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Signor Presidente, Onorevoli Senatrici e Senatori,
desidero anzitutto esprimere un sincero ringraziamento per l?occasione che mi ? offerta di fornire chiarimenti a quest?Aula e, attraverso essa, al Paese su un tema che ha suscitato e suscita forte interesse e grande apprensione tra i lavoratori e le loro famiglie. Spero di riuscire finalmente a chiarire una situazione oggettivamente complessa, con elementi di incertezza gi? a partire dalla individuazione dei soggetti interessati, anzitutto in termini concettuali e conseguentemente in termini numerici.
Il linguaggio giornalistico ha usato indifferentemente i termini salvaguardati, esodati ed esodandi, collocati e collocandi in mobilit?, e cos? via.
Sono sempre stata dell?avviso che la definizione corretta debba essere quella di lavoratori che meritano, pur con costi per la collettivit?, di essere salvaguardati dagli effetti del recente inasprimento dei requisiti per il pensionamento. E lo meritano in quanto, rimasti privi di lavoro, avrebbero avuto, in un arco temporale ridotto, accesso alla pensione secondo le regole previgenti. Chiunque pu? vedere, in questa definizione, una commistione di elementi economici, giuridici, sociali e anche etici che riduce la misurabilit? oggettiva dell?aggregato.
Divider? il mio intervento in tre parti, seguite da alcune riflessioni conclusive: una prima parte dedicata alla ricostruzione dei fatti; una seconda alla ricognizione dei numeri; una terza alle proposte di soluzioni. Spero che l?esposizione, che a tratti potr? apparire quasi “noiosa elencazione”, sia atta a fornire adeguati elementi di conoscenza e di giudizio.
1. La ricostruzione
La riforma previdenziale del dicembre 2011 (Decreto legge 201/2011 convertito nella legge 214/2011) ? stata approvata sotto l’incombere di una crisi finanziaria che ha indotto il Governo non soltanto a proporre misure severe, ma anche a farlo in tempi molto rapidi. Questa riforma aveva dichiaratamente un duplice scopo: non soltanto introdurre ineludibili misure di stabilizzazione finanziaria ma anche dare il via a una grande operazione di ribilanciamento dei rapporti tra le generazioni, per troppo tempo squilibrati a sfavore dei giovani.
Per mitigare gli effetti della riforma ci si ? proposti fin dall’inizio di salvaguardare i precedenti requisiti pensionistici nei confronti di chi avesse conseguito i requisiti del previgente ordinamento entro il 31 dicembre 2011, e di chi, prossimo al pensionamento, avesse perso o lasciato il suo lavoro proprio per accedervi in un arco temporale ragionevole. In questo secondo caso, proprio perch? il diritto alla pensione non era ancora maturato, non si tratta per? di garantire diritti acquisiti. Si tratta, piuttosto, di tener conto delle comprensibili aspettative dei lavoratori verso un prossimo pensionamento, operandone un contemperamento con le contrapposte esigenze di stabilizzazione finanziaria.
La finalit? primaria della norma di salvaguardia ? pertanto quella di evitare che lavoratori ormai privi di lavoro perch? prossimi al pensionamento si trovino senza alcuna copertura reddituale.
Da qui la misura prevista dal decreto Salva Italia, e il conseguente accantonamento di risorse per consentire il pensionamento secondo le norme previgente previdenti a un contingente stimato in 65.000 unit?. Lasciatemi ripercorrere brevemente la genesi del problema numerico.
In sede di definizione della riforma, i lavoratori da salvaguardare rispetto ai nuovi, pi? stringenti requisiti per il pensionamento furono stimati da INPS e RGS in circa 50.000. Tale numero fu quindi aumentato a 65.000 per garantire un margine di flessibilit?, e si stanziarono le relative risorse. Poich? il Decreto disponeva che i pensionamenti del 2012 avvenissero comunque sulla base delle vecchie regole, la legge stabil? nel 31 marzo il termine per la presentazione del relativo decreto interministeriale, cos? da consentire al Governo di approntare un provvedimento ragionato.
