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Regole per il congresso del PD

Domanda. Il segretario del Pd dev’essere eletto solo dagli iscritti al Pd, dice Bersani. Che sembra dimenticare come proprio lui, nel 2009, vinse contro Franceschini in primarie aperte ai non iscritti. Insomma, secondo Bersani, Bersani è stato un segretario non in regola. Praticamente un abusivo.

Risposta. Lei scherza, ma questo del «solo gli iscritti» è un atteggiamento pericolosissimo. Al Pd non serve un Congresso aperto, serve un Congresso apertissimo. Tutti davano per scontata la nostra grande vittoria alle elezioni politiche. Abbiamo avuto la capacità di perdere, di crollare al 25%. E ora che cosa ci si propone di fare? Di chiuderci a riccio in un Congresso aperto solo agli iscritti? Ma per favore! Significherebbe il dissolvimento definitivo del partito. Un messaggio devastante da parte di chi vuole difendere una nomenklatura che non ha più alcuna ragione di esistere. Il Pd versa in una crisi profonda, che il risultato delle ultime amministrative non deve far dimenticare. Le abbiamo vinte perché abbiamo schierato i candidati migliori, sì. Ma soprattutto le abbiamo vinte perché gli altri hanno perso, e perché l’astensionismo è stato elevatissimo. La crisi emersa dal voto di febbraio non è affatto risolta. Quel che è peggio, non è stata ancora neppure affrontata. E mi dispiace molto che l’atteggiamento del gruppo dirigente, a Roma, sia quello di sottovalutarla e di tirare per le lunghe le decisioni sul Congresso. Congresso che, da certi, è visto come un pericolo, mentre invece è l’unica medicina. Solo un Congresso con il coinvolgimento di tutti, iscritti e non iscritti, può ricostruire un grande partito riformista italiano. Il partito è vecchio e arroccato: abbiamo disperatamente bisogno di energie fresche.

Mentre Bersani, pur dimesso da due mesi, continua a rilasciare interviste di opportunità e gusto discutibili (dopo Ballarò, La Repubblica e il Corriere della Sera, l’altroieri è stata la volta di Otto e mezzo), Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento Europeo e candidato alla segreteria del Pd, invoca la svolta.

«Perché a Roma i dirigenti hanno paura della nostra gente? Le primarie devono essere apertissime, perché solo attraverso la partecipazione più ampia il Pd potrà ripartire davvero». E ancora: «Dire che non c’è stata sconfitta, come recita il documento dei bersaniani, è un’analisi errata e molto rischiosa. A questo proposito, un punto del mio programma è proprio il rinnovamento del modello di partito. Un partito autenticamente federale, dove Roma decide pochissimo. Dove l’apparato e la burocrazia romana, che hanno causato dei guai, vengono ridotti all’osso, e tutto viene devoluto alle realtà regionali e locali. Siamo l’unico partito radicato sul territorio: i nostri, localmente, vincono ovunque. Questo è un grande valore. Invece noi abbiamo puntualmente snobbato questo valore, pretendendo di centralizzare il potere nelle mani di poche persone a Roma.

D. Altra bersanata: «Non so se Renzi sia stato leale». Immediata l’ironia su Twitter, e non solo da parte dei renziani: «Senti chi parla».

R. Si potrebbe dire il contrario, e cioè che Renzi sia stato scarsamente utilizzato nella campagna elettorale per le politiche. Matteo è stato leale, e il popolo del Pd ha apprezzato la sua correttezza. Del resto la democrazia ha delle regole: anche quando si perde bisogna giocare per la squadra. Il Pd ha estrema necessità di rinnovamento, e in questo quadro l’unico che può darci lo scossone è proprio Renzi. Per questo, malgrado le divergenze su alcuni punti, vorrei che scendesse in campo. Di più: penso che tutto il Pd dovrebbe volerlo e invitarlo. Perché solo lui può dare l’elettrochoc necessario a un partito che è invece avvitato nei triti rituali di sempre, fingendo di ignorare che siamo in piena emergenza.

