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Massimo Canella:”Il partito degli influencer” di Stefano Feltri

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it )

Massimo Canella: Invito alla lettura 12.”Il partito degli influencer” di Stefano Feltri

| 5 Dicembre 2022 | Comments (0)

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Massimo Canella. Invito alla lettura 12. Stefano Feltri, “Il partito degli influencer. Perché il potere dei social network è una sfida per la democrazia”

 

“In una fusione tra religione dell’ego e capitalismo digitale, ai Ferragnez non serve comunicare quasi nulla: basta l’ostensione. Chi li accusa di essere superficiali, non sa niente di teologia” (Fabrizio Sinisi).

Alessandra Gallocchio, Arianna Bertoncelli e Chiara Carcano, “in una puntata del loro show, spiegano che ‘L’influencer è la persona che riesce a spostare pensiero e opinione, cosa che è lontanissima dall’avere dei follower. I follower, cioè il numero di persone che seguono la pagina, sono indici della popolarità dell’account, ma non necessariamente della sua influenza, che si misura con altre metriche’ “ (Stefano Feltri, “Il partito degli influencer. Perché il potere dei social network è una sfida per la democrazia”, edito da Einaudi, Torino 2022, p. 13). “L’ascesa degli influencer come nuova forma di intrattenimento di massa segna una grande rivoluzione che, come tutti i cambiamenti epocali, offre enormi possibilità e altrettanto enormi rischi. Ogni utente di social media può ormai diventare produttore di contenuti a livello professionale e competere con organizzazioni più strutturate, complesse, costose e lente: che si tratti di produrre notizie, o più spesso di intrattenere, chiunque è un ‘content creator’ che cerca di accumulare la più preziosa forma di capitale nel mondo (digitale e analogico) contemporaneo: la reputazione, che si può misurare in termini di follower, reazioni,, condivisioni e molto altro” (ibidem, p. 176). “Nella storia chi si è lamentato dei cambiamenti tecnologici e ha invocato ritorni a un passato idealizzato è sempre stato prima sconfitto e poi deriso. Ha molto più senso chiederci cosa possiamo fare per rendere questa nascente sfera pubblica più onesta e democratica, invece che dolerci per la sua esistenza. Il fenomeno degli influencer indica una trasformazione epocale delle nostre società, meglio governarla che subirla” (ibidem, p. 182).

Ripartiamo dall’inizio. Il calciatore Cristiano Ronaldo è una celebrità da 350 milioni di follower, può essere associato ai marchi con grande profitto, ma non è un influencer, perché non produce contenuti con la finalità di comunicare, interagire e condizionare. Quelli degli influencer “devono essere prodotti semiprofessionali: video con montaggio, musica e grafiche. Ci deve essere un investimento di tempo e creatività” e quindi ci sono costi da ristorare e in prospettiva più o meno lontana guadagni da realizzare. Ogni canale pagina o spazio delle piattaforme social “diventa una piccola stazione audio-video, con i suoi inserzionisti che hanno una garanzia ]…]che il loro investimento pubblicitario arriverà esattamente alle persone con cui desiderano interagire”. Gli aspiranti influencer, assai spesso ragazzini o giovani donne, devono saper creare una propria “voce” e un gruppo omogeneo che lo ascolta; in caso positivo, hanno la speranza di essere avvicinati da una delle agenzie di comunicazione, “invisibili protagoniste del settore” (pp. 13-14). L’agenzia tratterà: con l’influencer, posizionamento, format, linguaggio, strategia di crescita; con gli inserzionisti, individuazione dei percorsi migliori in vista dei loro obiettivi di mercato, indicazione degli influencer adatti e negoziazione del contratto. Influencer affermati cercano poi talvolta di monetizzare la propria reputazione social spingendo all’acquisto di marchi associati al loro nome e non disdegnando di puntare più in alto, come nel caso arcinoto dei Ferragnez, che Stefano Feltri ha studiato approfonditamente.

