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Formazione dei medici specialisti (TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 26 aprile 2012, n. 8427)

 

TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 26 aprile 2012, n. 8427

Accesso alla formazione dei medici specialisti

Tardiva attuazione delle direttive del Consiglio n. 75/363/Cee in data 16.06.75 e n. 82/76/Cee in data 26.01.82 concernenti, tra l’altro, la previsione di criteri minimi di coordinamento delle disposizioni normative ed amministrative degli Stati membri relative alla disciplina delle condizioni di accesso alla formazione dei medici specialisti ed al conseguimento del relativo titolo professionale.

I medici specializzandi nel domandare la retribuzione fanno valere il diritto soggettivo alla retribuzione violato dal ritardo nell’attuazione della direttiva comunitaria.

?L’omessa o inesatta attuazione di una direttiva comunitaria deve configurarsi come violazione, da parte dello Stato membro, degli obblighi derivanti dal Trattato (artt. 5 e 189) e, quindi, come condotta illecita, fonte di obbligazione risarcitoria in presenza delle condizioni indicate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ne consegue che, in favore dei medici specializzati (nella specie, in un periodo compreso tra il 1983 ed il 1991) i quali, a causa della tardiva trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE (intervenuta soltanto con il d.lgs. n. 251 del 1991), non hanno potuto godere del diritto ad una adeguata remunerazione per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione, quale beneficio previsto dalle puntuali e precise disposizioni sovranazionali (nei termini precisati dalla sentenza della Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, in C-131/97), deve essere riconosciuto il risarcimento del danno immediatamente e direttamente correlato alla predetta mancata tempestiva attuazione delle citate direttive nell’ordinamento interno? (Cass. 12.2.2008, n. 3283).

Il danno da risarcire ? ovviamente pari alle retribuzioni che il medico avrebbe percepito se la regola comunitaria fosse stata tempestivamente introdotta nell?ordinamento italiano.

 

TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 26 aprile 2012, n. 8427

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata, gli attori, iscritti ad un corso di specializzazione anteriormente all?anno accademico 1993/94, hanno chiesto la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla corresponsione della remunerazione prevista dall’art 6 del D. L.vo n. 257 del 1991, ovvero al risarcimento danni per la mancata tempestiva attuazione delle direttive CEE nn. 75/363 e 82/76 in materia di specializzazioni mediche, ovvero in subordine la condanna delle suddette amministrazioni all’arricchimento ingiustificato.

Si sono costituite le amministrazioni convenute eccependo la prescrizione del diritto azionato dall’attore; nel merito, hanno contestato la fondatezza dell’avversa domanda e la sussistenza del danno.

Hanno dunque concluso chiedendo rigettarsi l’avversa domanda.

Espletata l’istruttoria e precisate le conclusioni, la causa ? stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1) – La domanda trae origine dalla tardiva attuazione delle direttive del Consiglio n. 75/363/Cee in data 16.06.75 e n. 82/76/Cee in data 26.01.82 concernenti, tra l’altro, la previsione di criteri minimi di coordinamento delle disposizioni normative ed amministrative degli Stati membri relative alla disciplina delle condizioni di accesso alla formazione dei medici specialisti ed al conseguimento del relativo titolo professionale.

La controversia pu? essere intesa in tre modi :

a) come introdotta da una domanda volta all’adempimento dell’obbligo di pagare l’indennit?, facendo valere quanto prescritto dalle direttive comunitarie. Si tratta di una domanda basata sull’argomento per il quale la legge italiana (che ha tardivamente recepito le direttive comunitarie), se opportunamente interpretata, pu? essere intesa nel senso che riconosce il diritto alla indennit?, per come previsto, per l’appunto, da quelle direttive. S? tratta cio? di una normativa che , opportunamente interpretata, recepisce il diritto della Unione.

