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Contributi previdenziali: obbligo del committente in solido con l’appaltatore

CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 18 gennaio 2013, n. 5

Ritenuto che il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 26 gennaio 2012, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), laddove dispone che: «in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti»;

che il giudice rimettente muove dalla premessa che tale disposizione sia stata adottata dal Governo sulla scorta della delega promanante dall’art. 1, comma 2, della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro), il quale, sub lettera p), numero 3), aveva stabilito la «previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di cui all’articolo 1676 del codice civile, per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di ramo di azienda»;

che il giudice a quo ne desume, in punto di non manifesta infondatezza, che la norma emanata dal legislatore delegato, a fronte di un criterio direttivo indicato in modo così specifico, avrebbe assunto una portata eccessivamente ampia, prevedendo una solidarietà del committente verso i lavoratori utilizzati nell’appalto senza ulteriori precisazioni e così violando le prescrizioni contenute nella delega, non solo perché riferite ad un’ipotesi d’inadempimento connesso alla cessione di un ramo di azienda, ma, soprattutto, perché intese a circoscrivere quantitativamente, sia pure per relationem, la responsabilità patrimoniale del committente nei limiti del suo debito residuo nei confronti dell’appaltatore, ai sensi dell’art 1676 cod. civ.;

che quanto alla rilevanza della questione, invece, il Tribunale di Sanremo evidenzia che i lavoratori ricorrenti avevano convenuto in giudizio la società committente proprio sulla scorta della norma sospettata d’illegittimità costituzionale e che tale società aveva specificamente eccepito e documentato che i titoli esecutivi ad essa notificati quale debitrice solidale della società appaltatrice recavano importi nettamente superiori all’entità del suo debito nei confronti di quest’ultima;

che conseguentemente, a parere del rimettente, una eventuale caducazione del censurato art. 29, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003 – o anche soltanto una dichiarazione d’illegittimità dello stesso laddove non prevede la limitazione dì responsabilità del committente in misura corrispondente al quantum dallo stesso dovuto all’appaltatore – «influirebbe, quanto meno in astratto, in modo determinante sull’esito della controversia, facendo venir meno il supporto giuridico delle domande proposte dai lavoratori»;

che con atto depositato l’11 settembre 2012 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, instando per la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione sollevata dal Tribunale di Sanremo con l’ordinanza succitata;

che, in particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo avere ripercorso tutta l’evoluzione normativa interessante la disciplina in esame, opina che la norma impugnata sarebbe stata censurabile per eccesso di delega solo se la sua previsione non fosse stata confermata con successivi interventi legislativi, segnatamente dall’art. l, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) e poi dalle ulteriori novelle;

che dunque, ad avviso della difesa dello Stato, essendo venuto meno il presupposto logico dell’ordinanza di rimessione, la questione con essa proposta, se non addirittura priva di rilevanza (sentenza n. 134 del 2000), sarebbe non fondata, perché la legge sopravvenuta avrebbe nella specie spezzato il legame tra decreto legislativo e legge di delegazione, rendendo le disposizioni in oggetto pienamente conformi al dettato costituzionale (sentenza n. 208 del 2002).

Considerato che il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, dubita, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), censurato nella formulazione che recita: «in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti»;

che invero, ad avviso del rimettente, la norma succitata si pone in contrasto con il criterio direttivo specifico dettato dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) sub art. 1, comma 2, lettera p), numero 3);

che la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., è manifestamente inammissibile, in quanto, in primo luogo, il giudice rimettente omette qualunque motivazione circa la ritenuta applicabilità al caso di specie dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003 (più volte modificato a seguito di ius superveniens) proprio nella versione specificamente sottoposta allo scrutinio di questa Corte, come novellata dall’art. 1, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007);

che, inoltre, il rimettente non considera che l’art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006, sostituendo il testo del citato art. 29, comma 2, nei termini in cui esso forma oggetto di censura, all’interno del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, ha trasformato la natura della norma de qua da legge in senso materiale a legge in senso formale, così affrancandola dal vizio di eccesso di delega (ordinanza n. 123 del 2002);

che, infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 76 Cost. riguarda esclusivamente i rapporti tra legge delegante e decreto legislativo delegato (ordinanze n. 89 del 2009 e n. 150 del 2006), mentre la norma in esame è frutto di un intervento del legislatore successivo ed estraneo al rapporto di delegazione, sicché rispetto ad essa il profilo del rispetto della legge di delega non viene in evidenza ed è pertanto fuor d’opera assumere il parametro costituzionale invocato «quale stregua del giudizio di legittimità» (sentenza n. 218 del 1987; ordinanze n. 253 del 2005; n. 294 e n. 159 del 2004);

che, pertanto, la questione proposta è da ritenere manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

 

P.Q.M.

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.

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