I Ferragnez e il ddl Zan. Il 17 giugno 2021, da un’altra dimensione, la Segreteria di Stato vaticana ha segnalato ufficialmente e (finché ha potuto) riservatamente al Governo italiano che la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, previste dal disegno di legge presentato dall’on. Alessandro Zan, avrebbe inciso negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa dal vigente regime concordatario, dato che le espressioni in merito di magistero e scritture seguono “una prospettiva antropologica che la Chiesa non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina”. L’ingerenza vaticana affonda nel mondo politico come una lama nel burro, facilitata da una certa imprecisione del testo. Il 6 luglio l’avvenente signora Chiara Ferragni, influencer con 28,2 milioni di follower su Instagram nel novembre 2022 più 1,6 milioni per il suo brand di abbigliamento, evitando anche lei di prendere a partito il Vaticano, censura le dilatorie iniziative in merito di Matteo Renzi postandone, fra due spot dello shampoo Pantene, una foto col commento: “Che schifo fate politici”. Renzi all’inizio pensa di difendersi e anzi di entrare nel magico mondo dei Ferragnez, dichiarandosi pronto al confronto. La risposta gli arriva dal marito di Ferragni, il signor Federico Lucia detto Fedez, a fine novembre 2022 14,6 milioni di follower su Instagram e 5,9 milioni su Tik Tok, i cui post raccolgono fra i 400.000 e i 900.000 like e i cui video raggiungono regolarmente tre o quattro milioni di visualizzazioni: “Stai sereno Matteo, oggi c’è la partita, c’è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipì sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia”. Renzi, saggiamente, desiste. Il 7 luglio Fedez organizza una diretta sull’argomento via Instagram con Marco Cappato e Pippo Civati, indossando per l’occasione una T shirt della collezione “Muschio selvaggio”, che è il titolo di un suo podcast (trasmissione radio distribuita via Internet) ma anche un marchio di abbigliamento acquistabile on line. Feltri, direttore del quotidiano Domani, che nell’occasione ha avuto con Fedez una polemica ad armi parimenti impari, commenta “sul filo del paradosso” che “c’è un concordato aggiornato nel 1984 che regola l’ingerenza della Chiesa nella vita pubblica italiana, ma nessun concordato stabilisce l’influenza dei Ferragnez nella politica” (p. 20). Al di là di questo, chiara è la strategia di occupare anche con attenzione alla politica un’ampia nicchia di mercato giovanile di cui si sanno intercettare i gusti, le abitudini e i valori.

I Ferragnez e il Primo Maggio. Anche l’1 maggio 2021, in piazza San Giovanni a Roma, Cgil Cisl e Uil han promosso e finanziato il tradizionale concertone, che viene organizzato dall’azienda specializzata iCompany e trasmesso dalla Rai. Fedez manda in visione il testo da lui preparato, in cui stigmatizza consiglieri leghisti che avrebbero asserito che se avessero avuto un figlio gay lo avrebbero bruciato nel forno. Il capo progetto di iCompany gli fa presente che è uso non fare nomi in televisione se manca la possibilità del contradditorio e la vicedirettrice Rai trova inopportuno il contesto, negando comunque di voler imporre una censura, mentre Fedez, che sta registrando tutto, perora appassionamente la liberta di espressione. L’intervento, che suscita modico scalpore, viene pronunciato da Fedez sul palco con un cappello che esibisce il marchio Nike, che peraltro non risulta in rapporti d’affari coi Ferragnez (ma può trattarsi di una forma di autopromozione nei confronti dei potenziali clienti). Una versione non integrale delle conversazioni intercorse viene poi presentata, come prova di un tentativo di censura, in un video su Instagram,  in cui Fedez esibisce costantemente lo smartphone con vivavoce e uno smalto per unghie (nuova moda per giovani uomini) prodotto dalla ditta Layla Cosmetics, con cui aveva sottoscritto un contratto il 21 aprile. L’amministratrice delegata della ditta ha poi dichiarato di aver scelto i Ferragnez perché sono in sintonia con un pubblico molto giovane, attento al tema dei diritti e anche alla moda, mentre loro finora erano stati solo “fortissimi fra le nonne”. Per Feltri, che riprende l’analisi del podcaster Rick DuFer, Fedez in questa occasione, volontariamente,  “finisce per affermare una sorta di supremazia: la vera opinione pubblica è quella che si costruisce sui social”, mettendo in crisi il ruolo della Rai nel sancire, con le sue fiction, “i costumi sociali accettati da tutti […] dove niente di perturbante è ammesso” (p. 36). A Fedez e al suo modello di marketing, sempre via Rai e questa volta nell’interesse dell’azienda,  risponde poi con verve satirica, qualche tempo dopo, la coppia Pio & Amedeo, nel corso di una manifestazione organizzata da Friends&Partners che gestisce gran parte dei partecipanti a Sanremo. Alla fine comunque si giunge alla pace, con tanto di partecipazione di Fedez alla trasmissione di Fabio Fazio. Del resto anche la gestione RAI degli ultimi festival di Sanremo, importanti nella formazione della coscienza popolare, cui anche Fedez ha partecipato, ha promosso molto più i valori e gli interessi che primeggiano sui social media, oltre che nelle menti che governano le multinazionali discografiche e della moda, che quelli “rassicuranti” riflessi dalle fiction della Rai.