Questa impostazione porta ad affermare l’obbligo dell’ente datore di corrispondere al medico specializzando la retribuzione. Poich? per? la somma non ? mai stata erogata, si chiede che la pubblica amministrazione venga condannata a farlo;

b) oppure si pu? intendere la domanda nel senso che l’attivit? legislativa dello Stato, proprio perch? ha tardivamente recepito le direttive comunitarie, e conseguentemente ha riconosciuto il diritto alla indennit? solo a partire dal 1991, ? una attivit? illegittima, che ha causato agli interessati un danno ingiusto risarcibile, ai sensi dell’art. 2043 c.c.;

c) infine si pu? ritenere la domanda secondo un recente orientamento delle sezioni unite (Cass. sez. un. n. 9147 del 2009) come richiesta di indennizzo per un’attivit? non gi? illecita ai sensi dell’art. 2043 c.c., ma per quello che la Cassazione chiama ? il ed fatto illecito del legislatore di natura indennitaria?.

Si intende che le tre qualificazioni della domanda sono tra loro incompatibili.

Infatti:

a) o la legge che ha recepito le direttive pu? essere intesa come una legge che riconosce il diritto, e dunque il medico non pu? che pretendere l’adempimento dell’obbligo di corrispondere l’indennit?;

b) oppure, la legge di attuazione non pu? essere intesa – nemmeno attraverso la disapplicazione delle norme contrastanti- come attuativa del diritto comunitario, ed allora essa ? una legge che non riconosce alcun diritto ai medici specializzati prima del 1991, per cui il ritardo nella sua promulgazione costituisce un danno per questi ultimi; i quali, non possono chiedere alla pubblica amministrazione di adempiere e di soddisfare il loro diritto alla indennit?, posto, per l’appunto, che un tale diritto non ? stato (si assume illegittimamente) riconosciuto da legislatore; n? un tale riconoscimento pu? derivare da una interpretazione adeguatrice della legge. Essi possono invece chiedere il risarcimento del danno cagionato dalla tardiva attuazione della direttiva, che ha impedito loro l’esercizio del diritto in astratto previsto dalla regolamentazione comunitaria ; diritto che avrebbero esercitato se la direttiva fosse stata tempestivamente attuata. E questo vale sia che la tardiva attuazione costituisca illecito aquiliano (art. 2043 c.c.) sia che invece si adotti la tesi delle Sezioni unite ?dell’illecito del legislatore di natura indennitaria?.

Vanno allora verificate diverse qualificazioni della fattispecie. Esse possono invero essere ridotte a due, poich? quelle sub b) e c) postulano egualmente una condotta illecita del legislatore per tardiva attuazione della direttiva.

Prima di tutto va per? affermata la giurisdizione del giudice ordinario, per un motivo che sar? chiaro dalle successive argomentazioni, ma che si pu? anticipare sin d’ora. I medici specializzandi nel domandare la retribuzione fanno valere non gi? l’interesse legittimo a che lo Stato legiferi (o lo faccia in un certo modo), bens? il diritto soggettivo alla retribuzione violato dal ritardo nell’attuazione della direttiva comunitaria.

2) – Va innanzitutto osservato come la Corte di Cassazione ha finora sempre ritenuto che la legge del 1991 non attua pienamente le direttive comunitarie, o meglio le ha attuate tardivamente, e che in tale ritardo ? ravvisabile un atto illecito.

Da ultimo si ? cos? espressa: ?La mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non ne consentivano la quantificazione – fa sorgere, conformemente ai principi pi? volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della “chance” di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime ? (Cass. 11.3.2008, n. 6427).

