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Ripartiamo dai territori – Raffaele Donini – appunti del segretario del Partito Democratico – Federazione di Bologna

Borgo Panigale, sabato 1 giugno 2013

SEMINARIO CIRCOLI ED AMMINISTRATORI PD FEDERAZIONE DI BOLOGNA

Care democratiche, cari democratici,

Se siamo qui, è perché vogliamo reagire, se siamo qui è perché possiamo ripartire

Possiamo e dobbiamo ripartire dal territorio, dalla bellezza e dall’autenticità dell’impegno dei nostri volontari, militanti, iscritti, dirigenti locali del Partito, dalla missione civica dei nostri sindaci e degli amministratori comunali, provinciali e di quartiere, dal profondo radicamento territoriale dei nostri parlamentari. Possiamo e dobbiamo ripartire facendoci interpreti di una politica più vicina ai cittadini, alle loro necessità, ai loro drammi e ai loro sogni, capace di rappresentare quel bisogno di cambiamento di una società che, così com’è, crea ed amplifica continuamente le disuguaglianze e le ingiustizie, offre poche, se non nulle prospettive di lavoro e progresso soprattutto alle giovani generazioni, una società prigioniera di un avvitamento economico, sociale, culturale che ci rende vulnerabili come sistema Paese, nella competizione globale.

E soprattutto possiamo e dobbiamo ripartire cercando di colmare il divario, la delusione, il disorientamento dei cittadini nei confronti della politica e delle Istituzioni. Per far questo, occorre guardala in faccia la delusione, con lucidità e non solo con emotività, partendo da noi, da ciò che ci impedisce di vivere con entusiasmo la nostra passione politica, non per rimanere prigionieri di un dibattito autoreferenziale sulle formule o sui leader, ma per riuscire a sprigionare energia positiva nella comunità cittadina in cui viviamo.

