rispettivamente, il Nord Africa con il Nord Europa e l’Asia con le Americhe attraverso l’Oceano Atlantico. Esso è diventato il centro delle rotte dell’energia che riforniscono l’Europa, in cerca di fonti alternative alle risorse provenienti dalla Russia. E’ inoltre il centro di reti internazionali di produzione che si snodano tra l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Turchia e il Marocco.
Il grande interesse cinese per un maggior coinvolgimento dell’Italia nella BRI spiega la firma italiana di un Memorandum of Understanding (MoU) con la Cina per la cooperazione bilaterale nella realizzazione della BRI, avvenuta nel corso della visita del presidente cinese Xi a Roma il 21 marzo 2019 ha attirato l’attenzione delle cancellerie di mezza Europa, dell’UE e di Washington, sin dal suo primo annuncio lo scorso ottobre. Paese fondatore dell’Unione e tuttora tra i pilastri dell’Europa unita, nonché membro fondatore della NATO, l’Italia è stato il primo paese del G7 a firmare un documento d’intesa con Pechino. Come tutti gli altri MoU firmati dalla Cina, gli ambiti di cooperazione sono gli stessi 5 che costituiscono gli obiettivi ufficiali della BRI, vale a dire: coordinamento delle politiche, connettività e infrastrutture, libero scambio, integrazione finanziaria e scambi culturali. Per questo l’MoU tra Italia e Cina ha attirato le critiche sia di Washington, per i timori concreti di un’ingerenza cinese in settori strategici (come la tecnologia 5G, le infrastrutture e le reti in cui la Cina chiede una maggior presenza) e per le conseguenze che tale ingerenza potrebbe avere sul ruolo dell’Italia nell’alleanza Nord-Atlantica, sia di Bruxelles, che da tempo cerca di costruire una posizione condivisa in Europa sul futuro delle relazioni economiche con Pechino.
A fronte delle evidenti opportunità che un maggior inserimento dell’Italia nella BRI comporterebbe, per aumentare il ruolo della penisola nei traffici europei diretti e provenienti dall’Asia, rimangono delle criticità legate sia al significato e alle possibili conseguenze geopolitiche dell’MoU, ma soprattutto alle modalità di coinvolgimento del paese. A tutt’oggi, infatti, non sembra essere emersa una vera e propria visione strategica che porti a massimizzare il beneficio nazionale, al di là di singoli progetti del nord Tirreno (con i porti di Genova) e del nord Adriatico (con l’alleanza dei porti del nord Adriatico), senza una vera e propria priorità sugli investimenti nell’intermodalità necessaria a renderli sensati e sostenibili. BRI impone una attenta riflessione sul futuro dell’intera portualità italiana, inclusi i grandi porti del Sud: Gioia Tauro, sebbene abbia perso progressivamente volumi di traffico, e il vero hub naturale italiano – la Puglia con il suo porto più grande, Taranto. Manca inoltre una visione complessiva che includa i poli logistici del nord Italia, centrali nel quadro delle reti di trasporto TEN-T in quanto posti all’incrocio del Corridoio mediterraneo e del Corridoio Reno-Alpi. Ricordiamo l’esperienza dell’interporto di Mortara, da cui parti nel novembre del 2017 un primo (e ultimo) convoglio merci diretto a Chengdu nella Cina sudoccidentale. La strategicità dell’infrastruttura è rilevabile anche attraverso la considerazione dei tempi di percorrenza: il tragitto tra Mortara e Chengdu si aggira tra i 17 e i 19 giorni, nettamente inferiore ai 45 giorni necessari sulla rotta marittima. Inoltre, se da un lato il percorso via mare Rotterdam-Shanghai serve in modo inefficiente i territori dell’entroterra europeo e cinese dove sono dislocate importanti produzioni manifatturiere, dall’altro la linea Mortara-Chengdu avrebbe garantito il collegamento tra due centri nevralgici in territori caratterizzati da una forte vocazione manifatturiera. Mortara riesce infatti a coprire le esigenze logistiche lombarde e del Nord Italia in generale, mentre la nuova area di Tianfu serve la Chiengdu Hi-tech Industrial Development Zone[2].
Creare davvero un sistema integrato della portualità e della logistica italiana che tenga conto dei vantaggi di posizione del paese nella BRI è un’occasione per tutto il paese, dal momento che nel corso della storia, le infrastrutture che migliorano la connettività hanno sempre agito da volano di sviluppo. Tali vantaggi sono al momento senza sostituti in paesi limitrofi, ma il ritardo della progettualità italiana ha suggerito alla Cina di iniziare a investire in snodi alternativi, in Francia (Marsiglia) e in Spagna (Valencia), per creare potenziali alternativi, sebbene inefficienti, alle rotte che potrebbero transitare per l’Italia.
[1] Amighini A., Porti italiani lungo la via della seta, Lavoce.info, 15 luglio 2016.
[2] Amighini A., Italia-Cina, un treno da non perdere, Lavoce.info, 6 dicembre 2017
ALESSIA AMIGHINI
(a cura di Amina Crisma, in collaborazione con www.inchiestaonline.it )