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Omessa predisposizione del documento di valutazione dei rischi

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2013, n. 2285

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Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 18/10/2011 il Tribunale di Roma ha dichiarato estinto nei confronti di F.G. per intervenuta prescrizione il reato di cui agli artt. 7, comma 2, e 89 lett. a) del d. Igs. n. 626 del 1994, per non avere egli assicurato il coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione dai rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione di un’opera presso i lavori della centrale T..

2. Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato lamentando, con un unico motivo, l’erronea applicazione degli artt. 26 e 90 del d.Igs. n. 81 del 2008 come modificati dal d. Igs. n. 106 del 2009 nonché il travisamento del fatto in rapporto a specifiche prove documentali acquisite nel corso del giudizio. Premette che committente dei lavori di specie, consistiti nella manutenzione di un commutatore della T. Spa affidata alla O. S.r.l. di cui l’imputato era responsabile, è stata la predetta T. e che l’imputato ha, nel corso di detti lavori, avuto a subire lesioni gravi da parte del responsabile della T. S.p.a. G.F., condannato infatti, per tale reato, dal Tribunale di Roma con sentenza del 26/05/2011; precisa che in detta sentenza si è sottolineato che la T. non ha fornito il piano di sicurezza coordinato, la cui predisposizione era contemplata dallo stesso contratto di appalto. Ciò posto, censura la considerazione della sentenza impugnata secondo cui spettava anche a O. per legge e per contratto, di redigere il piano di sicurezza coordinato; infatti, a mente del punto 4 di tale contratto, tale obbligo incombeva sulla sola T. (di qui deducendosi il travisamento del fatto), mentre, in virtù di legge, a seguito dell’introduzione degli artt. 26, comma 3, e 90 del d.Igs. n. 81 del 2008, l’obbligo di predisposizione del D.u.v.r.i. (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze, già piano di coordinamento per la sicurezza) gravava ancora una volta sulla sola committente e non anche sull’appaltatore; in particolare sottolinea che l’art. 55, comma 5, lett d) del d. Igs. n. 81 cit. prevede la sanzione penale, in caso di omessa predisposizione, per il “datore di lavoro committente”, e richiama in proposito la giurisprudenza in tal senso anche anteriore alla introduzione della norma.

 

Considerato in diritto

 

3. Va anzitutto precisato che, in tema di lavori eseguiti a seguito di contratto d’appalto o d’opera, l’art. 7, comma 2, del d. Igs. n. 626 del 1994, prevedeva che i “datori di lavoro”, genericamente indicati, dovessero cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto (lett. a) e dovessero coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva (lett. b) ; sempre l’art. 7, al comma 3, prevedeva poi che spettasse al “datore di lavoro” promuovere il coordinamento di cui al comma secondo lettera b).

Successivamente, con l’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 494 del 1996, si era precisato che la redazione ovvero l’accettazione e la gestione da parte dei “singoli datori di lavoro” dei piani di sicurezza e coordinamento secondo quanto definito dall’art. 12 costituisse “adempimento delle norme previste…. dall’articolo 7, commi 1, lettera b), e 2 del decreto legislativo n. 626/1994”., in tal modo riferendo anche l’obbligo redazione di detti piani ai datori di lavoro indifferentemente intesi.

La previsione dell’art. 7, abrogata dal d. Igs. n. 81 del 2008, è stata, con riferimento testuale agli “obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, letteralmente ripresa dall’art. 26, comma 2, dello stesso d. Igs. n. 81 del 2008, che ha riferito gli obblighi di cooperazione e coordinamento di cui sopra ai “datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori”; lo stesso d. Igs. da ultimo citato ha poi sanzionato, all’art. 55 comma 5 lett. d), “il datore di lavoro e il dirigente” per la violazione, tra gli altri, anche dell’art.26, comma 2″. L’art. 26, comma 3, recependo in parte ed ampliando il previgente contenuto dell’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 626 del 1994, ha invece previsto che sia il “datore di lavoro committente” a dover “promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze”.