Ed ancora, pi? esplicitamente : ?L’omessa o inesatta attuazione di una direttiva comunitaria deve configurarsi come violazione, da parte dello Stato membro, degli obblighi derivanti dal Trattato (artt. 5 e 189) e, quindi, come condotta illecita, fonte di obbligazione risarcitoria in presenza delle condizioni indicate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ne consegue che, in favore dei medici specializzati (nella specie, in un periodo compreso tra il 1983 ed il 1991) i quali, a causa della tardiva trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE (intervenuta soltanto con il d.lgs. n. 251 del 1991), non hanno potuto godere del diritto ad una adeguata remunerazione per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione, quale beneficio previsto dalle puntuali e precise disposizioni sovranazionali (nei termini precisati dalla sentenza della Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, in C-131/97), deve essere riconosciuto il risarcimento del danno immediatamente e direttamente correlato alla predetta mancata tempestiva attuazione delle citate direttive nell’ordinamento interno? (Cass. 12.2.2008, n. 3283).

Infine Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 considera la tardiva attuazione, come si ? avuto modo di ripetere pi? volte, ?un fatto illecito del legislatore di natura indennitaria?.

Dunque, la Corte di Cassazione vede nella legge di attuazione delle direttive comunitarie a favore dei medici, non gi? un adempimento di quelle direttive, ossia non gi? un atto nel quale (sia pure attraverso una disapplicazione di quanto contrastante con la norma comunitaria, o una interpretazione adeguatrice e retroattiva) pu? essere visto un riconoscimento del diritto alla indennit?, tale da consentire ai medici di agire per l’adempimento; vi vede piuttosto una ritardata attuazione delle direttive; vi vede una norma che, essendo emanata solo nel 1991, riconosce il diritto soltanto a partire da tale data, e dunque una norma che non riconosce il diritto per il periodo precedente. Il che impedisce al medico di agire per l’adempimento, ossia di agire per far rispettare il diritto alla indennit?; ma consente al medico di agire per far dichiarare che il mancato riconoscimento del suo diritto ? illecito, e dunque di lamentare un danno.

La Corte di Cassazione, dunque, sembra smentire la tesi per la quale la legge nazionale pu? essere intesa nel senso che ha adempiuto alla normativa comunitaria, tesi che avrebbe il supporto di alcune decisioni della Corte di Giustizia (nei casi Gozza e Carbonari, sentenze 25 febbraio 1999 causa C-131/97, Carbonari e a. e/ Universit? di Bologna e a., in Guida al dir., 1999, fase. 11, 117, e 3 ottobre 2000 causa C-371/97, Gozza e a. e/ Univ. di Padova e a., in Foro It.; 2001, IV, 70) la quale ha espressamente indicato al giudice nazionale la strada di una interpretazione retroattiva della legge del 1991, che conseguentemente si deve applicare anche ai medici che hanno frequentato il corso di specializzazione a partire dal 1983.

In particolare, la Corte suggerisce al giudice nazionale la necessit? di tendere comunque al risultato voluto dalla direttiva, ossia di interpretare la legge nazionale in un senso che consenta comunque di dare effettivit? allo scopo sotteso alla direttiva comunitaria. In tal senso: “l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva” (sent. Gozza, punto 39 della motivazione; sent. Carbonari, punto 53 della motivazione).

La legge di attuazione del 1991, pur espressamente disponendo che il diritto ? riconosciuto solo a partire da tale anno, dovrebbe in pratica essere intesa come se riconoscesse il diritto a partire dal 1983, ossia dalla data in cui avrebbe dovuto, tale legge, essere promulgata ( e, per ritardi dello Stato italiano, ci? non ? avvenuto). In tal senso, della legge si deve fare un’applicazione retroattiva, ma se va fatta una applicazione retroattiva della legge, allora ? da ritenersi esistente un diritto del medico- che abbia frequentato il corso di specializzazione dopo il 1983- a percepire una retribuzione adeguata. Il medico, in ipotesi, potrebbe dunque agire per il rispetto di tale diritto nei confronti della pubblica amministrazione che glielo nega, ossia che di fatto non gli corrisponde la suddetta retribuzione.

Il rifiuto, sia pure implicito, di questa tesi nelle decisioni della Corte di Cassazione ? condivisibile.

Due argomenti almeno si possono addurre a sostegno del rifiuto della tesi suddetta.