La politica è la prima forma di energia rinnovabile del Paese

Capire in sostanza le ragioni di fondo di questa frattura fra cittadini, politica ed istituzioni, che porta quasi un italiano su due a non partecipare al voto, a pensare cioè che la sua scelta sia ininfluente, ad arrendersi alla disperazione ed alla sfiducia. Nella recente campagna elettorale per le elezioni politiche abbiamo affrontato collettivamente un «processo alla politica», giravamo il territorio come “imputati” e non come dirigenti di Partito o candidati. Almeno quelli di noi abituati a sostenere confronti aperti e non autoreferenziali, senza reti e protezioni, perché così si fa nel territorio, se n’erano resi conto. Eccome se ce n’eravamo resi conto! La politica, anche la nostra politica, soprattutto a Bologna, dove il PD rappresenta di fatto per l’immaginario collettivo il potere e l’unico Partito organizzato sul territorio, non sottoposto al dominio assoluto di un padrone, era accusata di sterilità, rispetto al grande desiderio di cambiamento, di giustizia sociale e moralità che proveniva dalla società. Sterile rispetto al cambiamento. Autoreferenziale nei modi e nelle dinamiche di espressione. Si arriva quindi a tre date che insieme costituiscono ancora oggi, per molti dei nostri iscritti, militanti, elettori, il simbolo di un disorientamento ed uno shoc che occorre affrontare con il linguaggio della verità, con intelligenza e lucidità ed onestà intellettuale. Il 25 Febbraio 2013 quando lo scrutinio elettorale ci ha consegnato una sconfitta politica. Avevamo promesso agli italiani un Governo espressione della coalizione “Italia bene comune” che non poteva sorgere in questo Parlamento composto sostanzialmente in tre blocchi politici alternativi fra loro. E, ancora, quel 19 Aprile 2013 quando, nel segreto dell’urna, alla candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica sono mancati 101 voti, forse anche di più, dal PD, dopo che in mattinata tutti i grandi elettori del nostro Partito lo avevano indicato quale candidato. Infine, quel 28 Aprile 2013 quando nasce il Governo guidato da Enrico Letta, con ministri espressione del PDL. Quella foto al Quirinale, con quella composizione politica così frontale, ci ha impedito di riconoscere pienamente quel Governo come il “nostro Governo” anche se tutti noi abbiamo espresso la convinzione che, allo stato in cui si era giunti, era l’unico governo possibile, al quale chiedere risposte urgenti in materia economica e sociale, riforme di ordine istituzionale ed elettorale per un tempo limitato e circoscritto della legislatura. Ma fermarsi allo shoc non ci porta da nessuna parte. Occorre andare più in profondità nell’analisi di quelle tre date. Torniamo al 25 Febbraio 2013, non per soffermarsi su quanti voti abbia preso il PD, ma soprattutto quali voti siano andati al PD. Il nostro Partito a livello nazionale è il primo Partito fra i pensionati, dipendenti pubblici e studenti. Ma arriviamo soltanto terzi fra gli operai, piccoli e medi imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti. Certo, a Bologna è andata diversamente, se siamo oltre 15 punti in percentuale in più rispetto alla media nazionale, ma questo nostro dato oltre a consolarci, dovrebbe far riflettere su quali alleanze siano possibili con i ceti produttivi a livello territoriale che non si ripropongano invece su scala nazionale e soprattutto chiederci il perché. Il compito naturale di un Partito democratico e riformista nella storia è quello di ridistribuire la ricchezza prodotta per ridurre le ingiustizie sociali e per diminuire le fasce di popolazione maggiormente esposte all’indigenza, alle difficoltà economiche, all’emarginazione sociale. Ma come può assolvere questo compito una forza politica come il PD, che non riesce a rappresentare la maggior parte dei ceti produttivi? Il lavoro rappresenta il fondamentale diritto soggettivo e collettivo incardinato nell’identità del nostro popolo, così come lo indica solennementela Costituzione della Repubblica Italiana, ma è anche al tempo stesso, il principale ed insostituibile strumento di crescita, di progresso, di coesione di una società veramente democratica. Questa è la prima domanda che vi pongo e che vorrei venisse affrontata nella nostra discussione a partire da oggi, ma che vorrei proseguisse nei circoli in modo aperto e coraggioso. Come rappresentare al meglio tutti i ceti produttivi di questo Paese e tessere con loro un’alleanza progettuale sul lavoro per il tipo di società che vogliamo affermare? Torniamo poi a quel maledetto venerdì 19 aprile 2013 quando si infrange il nostro sogno di affidare la più alta carica dello Stato a Romano Prodi, uno degli uomini politici italiani più stimati nel mondo, conosciuto in cinque continenti, uomo delle Istituzioni nazionali, europee ed internazionali. Se ci limitassimo oggi a chiedere chi siano i 101 e forse più “traditori”, che pure è una domanda non solo legittima ma imprescindibile, non faremmo molti passi in avanti. Potremmo certamente assecondare il nostro desiderio di verità e giustizia, che ad ora rimane inappagato ma non coglieremmo il vero nodo politico, che invece dovremmo affrontare per riuscire a dare una prospettiva al nostro Partito. E cioè non solo chi ma perché?  