I Ferragnez e l’intrattenimento. Nel 2020 il podcast più acclamato su Spotify risulta il già citato “Muschio selvaggio”, “format semplice e sofisticato al tempo stesso, come gran parte delle produzioni costruite intorno a Fedez” (p. 41); esso viene anche trasmesso come video su You Tube e a frammenti su Instagram e altri social. Nella trasmissione Fedez e Luis Sal interagiscono fluidamente sia con esponenti del mondo accademico e giornalistico in confidenza coi media, da Barbero a Mentana, sia con rappresentanti della galassia Mediaset, sia con artisti vari; l’intervista a Chiara Ferragni in particolare ha contato oltre tre milioni di visualizzazioni. Interessanti gli episodi dedicati a storie aziendali e cultura dei brand, frequenti le interviste a esponenti del mondo della moda: Donatella Versace, le direttrici creative di Gucci e di Dior. I contenuti sono pregevolmente editoriali, ma “influenzati dalla relazione con i brand di moda che viene poi monetizzata su altri canali” (p. 43), cioè con quelli intestati non a Fedez ma a Ferragni, fortunatissima imprenditrice nella produzione e nella distribuzione degli articoli del settore. La coppia gestisce tramite una società la crescita professionale di molti cantanti di musica leggera e soprattutto si avvale della propria valenza come testimonial, trasmettendo in diretta tutto il mostrabile della propria vita quotidiana: così si può incidentalmente promuovere la linea scuola Seven, i seggiolini per auto Recaro, i costumi da bagno Yamamay, e anche imprese collegate alla gestione domestica come Sorgenia – profittevoli attività pubblicitarie dal costo marginale molto basso. Gucci e Versace han disegnato i vestiti per i tour di Fedez dal 2017, i Ferragnez in Instagram sono una Versace family vestita di tutto punto anche nel giorno del fotografatissimo matrimonio, Versace ha vestito Fedez anche nel fortunato video musicale estivo “Mille”, costruito assieme a Orietta Berti (vestita Gdcs) e Achille Lauro (vestito Gucci, come a Sanremo) e soprattutto attorno alla réclame della Coca-Cola (“labbra Coca- Cola, dimmi un segreto rosso stasera”): la hit estiva ha fatto infatti parte del lancio, in anteprima, del nuovissimo prodotto Coca-Cola Zero Zuccheri. Un salto di qualità, alla fine del 2021, è stato rappresentato dalla serie televisiva The Ferragnez, edita su Amazon Prime, che può ricordare  fra l’altro The Crown, la notissima serie sugli Windsor. A guardar bene gli Windsor hanno una analoga strategia, di mostrarsi mentre fanno altro, per avvalorare l’istituzione, e han sempre pur con qualche sofferenza incoraggiato il gossip su loro stessi; anche se va osservato che tutto sommato il principino George sembra più tutelato dagli occhi dei media dei figli dei Ferragnez, che vivono davanti all’obiettivo, per ora senza patirne, dal giorno in cui sono nati.

Il lettore del volume potrà  scoprire la struttura finanziaria di questo piccolo ma articolato impero in espansione e le sue possibili proiezioni politiche. Caso che si presta ad essere raccontato con leggerezza, ma è anche adatto a evidenziare con semplicità i meccanismi che presiedono a questo nuovo tipo di attività e di potere, connesso con l’esplosione dei social media. Nel libro del direttore Feltri, da non confondere con un paio di altri giornalisti omonimi, esso occupa trentacinque pagine su centoottantadue, supportate da una fitta bibliografia che ne occupa altre dodici. Le altre pagine son dedicate alla trattazione di problemi più complicati e meno evidenti, che han meno a che fare con la gestione della futilità (questione peraltro culturalmente, in Italia anche economicamente, cruciale). Ne possiamo solo fare un sommario non esaustivo.

Nel terzo capitolo si analizzano i casi aziendali di due ditte di cosmetici molto presenti in rete e il modo in cui han favorito a livello di opinione il sindaco di Venezia e un consigliere comunale di Milano senza che i loro retrostanti, legittimi rapporti fossero intellegibili agli utenti.