Successivamente, con l’approvazione del decreto mille proroghe (Decreto legge n. 216 del 2011 convertito nella legge 14/2012), il Parlamento ha aumentato il numero dei lavoratori da salvaguardare, inserendo, pur con restrizioni, “accordi individuali” e “genitori di figli disabili” e stabilendo una clausola di salvaguardia, questa volta finanziaria, implicante l’aumento dell’aliquota contributiva nel caso di costo eccedente le risorse gi? appostate. Nello stesso tempo il termine per l?emanazione del decreto interministeriale fu spostato al 30 giugno 2012.
Per definire il decreto ho costituito un gruppo di lavoro con dirigenti del Ministero, dell’INPS e della RGS. In tale sede sono emersi con chiarezza alcuni problemi. In particolare, ? apparso molto rilevante il numero dei lavoratori ancora in attivit? o in cassa integrazione interessati da accordi collettivi stipulati a livello governativo, ma ancor pi? a livello territoriale, per la gestione di crisi aziendali attraverso la fruizione di ammortizzatori sociali. Una platea, peraltro, ben difficile da quantificare in mancanza di un registro unico degli accordi sul territorio nazionale, e dei necessari dati relativi ai requisiti anagrafici e contributivi dei lavoratori.
Come Ministro del Lavoro, e di concerto con il Ministro dell?Economia, ho pertanto ritenuto prioritario dare risposta ai lavoratori in pi? immediata situazione di necessit? e quindi preparare il decreto per la salvaguardia del contingente gi? uscito dal lavoro, secondo un naturale criterio di equit? tendente a dare precedenza ai soggetti con maggiore rischio di trovarsi senza reddito e senza pensione.
Ci? non significa, tuttavia, avere trascurato il problema, meno urgente, dei lavoratori non inseriti nella salvaguardia del comma 14, come risulta sia da mie dichiarazioni in Commissione Lavoro alla Camera e al Senato, sia dalla lettera che ho inviato alle organizzazioni sindacali il 20 aprile scorso.
La non imminenza del problema (che riguarda pensionamenti a partire dal 2014) e l’assenza di risorse finanziarie immediatamente reperibili in un bilancio pubblico gi? messo a dura prova da vincoli interni e internazionali hanno indotto a ritenere che lo si sarebbe potuto affrontare nei mesi successivi. Peraltro non gi? con decreto interministeriale, bens? con uno specifico intervento normativo inteso a estendere la salvaguardia anche a tali lavoratori. Ho anche sempre ritenuto che la soluzione dovesse ispirarsi a criteri di equit?, oltre che di sostenibilit? finanziaria, non considerando che, nella diversit? delle situazioni personali e di categoria, tutti siano meritevoli del medesimo livello di salvaguardia.
Termino questa parte con alcune considerazioni sulla questione dei circa 400.000 soggetti, risultanti da una tabella elaborata dall’INPS (qui allegata e quindi agli atti) e che ha impropriamente alimentato la polemica dei giorni scorsi, il dato essendo stato interpretato come il numero di lavoratori da salvaguardare, ci? che non ?.
Anzitutto, respingo, con forza, ogni insinuazione che io abbia fornito informazioni non vere relativamente al numero di lavoratori interessati (questa non ? mai stata mia abitudine, e non voglio certo infrangere la regola in questa mia breve parentesi da ministro tecnico), o che io abbia inteso sottrarre dati alla pubblica conoscenza e discussione. Rivendico anzi di avere assunto, coerentemente con la oggettiva complessit? e con la scansione temporale del problema, un atteggiamento di chiarezza e trasparenza, volto a risolvere subito i problemi pi? prossimi e a cercare soluzioni eque per quelli pi? lontani, nel rispetto di stringenti vincoli finanziari.
Ribadisco altres? quanto gi? affermato: la tabella ? parziale e, ove non corredata da adeguate spiegazioni, fuorviante, cos? da prestarsi a facili strumentalizzazioni.
Parziale perch? essa non contiene tutti gli accordi di mobilit? i cui effetti si perfezioneranno nei prossimi anni (e sui quali il governo sta per l’appunto facendo la ricognizione, come dir? dopo); ma anche fuorviante perch? essa individua un insieme eterogeneo di soggetti costituenti la base dati entro la quale ? stato individuato il contingente effettivo dei 65.000 lavoratori salvaguardati con il decreto.