Un Partito che subisce la propria strategia politica arrendendosi in balia degli eventi perché enormemente condizionato da logiche di corrente al proprio interno non ha futuro. Una sorta di federazione nemmeno poi così occulta, fra gruppi di pressione o potere che impediscono l’affermazione di una strategia condivisa e limpida. E’ questo il secondo quesito che vi rivolgo e che vorrei sviluppare nel dibattito nei Circoli del territorio prima che ciascuno di noi possa accasarsi nelle mozioni congressuali che si proporranno. Attiene all’etica della responsabilità. Cioè come si sta in un Partito ed a quale Partito ci sentiamo di affidare il nostro impegno di iscritti e militanti? Fra il dirigismo e l’autoreferenzialità da un lato e l’anarchia dall’altro, fra il pensiero unico ed il soffocante unanimismo e la frammentazione in correnti, c’è spazio per un Partito plurale ? Un Partito in cui convivono alla luce del sole, in un progetto comune di cambiamento della società, culture e sensibilità diverse, capaci anche di mescolarsi e di affermarsi quale nuovo patrimonio di ideali e valori da consegnare alle future generazioni, così com’era il progetto originario dell’Ulivo e poi del PD ? Consentitemi questa digressione personale. Se io dovessi indicare una data di inizio del mio impegno in politica, tornerei a quel 16 settembre 1994, quando riuscì ad organizzare un  confronto fra due grandi costituenti, quali don Giuseppe Dossetti e Nilde Iotti all’Abbazia di Monteveglio.Quel giorno, ci venne testimoniato e trasmesso da questi giganti della nostra democrazia, quali fossero le comuni sensibilità, i valori ed i principi di sintesi fra il cattolicesimo democratico e la cultura della sinistra italiana. In quell’incontro non si ascoltarono le due campane, ma una melodia nuova e comune. L’anno dopo, nacque attorno a Romano Prodi il progetto dell’Ulivo che proprio a Monteveglio ebbe uno dei suoi primi significativi appuntamenti e l’entusiasmo per quell’incontro di culture democratiche e riformiste era contagioso. Sei anni fa, molti di noi diedero vita quali fondatori, al Partito Democratico quale partito plurale accogliente rispetto alle culture politiche che nel secolo scorso scrissero la Costituzione, ma con l’ambizione di far nascere un pensiero nuovo, una casa comune per il riformismo italiano. Riprendiamo da li. Non dobbiamo tornare indietro. Compiamo piuttosto con decisione i passi necessari perché quelle culture costitutive del PD si possano mescolare davvero fra loro, integrandosi e non sfidandosi in maniera competitiva e spesso distruttiva. Due anni fa, alla vigilia del voto amministrativo di questa città proposi in completa solitudine, la lista del nuovo Ulivo per Bologna che poteva estendere i confini del PD locale e ricomprendere in un progetto civico per la città non solo altri partiti della coalizione, ma quel valore aggiunto di civismo e cittadinanza attiva che proveniva anche dall’esperienza delle nostre primarie aperte. Quel progetto mi venne impedito per responsabilità di molti che pensavano ai semplici e più immediati tornaconto personali o di Partito. Le elezioni vennero vinte al primo turno ugualmente ma forse oggi saremmo in una condizione più serena nei rapporti di maggioranza rispetto alle nostre attuali fibrillazioni politiche. E ancora, fra il vertice del Partito a cui spetta l’onore e l’onere di esprimere una linea politica, ed un territorio al quale si affida il compito di tradurla e praticarla nel rapporto con i cittadini, deve solo esserci disciplina di Partito, oppure ci può essere spazio anche per forme, luoghi e modi di condivisione delle principali scelte politiche ? Credo che fra questi estremi ci sia un’ampia terra di mezzo rappresentata dal progetto politico del PD che in molti sognano di rilanciare rifiutando le suggestioni disfattiste di coloro che lo vorrebbero abbandonare. Un progetto che dovremmo costruire nel territorio più efficacemente di quanto non lo si sia fatto fino ad ora e soprattutto che dovremmo pretendere che venga vissuto in questo modo a livello nazionale.Infine torniamo a quel 28 aprile 2013 ed al giuramento del governo guidato da Enrico Letta. Certo, fa impressione vedere che uomini e donne rappresentanti della destra che noi abbiamo combattuto in campagna elettorale, siedono ora nello stesso esecutivo, insieme ai Ministri espressione del PD.  