Nel quarto capitolo si affronta il tema delle elezioni. Interessante la struttura della comunicazione del Movimento Cinque Stelle nel 2016, quale risulta da una indagine commissionata dalla fondazione Open di Renzi, che determinò un tentativo non molto convinto di imitarla. Si tratta di una struttura gerarchica, una rete organizzata in cui da un numero limitato (180) di nodi sorgente, corrispondenti ai “generali”, viene definito ciò che deve diventare virale attraverso l’azione sincronizzata di “top mediator” e di un numero elevato di attivisti, inseriti in “cluster” di utenti con interessi affini, in modo da diffonderne al massimo la lettura e la condivisione che l’utente in buona fede accorda a chi sembra dargli un’opinione disinteressata come quelle che lui esprime. Emerge anche dall’esame delle attività per le elezioni americane l’importanza del micro-targeting, ossia della profilazione estrema che consente di sponsorizzare contenuti per un segmento di pubblico molto definito: “i dirigenti di una rete (televisiva) possono osservare quando ci sono gli ascolti migliori, quale candidato trattiene il pubblico e quale lo fa fuggire […] Nella politica digitale, invece, soltanto Facebook ha tutti i dati e gli strumenti di analisi per sapere se autorizzare o bloccare meme, micro-targeting o altre forme sperimentali di comunicazione favorisce un candidato o l’altro. Se Facebook avesse vietato il micro-targeting nel 2016, alla Casa Bianca forse sarebbe arrivata Hillary Clinton, visto che la campagna di Donald Trump era molto più efficace in quella specifica tattica di propaganda ma aveva meno risorse da investire per il tradizionale acquisto di spazi televisivi” (pp. 79-80). Fra gli errori istruttivi esaminati c’è quello della stessa Hillary di servirsi dei nuovi mezzi di comunicazione per travasarvi le modalità e i linguaggi della propaganda politica tradizionale, come è successo anche in qualche caso per le ultime elezioni italiane.

Nel quinto capitolo si affronta il problema delle manipolazioni di vario genere effettuate dai governi autoritari, per il controllo delle opinioni e per dare all’interno e all’estero una determinata versione delle cose per il tramite di soggetti che appaiono disinteressati: la Cina, naturalmente, ma anche l’Arabia Saudita e l’Egitto. Si passa poi al noto problema delle interferenze russe, che sono avvenute sia nella forma consueta del legittimo inserimento di proprie testate nel panorama informativo degli altri Paesi, sia mediante l’azione di una Internet Research Agency riservata con la quale “attraverso il microtargeting […] i servizi segreti russi hanno ad esempio diffuso contenuti polarizzanti su questioni razziali, diritti civili e armi in modo da spingere gli elettori a rifiutare ipotesi di compromesso e a schierarsi in modo netto a favore di Trump” (p. 119) – ma son documentati anche casi di suggerimento di ipotesi contrapposte, purché estreme, al target dei potenziali elettori repubblicani e a quello dei democratici. C’è stata poi nel corso della pandemia l’introduzione, da parte russa ma non solo, dell’uso degli influencer nell’attività di disinformazione, generalmente condita da affermazioni veritiere. “”Certo può sollevare qualche legittima preoccupazione il fatto che soggetti stranieri usino la sfera pubblica digitale per manipolare una conversazione così delicata […] In molti casi […] alla diffusione a pagamento di contenuti alterati non si è risposto con una informazione indipendente e trasparente, ma con azioni di manipolazione del dibattito di segno contrario” (p. 122). Segue la discussione delle problematiche in campo sanitario, in cui al di là dei retroscena è inquietante già il solo fatto che informazioni in un campo così sensibile vengano gestite e ammannite strumentalmente da soggetti privi di competenze scientifiche riconosciute dalle comunità professionali.

Negli ultimi due capitoli si abbozzano risposte agli interrogativi che i capitoli precedenti dovrebbero aver suggerito: se gli influencer e i social “sono davvero capaci di condizionare il comportamento delle persone” e “se  e come si possono regolare per tutelare l’integrità della sfera pubblica social dai comportamenti scorretti” (p. 8). La certezza sulla capacità di condizionare i comportamenti specifici, e non solo gli atteggiamenti generali, è molto cresciuta a seguito dell’affinamento del microtargeting. “Si costruisce un insieme di dati quanto più dettagliati su un congruo numero di soggetti e poi si ‘allena’ un algoritmo a capire quali sono le relazioni fra i diversi spertti che compongono l’identità digitale di un individuo, dai suoi gusti musicali a quelli alimentari, dai suoi interessi culturali alle preferenze sessuali o politiche. Con il dataset di allenamento, l’algoritmo impara a stabilire quanto è probabile che un aspetto sia associato a un altro […] è in grado di fare anche il lavoro inverso. Cioè di calcolare la probabilità che chi guarda un video di sport estremi sia anche un tifoso dell’Inter o voti per la Lega […] Con alcuni metodi di machine-learning, cioè con algoritmi che agiscono in modo continuo, migliorando ad ogni tentativo la capacità di interpretare i dati, non c’è neppure bisogno di elaborare una teoria o cercare di capire perché certe caratteristiche si abbinino ad altre: ci pensa l’algoritmo, senza supervisione, come si dice in gergo, a cercare regolarità e a stabilire relazioni tra le informazioni su di noi che,più o meno consapevolmente, abbiamo lasciato in giro per la rete e soprattutto sui social” (pp. 143-144). Per esemplificare questa tematica viene analizzato il noto caso di Cambridge Analytica.

