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(in collaborazione con www.inchiestaonline.it )
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Pubblichiamo con il consenso dell’autore questo articolo di Maurizio Scarpari apparso su La Lettura del Corriere della Sera del 7 gennaio 2024.
Maurizio Scarpari, Taiwan ribelle nell’anima e nella storia
“Uma ilha formosa” esclamò il marinaio che, dopo aver disperato della propria salvezza, era scampato alla tempesta raggiungendo col suo galeone una baia protetta in un’isola poco frequentata tra le tante del Mar Cinese meridionale. Al sollievo si aggiungeva lo stupore per la scoperta di una terra meravigliosa. Da allora, vuole la leggenda, Taiwan – attesa il 13 gennaio alle elezioni presidenziali e parlamentari – divenne per gli occidentali l’isola di Formosa, “l’isola bella”. Correva l’anno 1544.
L’isola era ben nota ai cinesi della costa meridionale, ma veniva ignorata, di fatto, dalla corte imperiale. Fino al XIV secolo notizie su Taiwan e sulle isole dell’arcipelago apparvero solo sporadicamente nelle cronache cinesi; persino le mappe e i resoconti di viaggio tendevano a confondere tra loro le terre “al di là dei mari”. Secondo lo storico Wong Young-tsu, la prima descrizione di Taiwan si trova nel Daoyi Zhilüe (Breve descrizione dei barbari delle isole) del grande navigatore Wang Dayuan (1311-1350). A riprova di quanto radicato fosse il disinteresse per “l’isola bella”, nonostante la sua posizione altamente strategica, valgano le parole di un funzionario di corte pronunciate subito dopo la conquista dell’isola da parte della flotta imperiale Qing nel 1683: “Taiwan è semplicemente una palla di fango al di là dei mari, indegna delle nostre attenzioni, abitata da selvaggi nudi e tatuati, che non vale la pena difendere; investire sul suo sviluppo sarebbe uno spreco di denaro imperiale che non porterebbe ad alcun beneficio.” Si dovette attendere sino al 1886 perché l’isola diventasse provincia autonoma e Liu Mingchuan (1836-1896), il suo governatore, progettasse di trasformarla nell’avamposto tecnologico dell’impero. Obiettivo raggiunto, visto che vi venne aperto il primo ufficio postale, attivata la prima linea telefonica dell’impero e inaugurata la prima ferrovia costruita interamente da cinesi. Tale impostazione avrebbe segnato il futuro dell’isola.
Fino ad allora Taiwan era stata meta di pescatori e rifugio delle navi corsare che pattugliavano le rotte verso i porti cinesi e giapponesi. Abitata da popolazioni di origine austronesiana fin dalla più remota antichità, tra il 4000 e il 3000 a.C. Taiwan fu la culla della cultura neolitica di Dapenkeng e il fulcro di consistenti flussi migratori verso Filippine, Asia sud-orientale, Madadascar e, a est, verso Micronesia, Melanesia e Polinesia. La particolare configurazione orografica – il 70% del territorio è montuoso, con più di 200 vette che superano i 3 mila metri di altezza – ha determinato un forte isolamento dei gruppi etnici autoctoni, favorendo la formazione di comunità autonome e lo sviluppo e preservazione di peculiarità linguistiche, religiose, rituali distinte difficilmente comparabili in una prospettiva etnologica. Attualmente nell’isola vivono poco più di mezzo milione di aborigeni, suddivisi in diversi gruppi e sottogruppi, su un totale di oltre 23 milioni di abitanti.
La costa ovest consentiva due soli approdi, mentre la costa est era resa impervia dalle forti correnti e dalla sua conformazione rocciosa, caratterizzata da imponenti scogliere a picco sul mare. Solo dal XV secolo le navi cinesi furono in grado di raggiungere Taiwan con regolarità, favorendo l’insediamento di pescatori, contadini e mercanti, attratti questi ultimi dalla possibilità di aggirare le rigide politiche isolazioniste messe in atto durante la dinastia Ming (1368-1644) per limitare il commercio marittimo, la creazione di nuovi insediamenti costieri e le scorribande dei pirati giapponesi. Si ottenne invece l’esatto contrario: aumento della pirateria e del contrabbando, e ai pirati giapponesi si aggiunsero i cinesi e gli europei giunti nel frattempo in quei mari per aprire nuove rotte commerciali.
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Gli olandesi, che nel 1622 avevano preso possesso delle vicine isole Pescadores (Penghu), furono i primi europei a insediarsi a Taiwan. Nel 1623 stabilirono la loro base ad Anping, l’odierna Tainan. L’anno successivo furono sconfitti dalla flotta cinese che rivendicava la propria sovranità sulle isole Pescadores e, di conseguenza, dovettero rinunciare a ogni pretesa. In cambio ottennero il permesso di trasferirsi stabilmente a Taiwan, a dimostrazione della scarsa considerazione di cui l’isola godeva a corte. Fu così che ebbe inizio l’occupazione coloniale dell’isola da parte della Compagnia olandese delle Indie orientali, che avviò subito la costruzione di Fort Zeelandia ad Anping. Tre anni dopo arrivarono gli spagnoli, ma gli olandesi riuscirono a mantenere il controllo delle loro postazioni. Il numero di migranti dal continente cinese andò aumentando, in particolare dal Fujian, principalmente hakka e hoklo (hokkienesi), due etnie che parlavano dialetti differenti e avevano costumi e tradizioni distinte, il che non facilitò la convivenza nell’isola, già sufficientemente complicata.