Lo si chiami come si vuole “Governo di larghe intese” o “Governo di servizio al Paese” ancora “Governo del Presidente” oppure “Governo di responsabilità nazionale” è comunque un governo di coalizione fra PD, PDL e Scelta Civica. Come dovremmo comportarci nei confronti del Governo Letta ? Soprattutto noi che ne abbiamo auspicato una durata limitata e circoscritta ma che non gli neghiamo certo il sostegno. Ecco io penso che il nodo vada sciolto ed anche in fretta promuovendo la discussione piu’ larga ed approfondita possibile nei nostri Circoli ed  a tutte le latitudini del Partito coinvolgendo i nostri parlamentari. A me piacerebbe che da subito, il dibattito si orientasse per noi sul terreno della proposta politica e che risultino chiare, per il Partito che ha comunque la maggioranza relativa alle Camere le nostre priorità. Innanzi tutto il lavoro che non c’è, che si deve saper creare e non solo invocare con investimenti appropriati, ricerca, innovazione, semplificazione amministrativa, competitività delle imprese sui mercati internazionali. Il lavoro, quello che c’è e che si deve stabilizzare per milioni di cittadini italiani, soprattutto giovani e donne e che deve essere alleggerito nella sua fiscalità sia per le aziende che per i lavoratori. Le garanzie sociali per i lavoratori in cassa integrazione. La riforma della burocrazia e della Pubblica Amministrazione. Il contenimento dei costi della politica, non soltanto riferito al finanziamento pubblico ai Partiti ma che riguardi anche la riduzione dei privilegi al management delle aziende pubbliche, al disboscamento di enti inutili, riforma e snellimento dei livelli istituzionali La lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione, all’evasione fiscale che insieme, oltre a minacciare la nostra sicurezza e la qualità della nostra democrazia, sottraggono alle casse dello Stato, decine di miliardi di euro. La riforma istituzionale attesa da oltre vent’anni che riduca il numero dei parlamentari, superi il bicameralismo perfetto, rafforzi i poteri del Presidente del Consiglio sulla nomina e revoca dei Ministri. La legge elettorale che preveda l’abolizione del Porcellum e non la sua manutenzione. Voglio impormi di avere fiducia sul fatto che si possa avviare un percorso fruttuoso di riforme, ma non sarei disponibile a consegnare deleghe in bianco ai livelli nazionali del Partito ne tanto meno al Governo su questo tema. Se non ci saranno significativi avanzamenti nella condivisione delle riforme, nonostante i ripetuti appelli e moniti del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, si sappia entro l’autunno trarre le dovute conseguenze e si faccia subito la nuova legge elettorale prima che sia troppo tardi, perché, è bene chiarire questo, visto che siamo il Partito di maggioranza relativa, se malauguratamente si dovesse tornare a votare in modo rocambolesco ed imprevisto con questa legge elettorale, saremmo in tanti a rifiutarci di metterci la faccia. Il Governo Letta merita di essere da noi sostenuto con lealtà ma anche con autonomia e soprattutto a viso aperto per portare a casa queste riforme e per respingere i ricatti e dalle minacce che incombono su di esso da parte di Berlusconi. Restiamo al territorio care democratiche e cari democratici, perché noi siamo qui e vogliamo costruire anche a Bologna una proposta politica che serva alle nostre comunità cittadine che amministriamo e che sottragga spazio alla demagogia ed al populismo. Approfittando dell’occasione seminariale, vi offrirei una fotografia dai tratti impietosi della situazione economico – sociale del territorio bolognese. Ad oggi ci sono 84.713 persone in carne ed ossa iscritti ai centri per l’impiego. Il tasso di disoccupazione nel nostro territorio è passato in cinque anni dal 2,2% per gli uomini e dal 2,4% per le donne del 2008 al 6,9% per gli uomini ed al 7% per le donne del 2013. Il 54,3% dei disoccupati ha meno di 44 anni e sono per lo più scolarizzati. La maggioranza delle persone che noi stiamo tenendo in panchina, allontanati o mai entrati nel mercato del lavoro ha un’età in cui si svilupperebbe appieno la loro propensione produttiva materiale o intellettuale. In altre parole siamo fermi. Ferma, anzi indietreggia anche la produzione di ricchezza nel nostro territorio in linea con la media nazionale -2,6% di pil nel 2012, anche in considerazione al terremoto del maggio dell’anno scorso. 28.000 persone sono utilizzano la cassa integrazione ordinaria, straordinaria ed in deroga ed hanno un interesse preminente a che il Governo riesca a trovare le risorse per finanziare gli ammortizzatori sociali che costituiscono per loro il diritto alla sussistenza.La produzione industriale si è ridotta di un quinto in cinque anni. Nel solo 2012 il settore manifatturiero registra un decremento del 6,2% sulla produzione, del 6,6% del fatturato, del 6,4% degli ordinativi. Più o meno gli stessi valori nel settore meccanico, mentre nell’artigianato diffuso, composto da piccole imprese, il 2012 si chiude con risultati ancora più preoccupanti (-14,6% sulla produzione, -14,3% sul fatturato e -14,8% sugli ordinativi). Il saldo fra mortalità e natività delle imprese è negativo con 6.044 aziende che hanno chiuso i battenti al 2012. Quelle che nascono hanno per lo più dimensione individuale e nel commercio, si tratta di società con imprenditore – lavoratore extra UE con prevalenza di nazionalità indiana, pakistana e cinese. Il mercato immobiliare ha registrato un crollo del 26% nel 2012 trainato nel baratro dalla stagnazione dell’edilizia, (-6,2%)  anche a causa delle opere pubbliche di piccola e media dimensione già finanziate dagli enti locali ma bloccate alla loro fase progettuale dal patto di stabilità. Sui fondi disponibili ma bloccati per gli investimenti da parte dei Comuni, che complessivamente ammontano a quasi 100.000.000 di euro nel nostro territorio qualcosa si sta sbloccando grazie ai provvedimenti del Governo ma è ancora poco ed insufficiente.

