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di Andrea De Maria
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”
Così una legge del 2000, la numero 211, istituiva in Italia la “giornata della memoria” ben prima di quella risoluzione dell’Onu che la proclamava a livello mondiale nel 2005.
E così noi fummo tra i primi a sostenere che il ricordo, la memoria appunto, è l’unico valido strumento per evitare che le atrocità di ripetano: la memoria come un vaccino.
Noi per primi che avevamo vissuto, sulla pelle di migliaia di cittadini, la violenza della dittatura fascista, delle leggi razziali, delle deportazioni. Noi che come popolo facemmo la Resistenza, che spesso incuranti del pericolo difendemmo bambini, donne, anziani ebrei dalle persecuzioni e dagli allontanamenti forzati, ma anche noi che per paura, angoscia e ignoranza permettemmo che molte cose accadessero sotto i nostri occhi impotenti o volutamente distratti.
La mia regione l’Emilia ospitò uno dei campi di concentramento italiani a Fossoli, alle porte di Carpi, un luogo di prigionia e transito dove vennero confinati molti ebrei italiani e poi, lentamente, tutti gli indesiderati: dagli oppositori al regime ai prigionieri di guerra, dai piccoli delinquenti agli esponenti di odiate minoranze. Tra gli ebrei anche Primo Levi, colui che fece del racconto dell’orrore ragione e fine – anche materiale – della propria esistenza.
Una ferita immensa per la nostra terra, che pure possa servire da monito per le generazioni future: a Fossoli ogni anno in migliaia i giovani si recano per conoscere la storia, per onorare il sacrificio di chi non fece mai ritorno. E come a Fossoli in altre parti del paese ci sono luoghi dove la storia esce dai libri e dai documenti e si manifesta in tutta la sua grandezza e, non di rado, la sua tragedia. Sono i luoghi della memoria, luoghi fisici e geografici dove il ricordo si fa più vivo in un colle, una cava, una casa o una valle. Sono i luoghi dove è costruito il nostro passato, ma soprattutto dove affondano le radici del nostro futuro.
E così il luogo si fa oggetto della memoria, segno tangibile di un passato che non si può ignorare. Come per Auschwitz, farlo conoscere diventa anche un modo per celebrare il giorno della memoria non solo il 27 gennaio di ogni anno.
Visitare Fossoli o uno dei tanti luoghi di sofferenza e soprusi ai danni degli ebrei, ci consente di rendere omaggio a una tragedia collettiva ma anche alla storia di singoli: di chi non ce l’ha fatta e di chi una volta ritornato alla vita di prima (è mai possibile tornare al “prima” dopo aver visto quell’orrore?) ha scelto la propria strada per sopravvivere. C’è chi si era già ribellato, chi aveva cercato di salvare altre vite (i racconti dei sopravvissuti sono pieni di atti di generosità e resistenza, quanto di odio e paura), chi dopo ha scelto di raccontare. Ma per tutti loro ogni giorno è stato il giorno della memoria.
Purtroppo molti ci stanno lasciando: la voce cauta del loro racconto rischia di farsi debole eco. Celebrare ogni anno la memoria serve anche a questo: non lasciamo che le loro tracce si perdano per sempre.
Abbiamo di fronte una sfida enorme: ricordare e rievocare onestamente ciò che è stato. Perché alla tragedia di perdere i testimoni, i troppi rigurgiti antisemiti diffusi nel nostro paese come nel resto d’Europa rischiano di alterare il racconto di ciò che è stato. Del resto il vaccino – come abbiamo imparato in questo anno difficile di pandemia – è una salvezza che può essere anche solo temporanea. E allora l’unica salvezza è vaccinarsi ancora e ancora e ancora. Con il ricordo, con la memoria.
Andrea De Maria
Fin da ragazzo ho partecipato, per quello che mi era possibile, alla vita civile della mia città ed ai movimenti per la scuola e la pace.
A 16 anni ho cominciato a frequentare, nel Pci di Enrico Berlinguer, carico di valori morali e di attaccamento alla democrazia, l’allora Federazione giovanile e, dal 1989 al 1991, ne sono stato il Segretario provinciale. Erano gli anni della svolta, quando, dopo il Pci, con tanti giovani protagonisti è iniziato il percorso che avrebbe portato al Partito Democratico.
Un’altra svolta per me fu nel 1995. Mi candidai, a 28 anni, a Sindaco di Marzabotto. Venni eletto. Marzabotto è un Comune di grande storia e tradizione, che rappresenta, in Italia e in Europa, la cultura dell’antifascismo. Un’esperienza straordinaria, prima di tutto sul piano della mia crescita come persona.
Eletto come Deputato alla Camera la prima volta nel 2013, sono stato poi rieletto Deputato nel 2018 per la diciottesima legislatura nel Collegio uninominale di Bologna Mazzini, che comprende la maggior parte del Comune di Bologna, con il 37, 2% dei voti (il miglior risultato del Centrosinistra nei collegi uninominali della Regione Emilia-Romagna). Da marzo 2018 sono componente della Presidenza del gruppo PD della Camera, con la responsabilità di Tesoriere. Il 9 ottobre 2019 sono stato eletto dall’Assemblea di Montecitorio, con 352 voti, Segretario di Presidenza della Camera dei Deputati.