Il numero comprende infatti:
i. oltre 60.000 soggetti che hanno maturato i requisiti al 31/12/2011, e quindi gi? fatti esplicitamente salvi dall?applicazione dei nuovi requisiti dalla stessa disposizione di cui all?articolo 24 del DL 201/2011. A questi si aggiungono oltre 16.000 soggetti per i quali, come per i precedenti, nulla cambia data la stessa decorrenza tra nuovo e vecchio regime;
ii. soggetti che maturano i requisiti previgenti al di fuori del periodo di mobilit? (la cui inclusione nella platea dei salvaguardati comporta non solo una modifica della legislazione, ma una modifica dell?impostazione assunta negli schemi di deroghe degli ultimi 15 anni);
iii. lavoratori collocati in mobilit? anche dopo la data del 4 dicembre 2011, mentre la disposizione di legge (articolo 24, comma 14 del DL 201/2011) si riferisce ai soggetti cessati e collocati in mobilit? entro la predetta data;
iv. tutti i soggetti licenziati al 31 dicembre 2011, in seguito ad accordi individuali o collettivi, a prescindere dalla data di maturazione del diritto alla decorrenza, mentre il decreto Proroga Termini prevede espressamente che la deroga operi per chi matura la decorrenza del trattamento entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della nuova normativa;
v. tutti i soggetti beneficiari della prosecuzione volontaria, senza alcun criterio selettivo di prossimit? al pensionamento. Per questi il decreto ha adottato, in coerenza con la soluzione adottata dal legislatore per i licenziati individuali, lo stesso criterio di prossimit? di 24 mesi dal pensionamento.
2. La ricognizione sui nuovi lavoratori da salvaguardare
Stabilire con precisione quanti siano i lavoratori interessati da accordi di mobilit?, ma che ancora non hanno risolto il contratto di lavoro non ? semplice, come – purtroppo inascoltata – ho cercato pi? volte di dire. Alle difficolt? della stima numerica si aggiunge necessariamente la ricerca di criteri di equit? e di sostenibilit? finanziaria, come la vicinanza alla pensione e l?et? anagrafica/contributiva del lavoratore. Nel novero vanno anzitutto inclusi i “collocandi in mobilit?” ai sensi di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011 (o entro il 31 dicembre, secondo un odg approvato dal Parlamento) che avrebbero conseguito il trattamento pensionistico secondo le vecchie regole al termine del periodo di mobilit?. Questi lavoratori possono essere attualmente in cassa integrazione, in preavviso, in sospensione, o regolarmente al lavoro e matureranno i requisiti per la pensione fino al 2019.
Con riguardo a questa platea, va da subito precisato che non ? possibile, attraverso i dati a disposizione del Ministero del lavoro e dell?Inps, pervenire a una esatta quantificazione, n? soprattutto alla scansione temporale delle uscite. Gli accordi, infatti, sono noti per i contingenti in aggregato, ma non indicano le anagrafiche sottostanti e non distinguono tra i soggetti che raggiungeranno i requisiti pensionistici al termine della stessa mobilit? e altri. Inoltre, per molti di essi la mobilit? ? volontaria: pertanto, la fruizione della stessa potrebbe essere fortemente influenzata dal perimetro della nuova eventuale salvaguardia.
Con riferimento ai lavoratori individuali, si potrebbe ampliare la platea, inserendo in modo esplicito anche coloro che hanno ripreso a lavorare in modo saltuario, e che maturano la decorrenza entro il 2014. Lo stesso ampliamento potrebbe riguardare i lavoratori cessati.