Alla fine della dinastia Ming il più potente dei pirati cinesi, Zheng Zhilong (1604-1661), venne nominato ammiraglio dei mari costieri. Forte del titolo e della potenza della sua flotta, egli riuscì a contenere la presenza olandese nell’isola. Con la fine della dinastia Ming e l’ascesa della dinastia mancese Qing (1644-1912) la situazione mutò drasticamente. Zheng rimase leale ai Ming e combatté contro gli invasori, ma alla fine capitolò. La resistenza fu portata avanti, però, da suo figlio, Zheng Chenggong (1624-1662), che assunse il comando della flotta paterna con il nome di Coxinga, derivante dalla pronuncia hokkienese del titolo conferito in epoca Ming alla sua famiglia. Il 1° febbraio 1662 Coxinga mise fine all’egemonia olandese su Taiwan, conquistò Fort Zeelandia e prese il controllo dell’intera isola, che rimase in mano sua e dei suoi discendenti per oltre vent’anni.
Il regno di Tungning (1661-1683) da lui fondato fu il primo governo cinese (lealista ai Ming) ad avere il dominio sull’isola e la cultura cinese poté finalmente diffondersi tra i suoi abitanti. Coxinga svolse un ruolo cruciale nella storia di Taiwan e nel processo di formazione dell’identità taiwanese. Egli è considerato un eroe nazionale non solo a Taiwan, dove è venerato in oltre cento templi a lui dedicati, e in Cina, ma anche in Giappone, dove era nato e aveva studiato. Come osserva lo studioso Stefano Pelaggi, “quando nel 1683 la flotta Qing sconfisse definitivamente i ribelli, la Cina si ritrovò ad avere il controllo di un’isola che non aveva mai considerato degna di far parte del Celeste Impero”. Al breve ma illuminato governo di quei “ribelli” va riconosciuto il merito di avere introdotto per la prima volta la cultura cinese tra gli isolani. E sarà solo grazie al primo governatore, Liu Mingchuan, se duecento anni dopo il processo avviato da Coxinga potrà riprendere vigore.
L’influenza della cultura cinese sulla popolazione locale fu interrotto bruscamente nel 1895, alla fine della guerra sino-giapponese, quando Taiwan, con il trattato di Shimonoseki, fu ceduta a Tokyo. In un primo momento l’arrivo dei giapponesi non fu visto con favore. Alti funzionari e membri dell’aristocrazia locale fedeli alla dinastia Qing reagirono, emisero una dichiarazione di indipendenza e fondarono la prima repubblica asiatica, la Repubblica Democratica di Taiwan, che ebbe vita breve: dopo cinque mesi i giapponesi si insediarono nell’isola. Ancora una volta i taiwanesi si scoprirono “ribelli” in casa propria, e purtroppo non sarebbe stata l’ultima: e il seme dell’indipendenza aveva cominciato a germogliare… Contrariamente alle iniziali aspettative il dominio giapponese, durato cinquant’anni, ha rappresentato un’importante fase di crescita per la società taiwanese, lasciando un segno indelebile. Considerandosi i rappresentanti di una nazione moderna e responsabile, i governanti giapponesi promossero una trasformazione profonda della società, introducendo un sistema educativo aggiornato, efficiente e diffuso che rese all’epoca i taiwanesi una delle popolazioni più istruite dell’Asia, gettando le basi per un percorso diversificato tra l’isola e la Cina continentale.
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Il ritorno dell’isola alla Cina nel 1945 comportò l’arrivo di Chiang Kai-shek e del governo repubblicano in fuga, con al seguito oltre un milione tra funzionari e soldati perlopiù privi di istruzione e malnutriti, che parlavano dialetti inintelligibili tra loro. L’integrazione non fu facile. Seguirono le dure repressioni del periodo del Terrore bianco e della legge marziale nel il tentativo di sradicare il modello giapponese che si era ormai affermato tra la popolazione e la sua élite. Il momento più drammatico si ebbe nel 1971 con la perdita del seggio all’Onu a favore della Repubblica popolare cinese di Mao Zedong, accettata ormai da gran parte della comunità internazionale come l’unica rappresentante della Cina e del popolo cinese. L’avvio da parte del governo cinese della politica basata sul “principio di una sola Cina” e della formula “un paese, due sistemi”, recentemente disattesa nel caso di Hong Kong, e le manovre, sempre più aggressive, per ottenere l’isolamento internazionale di Taiwan e la sua riunificazione alla madrepatria (“annessione” secondo i taiwanesi), considerata ineludibile, hanno contribuito ad aumentare la distanza che separa l’isola dal continente. Si è così creato un rapporto di interdipendenza asimmetrica, basata su dinamiche di attrazione e repulsione che hanno condizionato profondamente il concetto di nazionalismo patriottico sia in Cina sia a Taiwan, e che hanno portato, fin dagli anni Novanta, all’avvio del processo di democratizzazione.
Taiwan è oggi una democrazia compiuta, tra le più avanzate del pianeta (decima, per il Global Democracy Index). I sondaggi condotti annualmente dal Centro Studi Elettorali della National Chengchi University di Taipei provano la vitalità del processo di formazione dell’identità taiwanese, in continua evoluzione: secondo il più recente (giugno 2023), il 62,8% della popolazione si sente esclusivamente taiwanese (17,6% nel 1992), il 30,5% sia cinese che taiwanese (46,4% nel 1992), mentre solo il 2,5% si sente cinese (25% nel 1992); il 4,2% non ha risposto (10,5% nel 1992). Si tratta di un trend costante consolidatosi nel tempo, del quale è impossibile non tenere conto: è evidente che la quasi totalità dei taiwanesi ha ormai maturato una mentalità, uno stile di vita e un’identità nazionale democratica del tutto incompatibili con il regime della Repubblica popolare cinese.