Il primo ? che l’interpretazione adeguatrice presuppone un contrasto, mentre al legislatore italiano non ? propriamente imputabile un contrasto, bens? un ritardo nell’attuazione della regolamentazione comunitaria. Altro ? tendere con l’interpretazione a sanare un contrasto tra norme, altro ? pretendere , sempre per via di interpretazione, di ovviare ad un ritardo del legislatore.

Invero, non manca chi ritiene che tra la legge che nel 1991 attua le direttive comunitarie e queste ultime vi sia un vero e proprio contrasto. Ci? ? chiaramente detto in alcune pronunce di merito ? inoltre, deve rilevarsi che la direttiva n. 82/76/Cee non ? stata correttamente recepita nell’ordinamento nazionale (Cfr. Corte di Giustizia 10.07.97 in cause riunite C-94/95 e C-95/95).

Ed invero, la violazione degli obblighi comunitari da parte dello Stato convenuto trova riscontro obiettivo innanzitutto nella inutile scadenza del termine ultimo (31.12.82) imposto agli Stati membri dalla direttiva n. 82/76 per l’adeguamento; in secondo luogo nella mancata allegazione di circostanze impeditive o di altre ragioni giustificative del ritardo allegate dalla difesa erariale, non essendosi avvalso lo Stato italiano della deroga eccezionale prevista dall?art. 3 dir. 75/363 e successive modifiche?.

In pratica, la norma interna (la legge del 1991) ? in contrasto con la normativa comunitaria proprio perch? l’ha recepita in ritardo senza giustificato motivo. Il contrasto ? ancora pi? evidente ove si pensi che la legge del 1991 ha escluso dai benefici i medici specializzandi prima di quella data .

Invece, a ben vedere, anche dal punto di vista da ultimo considerato, tra la norma comunitaria e quella in tema non v’? alcun contrasto. La norma interna non viola quella comunitaria, quanto piuttosto la recepisce in ritardo, ed ? recependola in ritardo che crea una disparit? tra il prima ed il dopo. Altro ? la violazione della normativa comunitaria, altro ? la tardiva attuazione della medesima.

Il legislatore italiano, stabilendo a favore dei medici specializzandi un diritto alla indennit?, ha in realt? attuato la direttiva comunitaria, che per l’appunto, sia pure in modo non talmente dettagliato da potersi imporre direttamente, ha chiesto al legislatore nazionale di prevedere quel diritto. Solo che il legislatore nazionale lo ha fatto con ritardo, ed ha cos? riconosciuto quel diritto a partire dal 1991, escludendo dal beneficio i medici ammessi alla specializzazione prima di quell?anno.

Detto in altri termini, dalla direttiva comunitaria sarebbe derivato al medico, iscritto alla specializzazione prima del 1991, un diritto all?indennit?. La violazione di tale diritto non ? in un contrasto tra la norma interna – che pure ha attuato la direttiva – e quella comunitaria ; la violazione del diritto sta nel ritardo con cui la norma interna ha recepito la direttiva comunitaria.

Il contrasto tra la norma comunitaria e quella interna comporta che un diritto riconosciuto dalla prima viene negato o limitato dalla seconda. Nel caso in questione invece il diritto alla indennit? non ? negato dalla norma nazionale, se non per via del ritardo nel recepimento del diritto comunitario.

Che poi la normativa interna possa contenere punti di contrasto su altri aspetti ? questione ovviamente diversa. Ci? che importa ? che il diritto alla indennit? ? leso per via del ritardo nella attuazione e dunque del ritardo del momento di entrata in vigore della legge nazionale, piuttosto che per via di una diretta negazione del diritto da parte della norma interna.

Ed il ritardo non si compone con una interpretazione adeguatrice, come invece accade per il contrasto.

La via della interpretazione adeguatrice comporta in questo caso un’applicazione retroattiva della norma, non gi? l’adeguamento del suo significato a quello espresso dalle direttive comunitarie.