Questa nuova platea di lavoratori da salvaguardare sarebbe quantificabile, con il margine di errore che le stime necessariamente comportano, in circa 55.000 soggetti, come nel seguito specificato.
a) 40.000 lavoratori in mobilit? ordinaria a seguito di accordi sindacali stipulati entro il 31 dicembre 2011 e con data di licenziamento successiva al 4 dicembre 2011. Di questi, potrebbero rientrare nello status di salvaguardato coloro che maturano i requisiti per la pensione entro la fine del periodo di mobilit?, in coerenza con il precedente decreto. Una verifica dei requisiti contributivi e anagrafici sugli archivi amministrativi dell?INPS individua:
– 4.700 lavoratori gi? in mobilit? ordinaria alla data del 14 giugno 2012, con data di recesso successiva al 4 dicembre, ma non oltre il 31 dicembre 2011;
– 15.300 lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria fino a marzo 2012 (ultimo dato disponibile), che si ipotizza passeranno al trattamento di mobilit? ordinaria della durata di tre o quattro anni;
– 20.000 lavoratori che si prevede saranno posti in mobilit? senza passaggio per la cassa integrazione guadagni straordinaria, stimati sulla base delle numerosit? indicate nelle liste degli accordi governativi stipulati tra il 2008 e il 2011, a disposizione del Ministero del lavoro;
b) 1.600 lavoratori del settore finanziario, aventi diritto ad accedere a fondi di solidariet?, che, per il necessario allineamento delle condizioni di salvaguardia tra settore industriale/servizi e settore finanziario e mantenendo il vincolo dei 62 anni, sono riferibili ad accordi stipulati tra il 4 e il 31 dicembre 2011
c) 7.400 prosecutori volontari (con ultimo versamento contributivo volontario), con pensione avente decorrenza nel 2014 secondo i requisiti previsti dalla previgente normativa (ante 214/2011)
d) 6.000 lavoratori cessati entro il 31 dicembre 2011 in ragione di accordi individuali o collettivi, con pensione avente decorrenza nel 2014 secondo i requisiti previsti dalla previgente normativa (ante 214/2011)
Vorrei far notare che, utilizzando come indicatori i dati dell?anagrafe della cassa integrazione straordinaria e stimando i beneficiari di alcuni accordi di mobilit?, si intercettano non solo accordi governativi, ma anche eventuali accordi regionali, territoriali o aziendali. Ovviamente, un dato pi? preciso riferito a questi ultimi richiederebbe un loro censimento presso le sedi che ne hanno visto la firma.
3. Ipotesi di soluzione
Le soluzioni dovranno tenere conto delle diverse platee descritte e delle loro rispettive peculiarit?, e non necessariamente consistere per tutti in una deroga alla nuova disciplina pensionistica. Occorre anzitutto essere pienamente consapevoli dell?onere che il ripristino dei vecchi requisiti per l?accesso alla pensione di questa nuova platea di lavoratori comporta e della corrispondente sottrazione di risorse rispetto ad altri possibili impieghi, magari egualmente meritevoli di attenzione sotto il profilo sociale. Oneri e coperture dovranno perci? essere attentamente vagliati.
La strada che era stata indicata nel decreto Mille Proroghe di finanziare l?intervento solo ricorrendo a un aumento dell?aliquota contributiva a carico delle imprese, per esempio, determinerebbe un aumento del costo del lavoro, in Italia gi? strutturalmente troppo elevato e quindi si porrebbe in contrasto con l?obiettivo di aumentare l?occupazione.
Il governo si ? gi? espresso ripetutamente manifestando l?intenzione di salvaguardare innanzitutto i lavoratori interessati da accordi collettivi, in specie sottoscritti con l?ausilio dello stesso governo, attraverso il Ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo, dato che l?approdo alla pensione al termine della mobilit? era considerato in tali sedi elemento essenziale per la stessa conclusione dell?accordo. Per altre categorie, la salvaguardia potrebbe riguardare coloro i quali maturano il diritto entro il 2014 o hanno superato una soglia di et? (per es. 62 anni).
Per quanto riguarda i lavoratori meno anziani, il mix delle soluzioni pu? muovere dall?estensione del trattamento di disoccupazione a formule di sostegno all?impiego di queste persone: per esempio con incentivi contributivi e fiscali nella direzione indicata dallo stesso disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. Non vanno escluse la partecipazione, su base volontaria, a lavori di pubblica utilit?, che possono essere gestiti dagli enti territoriali, utilizzando loro fondi, n? previo accordo con le parti sociali, l?uso dei fondi interprofessionali.
