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Riccardo Cesari: Caro Vittorio

di RICCARDO CESARI

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)

Riccardo Cesari: Caro Vittorio

| 2 Agosto 2023 | Comments (0)

 

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Caro Vittorio

Ci siamo visti un giorno solo, il primo e purtroppo l’ultimo, lo scorso 8 giugno e nonostante la tua gentilezza e grande generosità, non avevamo quella confidenza che ti poteva consentire di farmi questo scherzo, di andartene all’improvviso, senza il tempo di ringraziarti ancora, rivederti, ritornare a chiacchierare un po’.

Che brutto scherzo mi hai fatto, caro Vittorio.

Ricordo che stavo guardando l’home page del Mulino quando ho visto: Vittorio Capecchi, Il messaggio di Don Milani, un articolo che mi era sfuggito.

Controllando meglio era del 1967, appena morto il Priore di Barbiana.

L’ho letto subito. Era un’analisi lunga e approfondita della vita di Don Milani (con la D maiuscola!), piena di particolari e di bellissimi stralci delle opere.

Come ha fatto, mi chiedevo, il mitico Prof. Capecchi, ricordo dei miei studi di Statistica e di Economia delle imprese metalmeccaniche, a fare così bene e così presto un ritratto della figura di Don Milani?

Molto azzeccati anche i titoli dei paragrafi: ricchi e poveri di fronte al lavoro; ricchi e poveri di fronte alla scuola; ricchi e poveri di fronte alla guerra.

Tra l’altro nel 1967 non era uscito ancora nulla del magnifico lavoro biografico di Neera Fallaci, da cui tanti, compresi i suoi amici più prossimi, hanno ricavato notizie sul Priore e le sue vicende, prima del tutto ignote.

Così ho cercato la tua email e l’Università mi ha restituito subito: vittorio.capecchi@unibo.it, facile, semplice, proprio come la mia. Potevo presentarmi da collega e sperare in un colloquio.

Dopo poco mi è arrivata la tua risposta: vienimi a trovare, sono in via Santo Stefano.

È stata una giornata indimenticabile, una lunga chiacchierata non solo su Don Milani e sulla tua intervista (prima di tutti) al suo direttore spirituale don Bensi ma anche sulla tua vita, le tue avventure, i tuoi libri.

Eravamo nella penombra del tuo studio così pieno di volumi di tutti i tipi, di ogni dimensione e colore, e mi sarei messo a guardarli uno a uno, lungo quelle pareti tappezzate di scienza, di economia, di arte, di esposizioni universali, di carte, di lavori e di pensieri catturati come farfalle ad ali spiegate.

“Sono stato molto fortunato” mi dicevi, con accanto la tua gentilissima Amina, acuta studiosa di filosofie e lingue orientali, grande parte delle tue fortune.

Mi ha fatto molta impressione la prima di queste “fortune” che mi elencavi: il tuo professore di Statistica in Bocconi, Francesco Brambilla, che dopo l’esame di primo anno, a te, matricola spaesata da Pistoia, dice: “voglio far crescere un mio assistente dall’inizio degli studi, non cercarmelo alla fine” e con un intuito che è davvero da pochi ti nomina sul campo “futuro assistente” e ti segue nel percorso e ti manda, con scelta di grande intelligenza, a studiare sociologia matematica (un termine che in Italia per lungo tempo ha rappresentato un raccapricciante ossimoro) con Paul Lazarsfeld, alla Columbia University di New York.

Erano i primi anni ’60. Periodo fantastico, come fantastico era anche il titolo della tua tesi di laurea, del 1961: ”I processi stocastici markoviani applicati alla mobilità sociale”. Oggi solo uno studente di dottorato potrebbe reggere il peso di un tema così impegnativo.

Tra l’altro posso immaginare che quando hai letto, in Lettera a una professoressa, i risultati scolastici in funzione del “mestiere del babbo” ti sia venuto in mente il tuo lavoro da laureando.

Poi mi hai dato il libro del tuo collega e collaboratore Paolo Buscema, “L’arte della previsione”, sull’intelligenza artificiale (! C’è un tema più di frontiera di questo?), con una tua lunghissima prefazione, piena di spunti, di riferimenti ai Ching e alla matematica cinese, e di richiami a un mito letterario come Philip Dick, un’altra cosa che sorprendentemente ci accomunava.

Ora mi toccherà leggerlo da solo, senza la tua dedica e senza il tuo aiuto.

Sarà stata anche fortuna, come mi dicevi, ma mi rendo conto che ti trovavi sempre nel posto giusto, al momento giusto, anzi, un po’ prima, per imparare un po’ prima di tutti e farci capire, un po’ prima di tutti, la direzione della storia e della scienza.

Mio padre diceva: “la fortuna degli scarsi dura poco”. La tua è durata tutta la vita. Evidentemente, chiamavi fortuna qualcos’altro. Audaces fortuna juvat, diceva il poeta. Forse eri un audace, un guerriero mite ma senza paura, alto, forte e intelligente, che si butta senza timore nelle sfide della vita, vittorioso.

Comunque, fortuna o non fortuna, il problema è un altro: noi, ora, come facciamo?

Un abbraccio,

Riccardo

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