Ciò posto, risulta pertanto che, sulla base della normativa introdotta dal d. Igs. n. 81 del 2008, sono oggi configurabili, tra gli altri, in relazione all’aspetto della prevenzione in caso di appalto, due distinti e non sovrapponibili obblighi, ovvero, da un lato, quello di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, imposto ai “datori di lavoro” genericamente denominati “ivi compresi i subappaltatori” (obbligo contemplato appunto dall’art. 26 comma 2 ed autonomamente sanzionato dall’art. 55, comma 5, lett. d), e, da un altro, quello di promuovere la cooperazione ed il coordinamento elaborando il documento di valutazione dei rischi (obbligo contemplato dall’art. 26, comma 3, parimenti distintamente sanzionato dall’art. 55, comma 5, lett. d), imposto testualmente al solo “datore di lavoro committente” e non anche come, in precedenza, era per effetto del necessario coordinamento tra le già ricordate previsioni dell’art. 7, comma 2, d. Igs. n. 626 del 1994, e 9, comma 2, del d. Igs. n. 494 del 1996, ai datori di lavoro non committenti.

3.1. A ciò consegue, pertanto, che la condotta di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi, in precedenza denominato dalla legge quale piano di sicurezza e coordinamento, debba essere oggi ritenuto un reato proprio del “datore di lavoro committente”, senza possibilità di estensione del medesimo, pena, diversamente, la violazione del principio di tassatività della legge penale, al datore di lavoro appaltatore.

Va aggiunto che, del resto, lo stesso art. 26, comma 3

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cit., sul punto integrato dall’art. 16, comma 2, lett. a), del d. Igs. 3 agosto 2009, n. 106, ne impone l’adeguamento “in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture”, sicché l’unico soggetto in condizione di poter procedere a tale adeguamento non può che essere il committente. In definitiva, così come la redazione del “documento di valutazione dei rischi” è obbligo esclusivo del datore di lavoro, analogamente la redazione del D.u.v.r.i. è obbligo del datore di lavoro committente, pur potendo lo stesso essere delegato a terzi (presupponendo peraltro pur sempre la delega che l’obbligo gravi sul medesimo datore di lavoro), sicché estendere un tale obbligo a soggetto terzo, nel caso di specie il lavoratore autonomo appaltatore, peraltro infortunatosi, snaturerebbe la ratio della norma che vuole che sia evidentemente il datore di lavoro committente a rendere edotti dei rischi le ditte appaltatrici.

Né in senso contrario parrebbe potersi valorizzarsi il precedente rappresentato da Sez. 4, n. 43111 del 09/10/2008, Cupidi e altri, Rv. 241369 (menzionata anche nella sentenza impugnata), che, trattando della redazione del piano operativo di sicurezza e non del D.u.v.r.i., e citando in motivazione, quali parametri normativi di riferimento, gli artt. 17 e 18 del d. Igs. n. 81 del 2008, appare evidentemente riferirsi agli obblighi generali di ogni datore di lavoro rispetto alla tutela dei propri lavoratori al di fuori di esigenze di coordinamento derivanti da lavori eseguiti in appalto, non considerate, infatti, da tali previsioni. Va, in particolare, aggiunto che, se è vero che l’art. 18 lett. p) prevede, tra gli obblighi del “datore di lavoro” , quello dell’elaborazione del “documento di cui all’articolo 26 comma 3” (ovvero, appunto, il D.u.v.r.i.), il datore di lavoro in oggetto non può essere se non quello testualmente e specificamente citato dallo stesso art. 26 comma 3, ovvero il datore di lavoro “committente”. Va anzi sottolineata, ad ulteriore conferma, sotto un profilo sistematico, del fatto che il richiamo effettuato dalla lett. p) dell’art. 18 non può considerarsi come introduttivo di un obbligo anche per i datori di lavoro non committenti, una ulteriore considerazione. La violazione dell’art. 18, lett. p), prima parte (ovvero appunto quella dell’obbligo di redazione del documento di cui all’art.26, comma 3) è, a ben vedere, sprovvista di sanzione, giacché la lett. e) dell’art. 55 sanziona unicamente, con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro, “la violazione degli artt. 18, comma 1, lettere…p), seconda parte”, ovvero, segnatamente, la violazione dell’obbligo di consegna tempestiva di copia al rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Se quindi il legislatore avesse voluto configurare, per la mancata elaborazione del documento di cui all’art. 26, comma 3, un illecito penale per tutti i datori di lavoro “in genere”, avrebbe dovuto evidentemente prevedere una sanzione ad hoc; il non averlo fatto, scegliendo invece di sanzionare, attraverso il già menzionato art. 55, comma 5, lett. d), unicamente la sola specifica violazione dell’art. 26, comma 3, ossia la violazione di un obbligo posto a carico del solo “datore di lavoro committente”, come recita l’incipit dello stesso comma 3, non può che essere indicativo della non pertinenza rispetto all’obbligo in oggetto della previsione dell’art. 18.