In buona sostanza, se si pu? sopperire con l’interpretazione ad un contrasto di significati, non si pu? sopperire con l’interpretazione ad un ritardo legislativo. L?unica forma di interpretazione retroattiva ? quella autentica.

Non vi sono dunque possibilit? di ritenere che la legge italiana abbia recepito il diritto alla retribuzione anche per i medici che hanno compiuto il corso prima del 1991. Tra l’altro, se cos? fosse, la domanda dovrebbe essere rivolta nei confronti dell’Universit? tenuta al pagamento, piuttosto che dello Stato, se si ammette che quest’ultimo ha comunque adempiuto. Posto che il diritto pu? farsi risalire retroattivamente (per via interpretativa) al 1982 allora ? l’Universit? di appartenenza ad essere tenuta al pagamento del dovuto.

3) – E’ da escludere dunque che, nonostante la legge sia del 1991, possa, per via interpretativa intendersi come se avesse introdotto il diritto alla retribuzione anche per le specializzazioni ultimate prima di quell’anno, prima della entrata in vigore.

Ci? inevitabilmente comporta la necessit? di ammettere che la condotta dello Stato, ritardando l’attuazione della diretti va, ha escluso i medici specializzati prima del 1991 dal diritto alla retribuzione. Questi ultimi non possono dunque domandare l’adempimento, poich? prima del 1991 non v’era obbligo di retribuirli, ma possono domandare il risarcimento per via del fatto che il legislatore, recependo la direttiva in ritardo, ha finito con l’escluderli dal novero degli aventi diritto.

Poich? per? lo Stato eccepisce la prescrizione del diritto al risarcimento, ? importante qualificare la condotta consistente nel ritardo nell’attuazione della direttiva.

La Corte di Cassazione, come si ? visto, (sez. un. n. 9147 del 2009) ritiene che la condotta dello Stato che violi o che ritardi nell’attuare il diritto comunitario ? riconducibile ?allo schema della responsabilit? per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attivit? non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno?.

Ci? comporterebbe un termine di prescrizione decennale, anzich? di cinque anni, come sarebbe se si applicasse invece l’art. 2043 c.c..

La tesi delle sezioni unite ? fondamentalmente questa: il ritardo con cui lo Stato attua le direttive non pu? essere inteso come comportamento antigiuridico (anche se, nel corso della motivazione, e precisamente al punto 4.9 si parla di ?atto illecito del legislatore di natura indennitaria?). Pu? esserlo nell’ordinamento comunitario, ma non gi? in quello interno. Poich? l’omissione del legislatore non ? antigiuridica, non si pu? fare ricorso all?art. 2043 c.c..

Queste parole sono l’eco di un antico problema, quello della responsabilit? dello Stato per l’attivit? legislativa. Spesso si dice che lo Stato non pu? essere responsabile n? del fatto di avere legiferato, n? di quello di non averlo fatto, n? del modo in cui lo ha fatto. L’attivit? legislativa ? libera, produce semmai responsabilit? politica, ma non gi? responsabilit? civile. Il cittadino non pu? dolersi del cattivo uso del potere legislativo.

Non vi sarebbe, in altri termini, un diritto soggettivo del cittadino a che lo Stato legiferi (o a che lo faccia in un certo modo), E’ vero che in alcuni ordinamenti, per esempio, quello spagnolo, al contrario ? affermato un diritto del cittadino alla corretta legislazione, tanto ? vero che si ammette la responsabilit? dello Stato, ed il conseguente diritto ai danni in caso di leggi dichiarate incostituzionali. Ma, nonostante la diffusione di questo criterio di ragionamento, esso ? del tutto fuorviarne.

In realt?, chi agisce per far valere la responsabilit? dello Stato legislatore non invoca affatto un diritto soggettivo a che lo Stato legiferi, ma invoca la lesione del diritto riconosciuto dall’ordinamento comunitario e disatteso (e dunque violato) da quello interno.

Nella fattispecie, i medici specializzandi non allegano la lesione di un diritto a che lo Stato legiferi, ma allegano la lesione del diritto loro riconosciuto dall?ordinamento comunitario.