D. Ieri mattina ad Agorà, dove Renzi ha ribadito, «Primarie aperte o non mi candido», Gerardo Greco ha definito l’ex Rottamatore «larga intesa in una persona sola». Lei ha citato alcune «divergenze» col sindaco di Firenze. Superabili?

R. Certamente. Mi piacerebbe che le nostre due culture, la mia socialdemocratica e riformista e la sua liberal, vivessero un avvicinamento nel Congresso. Sono convinto che il Pd debba tenere insieme queste due visioni. Senza dimenticare il riformismo cattolico, che dovrà trovare cittadinanza in questa sintesi. I valori fondanti del mio Pd, cioè economia sociale di mercato, welfare, lavoro e diritti di cittadinanza, sono diversi da quelli di Renzi: ma io spero che ci siano punti di convergenza. Se Renzi deciderà di scendere in campo, io e altri candidati potremmo decidere che non ci siano più le basi per mantenere la nostra candidatura, e convergere su di lui. Se troviamo un compromesso, sono pronto a fare un passo indietro. In ogni caso, la presenza di Renzi nella corsa per la segreteria rappresenterebbe un fattore di grandissima novità: tutto il Pd dovrebbe augurarselo.

D. Come giudica la scelta di Epifani quale segretario «traghettatore»?

R. Il suo profilo è quello di un reggente. E allora io dico, faccia il reggente sul serio, accelerando i tempi del Congresso, invece di aprire come ha fatto un’oziosa discussione sulle regole, quando queste già ci sono e prevedono la partecipazione degli iscritti e dei non iscritti. A questo proposito gli ho chiesto di incontrarmi, ma dev’essere stato molto impegnato, perché non mi ha proprio risposto. Amen, siamo vivi lo stesso. Ma, appena eletto, Epifani avrebbe dovuto pronunciare parole di apertura e non di chiusura. Avrebbe dovuto mettersi al lavoro affinché il Congresso sia un momento di partecipazione, e non di esclusione, come sono state invece le primarie di novembre. Invece non ha fatto niente di tutto questo, scegliendo la via dell’arroccamento. E questo è pericolosissimo, perché va nella direzione opposta a quello che ci chiedono i nostri elettori, e cioè un cambiamento vero e radicale. Che non è, «Togli un sessantenne e ci metti un quarantenne uguale a lui».

D. Cioè?

Ci vuole una rivoluzione del modo di fare politica. L’arroccamento può portare solo all’autodistruzione. Per non parlare dei vecchi giochini di corrente. Guardi la segreteria: al netto del valore dei singoli individui, è fatta con un’applicazione rigorosissima del manuale Cencelli. Le sembra normale che un partito decida col bilancino, «Due di quest’area, tre di questa perché conta di più_»? Sul territorio sono infuriati, e hanno ragione. È finita l’era delle pochi che prendevano in segreto tutte le decisioni. Bisogna capovolgere il meccanismo. È il territorio che deve decidere gli organismi nazionali e la segreteria. Dobbiamo aprire il partito.

D. Come una scatoletta di tonno? Altra uscita di Bersani: far cadere il governo Letta. Che ne pensa?

R. Pierluigi ha chiarito la sua posizione. Io non ero favorevole al governo di larghe intese e l’ho detto lealmente, pur rimarcando la mia forte stima per Enrico Letta. Ma quel governo è stato fatto, e adesso occorre sostenerlo, senza prefigurare scenari diversi. La priorità oggi è fare degli interventi concreti, come la riduzione del carico fiscale sul lavoro e sulle imprese, il pagamento dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione, il sostegno ai giovani e la riforma della legge elettorale. Il governo Letta durerà se farà queste cose, e soprattutto se negozierà con Bruxelles un allentamento della morsa asfissiante dell’austerità. Ho fiducia che questi interventi vedranno la luce.

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