Nell’esame delle possibilità di imporre a questo mondo di sette miliardi di potenziali produttori, divisi in 190 paesi, regole minime di comportamento del tipo di quello che sono state adottate per Rai, Mediaset e televisioni locali, viene in evidenza il già citato fenomeno dei micro-influencer: donne e giovani, in genere, che han cominciato a gestire un loro spazio di influenza anzi tutto per socializzare, spesso sviluppando simpaticamente la propria creatività, e sono disponibili a prestare i propri servizi nella speranza di poter fare il salto di qualità. Nel 2019, su segnalazione, l’Antitrust italiano ha indagato sulla pubblicità della nuova Crema Pan di Stelle del Mulino Bianco (Barilla), nuova versione dei celebri biscotti. L’indagine principale ha dato esito negativo, ma incidentalmente si è venuti a scoprire che eran stati concordati messaggi con nove micro-influencer con poche migliaia di follower, alcuni dei quali regolarmente commissionati, e altri di contenuto identico replicati senza compenso per ragioni editoriali (affinità di contenuto) e probabilmente volontà di conservare un rapporto col committente. “Se un influencer si riprende tutte le mattine mentre mangia Pan di Stelle ma non dichiara alcuna collaborazione passata o presente con Barilla, allora potremo dedurne che è sinceramente un amante dei biscotti al cioccolato. Se invece, dopo tutti quei video ad alto contenuto calorico, inizia una collaborazione con l’azienda, allora ci costringerà a rileggere tutti i contenuti postati in precedenza come tentativi di farsi notare dal marchio da cui voleva essere remunerato” (pp. 179-180). Altro fenomeno da segnalare è il rischio della bolla informativa, in quanto la logica degli algoritmi e quella dell’attività editoriale degli influencer portano l’utente, un po’ come in certi circoli progressisti di qualche anno fa, a ricevere messaggi conformi ai suoi pregiudizi e adattati ai suoi gusti e a quelli affermati dai suoi corrispondenti residenti un po’ ovunque, ma tutti affini, e a perdere quindi la nozione di come gira effettivamente il mondo.

Le conclusioni più immediatamente “politiche”, i cenni al “che fare” rispetto ai problemi di trasparenza del mercato e soprattutto di rischi di ulteriore grave intorbidamento della vita democratica che questa realtà indubbiamente presenta, andran scoperte dagli eventuali lettori. Forse è meglio concludere sottolineando le note positive. Il livello intellettuale e a volte culturale espresso in questa marea di messaggi, almeno se uno attraversa le bolle giuste, non è affatto basso, anche perché per fare il creator di contenuti occorrono capacità. C’è buon gusto e allenata creatività audio visuale. Si sono costituiti tramite Tik Tok moltissimi circoli di lettura (di libri, non di schermate), generalisti o di appassionati a determinati generi o materie. Anche sacerdoti o aspiranti tali sono scesi in campo per riproporre i loro contenuti, sempre tradizionali, in modo più o meno spiritoso, ma comunque intelligente – contrastati da informati e polemici giovani laicisti che hanno una certa, a volte immatura, confidenza con le scritture e la storia della Chiesa e delle religioni in generale. Passa nel complesso una visione della vita certamente edonistica e consumistica, spregiudicata, ma anche largamente tollerante nei confronti delle diversità materiali e culturali. E soprattutto, si tratta di attività saldamente in mano alle giovani generazioni, cui è affidato il futuro, che vi sono cresciute dentro e non hanno le nostre difficoltà di approccio. Difficoltà che a parer mio vale la pena di affrontare, perché fan parte di una serie di cambiamenti stupefacenti in corso di cui vale la pena di restare curiosi fino all’ultimo giorno. Per finire con una citazione di Brecht, al modo e alla moda degli anni Sessanta, “solo la morte non mi insegnerà più niente”.

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