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Una riflessione sul ruolo e sugli interventi che il mondo delle professioni e degli ordini professionali può mettere in campo per affrontare la crisi.
Premessa: il sistema contributivo universale (INPS) non si avvale del sostegno di coloro che versano contributi alle Casse Professionali (Cassa Forense, Cassa Notai. Cassa dei revisori dei Conti, Inarcassa ecc.). A differenza di ciò che avviene per il Sistema Sanitario Nazionale, agli iscritti a tali casse è riconosciuto un privilegio. Esempio: se si stipula una assicurazione sanitaria privata, le tasse destinate a sostenere il servizio sanitario nazionale debbono comunque essere versate. Lo Stato non consente neanche di detrarre o dedurre il premio della polizza. Per i contributi previdenziali, invece, l’iscrizione ad una delle Casse speciali, consente di non versare i contributi all’INPS. Ciò perché la scelta “egoistica” di una previdenza separata, si ritiene giustificata dalla necessità di preservare il decoro e la continuità di tali professioni.
Di fronte all’eccezionale emergenza che stiamo vivendo, tuttavia, le iniziative delle Casse finora sono state per lo più inconsistenti, essendosi tradotte nella semplice posticipazione dei contributi da versare.
Come in ogni sistema contributivo, il versamento dei contributi è volto a sostenere le pensioni di chi ha cessato l’attività lavorativa. In un momento storico, quale è quello attuale, tuttavia, il rischio di cessazione delle attività, in modo duraturo o strutturale, è concreto; soprattutto per le fasce più fragili dei professionisti in attività. Attenzione: più fragili, non vuol dire meno competenti o meno bravi ma semplicemente meno tutelati: si pensi alla differenza tra chi ha ereditato uno studio dal genitore e chi ha intrapreso in proprio o tra chi ha una casa di proprietà nel comune in cui esercita la professione e chi non la ha, ecc.
Il concreto rischio è che una generazione di professionisti, magari con ottima formazione alle spalle e di grande potenziale, sparisca, per l’impossibilità di reggere questo tormentato periodo, in cui – a fronte della permanenza delle spese (abbonamenti software, affitti dello studio o anche della casa nel Comune in cui si lavora, attrezzature, contributi previdenziali obbligatori ecc.) – c’è un inevitabile abbattimento (se non azzeramento) dei ricavi.
IPOTESI d’INTERVENTO: introduzione di un contributo di solidarietà, a carico dei professionisti che hanno cessato la loro attività – magari prevedendo un floor reddituale, incrociato con la situazione patrimoniale, in modo da non penalizzare i meno abbienti – che vada a favore di coloro che sono in attività.
Si tratta di una misura che si sposerebbe pienamente col principio della previdenza speciale, perché:
Modalità d’intervento: sia per la particolare animosità delle categorie coinvolte, sia per la tradizione di forte autonomia riconosciuta alle casse, più che ad una norma imperativa, si potrebbe pensare a misure statali per i professionisti, il cui accesso però è condizionato al fatto che la Cassa speciale di appartenenza abbia adottato la misura di solidarietà tra cessati dall’attività e professionisti ancora in attività.
Ad esempio, un Fondo Rotativo di Garanzia, volto a finanziare tutte le attività che potenziano lo smart working (quindi acquisto attrezzature informatiche, potenziamenti in sicurezza digitale, assunzione di personale in remoto ecc., acquisto/affitto/modifiche degli studi da riprogrammare per lo smart working o anche solo per attuare il maggiore distanziamento tra collaboratori, nonché tra professionista e cliente e/o tra professioni sta e fornitori). Tale fondo potrebbe avere caratteristiche di elevato incentivo: per esempio, interessi a carico dello Stato, piani di ammortamento particolarmente agevolati ecc.
Si tratta solo di un esempio, ma se ci fosse un pacchetto di misure dedicato ai professionisti in attività, con la barriera d’ingresso condizionante dell’attuazione del contributo di solidarietà intergenerazionale, ciò attiverebbe certamente un dibattito interno alle categorie e sarebbe un elemento di forte persuasione per gli organi di Governo delle Casse. E’ noto infatti che la rappresentatività media nelle Casse speciali rende gli Organi di Governo assai più sensibili alle componenti forti del ceto professionale (professionisti con elevata anzianità, spesso già in pensione, la cui sensibilità verso le componenti più giovani – diciamo under 50 – è piuttosto blanda).
Un’ultima considerazione: riterremmo che tali misure non debbano prevedere un cap di reddito: questo sia perché, tra gli autonomi, dichiarare un reddito basso è condizione comune ai davvero bisognosi e agli evasori sistematici, sia e soprattutto perché – nelle professioni – un reddito elevato sempre coincide con strutture organizzative che creno volano economico (lavoro, forniture, affitti) per altri soggetti e, dunque, nell’ottica di una ripartenza, penalizzare tali componenti sarebbe anticiclico.
di Luca Miniero
Roma 9 aprile 2020