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Dal vertice di Roma al Consiglio europeo di giugno. La sfida europea per la lotta alla disoccupazione giovanile

Il prossimo Consiglio europeo del 27-28 giugno sarà decisivo per fare uscire le politiche europee dal rigore e dall’austerità, con un’inversione della rotta verso la crescita e la solidarietà.

Tre saranno in particolare le principali questioni da affrontare:

  • il coordinamento della politica economica e di bilancio degli Stati membri;

  • la competitività, l’occupazione e la crescita, con la priorità di promuovere l’occupazione giovanile e il finanziamento dell’economia;

  • il completamento dell’unione economica e monetaria dell’UE, con particolare riferimento all’Unione bancaria.

In preparazione del Consiglio europeo, si è tenuto lo scorso 14 giugno a Roma il vertice con i ministri del Lavoro e delle Finanze di Francia, Germania, Spagna e Italia. Un appuntamento fortemente voluto dal Governo Letta per lanciare un chiaro segnale politico all’Europa: far sì che il prossimo vertice europeo sia visto come l’ultima chiamata per la lotta alla disoccupazione giovanile.

Del resto, i dati allarmanti sono ormai noti.

Secondo l’Eurostat di aprile 2013, il tasso di disoccupazione giovanile ha ormai raggiunto livelli tali da rompere gli argini dell’allarme sociale.

E’ soprattutto l’Europa mediterranea a soffrire di più la crisi: il 57,9% di disoccupazione giovanile in Grecia, il 56,4% in Spagna, il 38,4% in Portogallo, il 36,9% in Italia. Ma è l’intera locomotiva europea ad essere ferma con un tasso medio di disoccupazione giovanile che si attesa sopra il 23%.

Il vertice di Roma ha cercato di porre il tema della lotta alla disoccupazione giovanile al centro del dibattito pubblico europeo, preparando il terreno ad alcune proposte da portare sul tavolo del prossimo Consiglio europeo.

  1. L’anticipo delle risorse europee messe in campo per la «Youth Guarantee» che ammonta complessivamente a 6 miliardi tra il 2014 e il 2020. Risorse che dovrebbero andare a garantire un’offerta concreta di lavoro, il proseguimento degli studi, l’apprendistato o il tirocinio ai giovani fino a 25 anni entro 4 mesi dalla disoccupazione o dalla fine della scuola.

  2. Un piano di alleggerimento del carico fiscale per le imprese che assumono giovani, attraverso una de-contribuzione alle imprese da finanziare attraverso la riprogrammazione del Fondo sociale europeo Ue o la Banca europea per gli investimenti. Una misura che vale circa 1 miliardo di euro e dovrebbe assicurare la totale copertura degli oneri a carico del datore di lavoro per due anni, con l’impegno a confermare la misura per il periodo 2014-2020 utilizzando la nuova tranche di fondi comunitari.

  3. La richiesta di una maggiore flessibilità del Patto di Stabilità che sia in grado di esentare gli investimenti per la lotta alla disoccupazione giovanile dagli stringenti vincoli dei tetti alla spesa pubblica.

Si tratta di misure lodevoli ma di carattere emergenziale e di modesta entità. Basti pensare che il piano ‘Youth Guarantee’ porterebbe in Italia non più di 400 milioni di euro. Misure inadeguate per fronteggiare una crisi economica e sociale che richiederebbe un piano straordinario per la crescita e l’occupazione.

Del resto, la sterilità dell’UE nell’affrontare il tema della lotta alla disoccupazione giovanile è lo specchio di una crisi più profonda. Non è solo una questione di regole, ma è un problema essenzialmente politico.

Dal punto di vista normativo, è inutile farsi illusioni. L’asimmetria del processo di integrazione europea nasce dall’avere previsto un’Unione monetaria senza un governo europeo dell’economia. Per rimanere sul tema del lavoro, la competenza dell’Unione europea in materia di occupazione si limita ad un mero coordinamento delle politiche nazionali che non consente di procedere nell’armonizzazione delle politiche occupazionali. Le disposizioni previste nel Trattato (ex art. 145-150 TFUE) escludono espressamente che le misure adottate a livello europeo in materia di occupazione possano comportare l’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, sottolineando come l’occupazione non sia una vera e propria competenza dell’Unione europea, quanto piuttosto una strategia coordinata per favorire elevati livelli di occupazione.

Le politiche sul lavoro rimangono dunque essenzialmente competenze nazionali, pur dovendosi coordinare con gli indirizzi di massima delle politiche economiche dell’UE.

Nelle strette pieghe di questa limitata capacità di azione, la Commissione europea ha proposto recentemente una serie di misure nel quadro del Piano per l’occupazione giovanile, cui andrà ad aggiungersi un Patto europeo per l’apprendistato che vedrà la luce a luglio. Ma la limitatezza delle competenze riflette la ristrettezza dell’orizzonte di cultura politica degli Stati membri.

Non si può parlare ancora oggi di cessioni di quote di sovranità dagli Stati membri all’UE. La verità è che se oggi gli Stati nazionali vogliono fronteggiare le sfide della competizione globale, l’unico modo per difendere la loro sovranità statale è quella di esercitarla consapevolmente a livello sovranazionale.

Questo vale per il rilancio della competitività dei propri sistemi produttivi, ma è vero anche per la politica estera, per la politica energetica, per il controllo dei flussi migratori, per la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale.

I vertici intergovernativi possono dunque essere utili per affrontare questioni specifiche, ma per uscire dalla crisi l’Unione europea ha bisogno di recuperare una visione profonda della sua funzione sociale, che non può più essere solo di pacificazione dei popoli europei. Necessita di una profonda revisione del principio di attribuzione delle competenze che metta al centro del processo decisionale il ruolo del Parlamento europeo e rafforzi l’indipendenza della Commissione europea attualmente in ostaggio degli interessi nazionali del Consiglio.

In breve, l’Unione europea non sta fronteggiando solo una crisi economica e sociale. Sta attraversando una ‘crisi di senso’.

Inutile lanciare proclami sulla lotta alla disoccupazione giovanile se la competenza europea prevede il mero coordinamento delle politiche nazionali da finanziare con un bilancio europeo. Dannoso annunciare piani straordinari per la crescita nell’UE se le risorse a disposizione derivano da meno dell’1% dei bilanci nazionali.

Questi sono solo alcuni dei nodi che rimangono ancora da sciogliere in vista del prossimo vertice europeo di fine giugno per uscire dalla dittatura dell’emergenza.

Marco Lombardo

Dottore di ricerca di diritto dell’UE

Bologna 17 giugno 2013

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