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I due documenti che presentiamo provengono dalle carte della Camera del Lavoro di Bologna.
Il primo è il comunicato/volantino emesso in occasione del primo maggio 1945. Si tratta di uno dei primi documenti conservati, dopo la distruzione degli archivi operata dai fascisti che incendiarono per due volte la Camera del Lavoro.
1maggio45 testo completo in pdf
Un testo insieme solenne e drammatico, dove la gioia per la cacciata dei nazifascisti “Bologna finalmente liberata in virtù delle potenti e gloriose forze degli Eserciti Alleati e con l’eroico contributo del nuovo esercito italiano e delle coraggiose e balde schiere delle Brigate dei Patrioti” (si noti l’uso delle maiuscole e delle minuscole) si mescola al dramma di una guerra non ancora finita: “Tutto fu sciupato, rovinato, divelto, distrutto, bruciato o rubato. In moltissime case si piange o una vittima, o un martoriato, o un assassinato dalla ferocia nazi-fascista”.
Ma questo è il Primo Maggio della liberazione e della rinascita, e le prime parole d’ordine sono epurazione e ricostruzione.
1maggio46 testo completo in pdf
Il secondo documento ci porta all’anno successivo. Quella del 1946 è la prima Festa del Lavoro celebrata nelle piazze. Fu preparata dalla Camera del Lavoro con il documento ciclostilato che riproduciamo: la scaletta da utilizzare per tutti i comizi della provincia. Un documento straordinario che riassume la storia, i contenuti, i programmi del movimento sindacale. Un testo che ogni sindacalista può conservare nella propria borsa di lavoro e rileggere ogni tanto, come guida per l’impegno quotidiano.
Intanto questo scritto dice una cosa molto semplice: le iniziative vanno preparate per bene e con cura. Gli oratori non andavano a braccio, avevano una traccia. C’era tutta una scuola per chi si accingeva al lavoro politico e sindacale. Fa impressione ritrovare nei documenti d’archivio l’attenzione con cui iniziative e manifestazioni venivano preparate.
C’è poi il valore della storia, l’urgenza di affidarsi ad essa: nessun progetto politico può essere intrapreso se non riannodiamo i fili della storia, se non ripartiamo tutti da dove eravamo. Si trattava di parlare di un argomento per molti sconosciuto o perso nella memoria: la festa del primo maggio era stata soppressa nel 1924, il salto di un’intera generazione. Quel giorno del 1946 chi parlava aprì così: “Nel 1887 il primo maggio, i lavoratori di Chicago…” E iniziò il racconto
Abbiamo qui la singolare assonanza con un fatto avvenuto quasi 2.500 anni fa e descritto nella bibbia: attorno al 440 a.C. gli Ebrei celebrarono il ritorno dalla schiavitù di Babilonia. Dopo circa 150 anni di esilio era rientrato un piccolo resto del popolo ebraico, che aveva dimenticato quasi tutto delle tradizioni religiose e culturali. Quale fu la prima cosa che il governatore Neemia ed il sommo sacerdote ritennero urgente fare? Radunarono tutto il popolo e, dall’alba a mezzogiorno, lessero ad alta voce il libro della Legge, cioè la storia di Israele (“Leggevano il libro della Legge a brani distinti e spiegavano il senso…. e dissero a tutto il popolo: “non fate lutto e non piangete!” Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della Legge”). Chissà, forse un po’ di commozione prese anche gli oratori e gli ascoltatori di quel primo maggio 1946.
Prima la storia, dunque. Poi l’oggi e il futuro. Quanta chiarezza, quanta pulizia nell’esposizione della situazione e dei progetti per il futuro. C’è in questo documento la capacità – tipica del movimento sindacale confederale – di tenere insieme l’analisi della situazione locale e il progetto più generale per il Paese. Parlare dell’oggi (“milioni di disoccupati, fame nera, bambini denutriti”) avendo un sogno ed un progetto per il domani (“la rinascita, l’indipendenza, il rinnovamento democratico del nostro Paese”).