Infine, ad ulteriore conforto di quanto sin qui detto, va aggiunto che l’art. 29, comma 4, del d. Igs. n. 81 del 2008 prevede che “Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), e quello di cui all’articolo 26, comma 3, devono essere custoditi presso l’unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi”. E’ infatti evidente che se spetta al datore di lavoro “committente”, ossia a colui che ha “la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo” (art. 26, comma 1), la custodia del D.u.v.r.i., tale obbligo non può che essere la conseguenza del fatto che è lui stesso che lo elabora, coordinandosi con l’appaltatore ed assumendosene la paternità, nonché mettendolo a disposizione degli organi di vigilanza in caso di accesso ispettivo presso il luogo di lavoro ove si svolge l’attività in appalto.

4. Posto allora quanto sopra, nella specie, all’imputato, quale legale rappresentante della ditta appaltatrice O. risulta essere stato contestato il reato, accertato in data 26/02/2007 e previsto dalla previgente normativa, di cui agli artt. 7, comma 2, e 89 lett. a) del d. Igs. n. 626 del 1994, essendosi appunto allo stesso testualmente addebitata la condotta di non avere egli “assicurato il coordinamento degli interventi di protezione dai rischi cui erano esposti i lavoratori”. La sentenza impugnata, tuttavia, muovendo dal presupposto che in tale addebito rientrasse anche e soprattutto l’inadempimento circa l’obbligo di elaborazione del piano di coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione dai rischi (vedi pag. 3 della sentenza : “assunto del P.M. è che l’odierno imputato non avesse ottemperato all’obbligo normativamente previsto di redigere un piano di coordinamento degli interventi di prevenzione protezione dai rischi che fosse comune ai vari soggetti in quei cantieri operanti”), obbligo invece, per quanto appena detto, inesigibile, posto che lo stesso non poteva non ricadere, quanto meno successivamente all’entrata in

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vigore del d. Igs. n. 81 del 2008, ed in forza dell’art. 2 c.p., se non sulla sola committente, e concentrando le proprie considerazioni unicamente su tale, fondamentalmente ultroneo, aspetto, ha, così facendo, mancato di illustrare gli ulteriori elementi, ove sussistenti, dimostrativi del mancato coordinamento addebitato.

La sentenza andrebbe dunque annullata con rinvio per omessa motivazione, essendo tuttavia la regressione del giudizio conseguente impedita dalla maturata prescrizione, già rilevata del resto dal giudice di primo grado; infatti, come costantemente enunciato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 c.p.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 40799 del 18/09/2008, P.G. in proc. Merli, Rv. 241474). Né il ricorrente ha evidenziato, al di là delle esatte puntualizzazioni in ordine alla insussistenza dello specifico obbligo di redazione del D.u.v.r.i., elementi indicativi della non sussistenza, sotto il profilo dell’art. 129 c.p.p., della violazione del più generale obbligo di assicurazione del coordinamento degli interventi di protezione.

Ne consegue come il ricorso debba essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.