Da ultimo, sempre nella valutazione del costo collettivo e dell?impatto sul trattamento previdenziale del singolo lavoratore, si potrebbe considerare di ricorrere ad una norma per estendere il contributivo retroattivo anche per gli uomini (ricordo che per le donne ? gi? da tempo previsto dal previgente sistema pensionistico), come opzione di scelta da demandare a lavoratore e azienda. Si tratta di ipotesi di lavoro su cui il Governo vuole confrontarsi con il Parlamento e con le parti sociali. Confermo pertanto l?esigenza di un confronto serrato con i diversi interlocutori per individuare gli interventi pi? appropriati, ma anche per istituire una sede permanente di monitoraggio sui dati quantitativi e sulle situazioni di criticit? che possano emergere, cos? da approntare misure tempestive, che prevedano anche interventi di ordine finanziario modulati nel tempo.
4. Conclusioni
Vorrei concludere con alcune considerazioni che vanno oltre la contingenza di cui ci stiamo occupando. La riforma delle pensioni prevede l?allungamento della vita lavorativa dei cittadini di questo Paese, coerentemente con la dinamica della speranza di vita e del miglioramento delle condizioni di vita.
La nuova cultura del lavoro deve liberarsi dall?idea che superati i cinquant?anni ci si avvii verso un declino progressivo delle capacit? e dell?impegno lavorativo e che, pertanto, sia impossibile per un sessantenne trovare un lavoro, anche solo part-time. A tal fine, occorre far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro, e in tal senso la riforma che ? ora in discussione presso la Camera dei Deputati ? un tassello fondamentale di questo disegno e della nuova cultura che lo deve accompagnare. Il problema dei lavoratori ultrasessantenni in attivit? pu? e deve essere affrontato con interventi articolati, che accompagnino questo mutamento di cultura, anche a vantaggio delle imprese e della loro competitivit?.
Ne vorrei citare alcuni, ricordando che questo Parlamento annovera proposte che vanno in questa direzione.
L?utilizzo dei lavoratori senior in nuove mansioni utili per l?azienda e non richiedenti energie o sforzo fisico eccessivi: per esempio in funzione di addestramento e assistenza per i neo assunti. E? noto che nel Centro e Nord-Europa il ridisegno delle mansioni per i lavoratori sessantenni costituisce oggetto di servizi specializzati in seno alle imprese maggiori, o di servizi offerti da agenzie specializzate.
Alcuni contratti, inoltre, gi? prevedono formule di cosiddetta solidariet? espansiva tra le diverse generazioni di lavoratori, anche attraverso la coniugazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale con un pensionamento parziale.
Analogamente, si pu? valutare la trasformazione dei rapporti di lavoro con lavoratori senior in lavoro a tempo parziale, con (parziale) contribuzione figurativa per la parte corrispondente alla riduzione retributiva e con impegno dell?impresa per l?assunzione di altrettanti giovani apprendisti. Anche qui ? evidente l?intreccio di tali ipotesi di intervento con quanto si andr? a definire nel ricordato tavolo di confronto di cui ho parlato mirato alle problematiche riconducibili al tema dei salvaguardati.
Queste prospettive erano gi? presenti nelle mie considerazioni al varo della riforma delle pensioni, dei cui effetti sui rapporti di lavoro e sulla vita lavorativa degli Italiani non ero certo ignara. La stessa riforma infatti prevede che entro la fine dell?anno sia istituita una Commissione per valutare forme di gradualit? nell?accesso al trattamento pensionistico: a questi strumenti e soluzioni intendo dedicare il massimo impegno nel corso dei prossimi mesi.
Nel ringraziarvi per l?attenzione, lasciatemi da ultimo evidenziare come da talune parti si vorrebbe che la traduzione di questi principi in cifre, scaglioni, decorrenze su un arco di numerosi anni venisse magicamente tirata fuori dal ministro del Lavoro entro pochi giorni. Il Governo e io per prima siamo molto impegnati a trovare una soluzione e siamo certi che Parlamento e parti sociali non faranno mancare il loro convinto e responsabile sostegno.