E vanno rilette con attenzione le parole d’ordine: Pane, Pace, Lavoro, Libertà. Prima il pane, perché è il pane che manca e noi siamo il Sindacato. E la pace, il lavoro, la libertà. Parole che diventano attualissime in questi giorni.
Proponiamo infine sette immagini del primo maggio a Bologna negli anni ’50. Perché gli anni cinquanta? Perché ci trasmettono la condizione delle classi lavoratrici del dopoguerra. Gli anni ‘50 furono molto difficili per il lavoro dipendente, ma furono anche gli anni in cui maturò fra i lavoratori e le lavoratrici la consapevolezza che bisognava conquistare un forte potere negoziale nei luoghi di lavoro, che contrastasse il potere unilaterale dei padroni; e per farlo bisognava essere uniti.
Sono, dunque, gli anni della grande disillusione dopo una guerra di liberazione che tante speranze aveva suscitato. Sono gli anni dell’inizio della guerra fredda, dell’entrata dell’Italia nella NATO e nel Piano Marshall, a patto che la sinistra comunista fosse bandita per sempre dal governo del paese, della scomunica papale dei comunisti.
Furono, infine, gli anni della riscossa padronale, una vera e propria rivincita contro l’idea libertaria della fase costituente della Repubblica; gli anni delle grandi epurazioni di sindacalisti e comunisti nei luoghi di lavoro. Anni che lo storico Luigi Arbizzani definì “della Costituzione negata nelle fabbriche”.
In Emilia Romagna la restaurazione padronale fu particolarmente feroce, a causa del fatto che la sinistra sindacale e politica aveva un seguito enorme. Infatti gli anni ‘50 si aprono, il 9 gennaio del 1950 con l’eccidio di Modena: sei lavoratori vengono uccisi durante una manifestazione sindacale contro i licenziamenti ingiustificati alle Fonderie Riunite; e si chiudono con un altro eccidio di lavoratori, cinque, a Reggio Emilia durante uno sciopero generale il 7 luglio 1960. In tutto il paese tra il 1947 ed il 1954 furono 109 i morti durante le proteste.
In pratica la ristrutturazione industriale post bellica avverrà a spese degli operai e delle operaie, che solo negli anni successivi, e pagando prezzi pesantissimi, riusciranno a conquistarsi una pur piccola parte del boom economico.
Significative sono le testimonianze portate alle Assise pubbliche sulle Libertà Democratiche indette dai lavoratori della Ducati di Bologna il 17 aprile del 1955, cui parteciparono, oltre a tutto il mondo del lavoro, le istituzioni locali e lo stesso mondo cooperativo. Alla denuncia del clima autoritario e di repressione nei luoghi di lavoro, del licenziamento di migliaia di rappresentanti sindacali, si accompagnò la denuncia dell’oppressione derivata da un’organizzazione del lavoro, che mortificava le professionalità, che non consentiva ai lavoratori alcun intervento sui ritmi e sull’organizzazione del processo produttivo.
E’ l’inizio della ripresa di un confronto serrato anche nel mondo sindacale, lacerato dalla rottura dell’unità nazionale, per la realizzazione di quell’unità d’azione, che permettesse di riunire tutte le forze sindacali per fronteggiare la restaurazione padronale.
Gli anni ‘60 vedranno la ripresa forte delle lotte e la conquista di nuovi diritti per gli uomini e le donne che lavorano.
I manifesti ritratti nelle foto sono una testimonianza chiara dei temi sostenuti dai lavoratori nella festa del I Maggio di quegli anni: il protagonismo delle donne: l’UDI solo a Bologna contava 80.000 donne (foto 1-1951); la
cooperazione, che contava a Bologna 132.000 soci (foto 2–1951); le rivendicazioni (foto 3–1951); i temi internazionali (foto 4–1951); la libertà nelle fabbriche (foto 5-1953); il diritto alla casa (foto 6-1955). Infine il piacere di trovarsi insieme in festa per ribadire che senza il lavoro non c’è libertà né dignità (foto 7–1954).
Mauro Lambertini, Elisabetta Perazzo
Associazione Paolo Pedrelli
Archivio storico della Camera del Lavoro di Bologna