E’ chiaro allora che se il problema ? posto in tali termini, ? male impostato.

Inoltre, altrettanto discutibile ? che l’attivit? del legislatore pu? essere riguardata come illecita nell’ambito del diritto comunitario, ma non in quello del diritto interno. Ci? tradisce non solo la convinzione, ma la stessa diffusa regola della sovraordinazione dell’ordinamento comunitario a quello interno, cos? che la violazione del primo ad opera del secondo non pu? che essere antigiuridica anche nell’ambito del diritto nazionale. Oggi ? peraltro ormai riconosciuta la vincolativit?, per il legislatore nazionale, della CEDU (Corte cost. n. 348 del 2007). L’orientamento della Corte Costituzionale ? nel senso che l’illegittimit? comunitaria di una norma si traduce anche nella sua illegittimit? interna. Infatti, la corte sempre pi? spesso ritiene che, in ragione anche del riformato art. 117 della Costituzione, la legge interna che viola il diritto comunitario non ? solo disapplicabile ma anche illegittima (per esempio Corte cost. n. 406 del 2005 dichiara l?illegittimit? di una legge per contrasto con l’art. 117 cost. dovuta all’inosservanza di atti comunitari).

Ne deriva che non si pu? sostenere l’idea che la violazione del diritto comunitario rilevi come fatto antigiuridico solo nell’ambito del diritto comunitario, e non gi? nell’ambito del diritto interno. La violazione del diritto comunitario ? in realt? motivo di illegittimit? dell’atto anche nel diritto interno.

L’orientamento della Corte costituzionale lo testimonia.

Altro discorso ? invero quello relativo al criterio con cui giudicare questa illegittimit?. Ossia, posto che la condotta del legislatore, che viola il diritto comunitario, ? illecita anche secondo il diritto interno, quale ? la norma di riferimento per valutare questo illecito ?

Pur non condividendosi la tesi della Corte di Cassazione, va considerato che essa ? ormai quasi consolidata. Da ultimo infatti, La Corte ha ribadito la regola (Cass. 17.5.2011, n. 10813) stabilendo che la prescrizione decorre dal 27.10.1999.

La citazione ? di settembre del 2009, e dunque di poco inferiore al termine di prescrizione.

Va considerato che sebbene la tesi sembri essere smentita dall’art. 4, comma 43 della legge n. 183 del 2011, che invece considera la violazione come fatto illecito, contrariamente all’assunto della Cassazione, e dunque quinquennale la prescrizione, tale disposizione non si applica perch?, non avendo natura di norma interpretativa, non riguarda le fattispecie pregresse, ma solo quelle successive alla sua entrata in vigore.

Per quanto s? ? detto, poich? la domanda va intesa come di risarcimento del danno extracontrattuale subito, e non gi? di adempimento di un obbligo contrattuale, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri convenuti, con compensazione delle spese, mentre va ritenuta la legittimazione passiva della Repubblica Italiana.

Il danno da risarcire ? ovviamente pari alle retribuzioni che il medico avrebbe percepito se la regola comunitaria fosse stata tempestivamente introdotta nell?ordinamento italiano.

Non v’? prova del maggiore danno, mentre gli interessi decorrono dalla domanda, che ? l’unico atto di messa in mora.

Le spese perci? possono essere compensate, anche in ragione delle difficolt? interpretative e dei contrasti dottrinali e giurisprudenziali sul punto.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, cos? provvede;

a)- Condanna la Repubblica Italiana, in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore degli attori della somma di 11.103,82 ?. per ogni anno del corso di specializzazione, oltre interessi dalla domanda.

b)- condanna altres? la Repubblica Italiana al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessive 3200,00 ?., oltre IVA e CPA.

c) dichiara il difetto di legittimazione passiva degli altri convenuti, con compensazione delle spese.

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d)- Manda alla Cancelleria per le comunicazioni.