Il credito alle imprese ed alle famiglie praticamente non c’è più. Nel 2012 siamo a -3,7% sui prestiti bancari, -4,5% sui crediti alle imprese, -7,9% sui finanziamenti all’edilizia, – 55% sui mutui alle famiglie le quali sono costrette a rifugiarsi per cautela e precauzione nei depositi bancari +8,1%. Le imprese che si salvano sono ricomprese per lo più in quattro tipologie:

  • quelle che esportano nei Paesi in cui c’è crescita e sviluppo come in Germania, in Giappone, negli Stati Uniti, in Brasile ed in Sud Africa. L’export infatti registra un segno positivo con un + 5,2%.
  • quelle che investono su innovazione e ricerca sui nuovi prodotti
  • quelle che agiscono nel settore dei servizi alla persona in un mercato che deve necessariamente ricomprendere un equilibrio fra il pubblico che governa i servizi ed un privato che ne assume la dimensione gestionale su standard di qualità fissati dalle amministrazioni locali (pensiamo a quanta distanza rischiamo di condurre anche a Bologna la discussione fra ciò che è pubblico e ciò che è privato).
  • le imprese che agiscono nel settore turistico. Qui nel 2012 il comparto ha retto alla crisi con i suoi 1500 esercizi ricettivi, 36.000 posti letto con una media di 2 notti di permanenza a turista, +1,63% di visitatori nel nostro territorio raggiungendo oltre 1.600.000 turisti all’anno di cui il 38% stranieri.

Questa care democratiche e cari democratici è la fotografia del nostro territorio.

Non possiamo ignorarla! Questa città e questo territorio non possono continuare con i dibattiti ideologici e con le sconfinate acrobazie della politica che non affronta in modo strutturale questi problemi.

Rimbocchiamoci le maniche e costruiamo la nostra proposta politica nel territorio a servizio della nostra capacità di competere creando lavoro, qualità della vita, giustizia sociale. I cittadini ci capiranno e ci sosterranno.

Che cosa diremo infatti ai nostri figli quando ci chiederanno conto del nostro impegno politico di questi anni ? Che abbiamo solo litigato fra noi ? Che eravamo tanto impegnati ad autodistruggerci che poco abbiamo prestato attenzione a come dare loro una prospettiva per il futuro ?

Il PD bolognese a questo gioco al massacro non può starci.

Il Pd di Bologna si deve invece impegnare e si impegnerà, al fianco delle nostre amministrazioni locali a dare risposta ai veri problemi del territorio, perché poi è questa situazione di malessere sociale, più di ogni altra cosa che genera i mostri dell’antipolitica e della demagogia pronti ad divorarci.

Ci impegneremo a proporre idee e soluzioni per rendere il nostro territorio competitivo su scala nazionale ed internazionale e giusto a livello sociale. Queste sono le sfide che ci attendono.

Chi vuole abbandonarsi al chiacchiericcio sterile della politica fatta di formule e personalismi faccia pure, ma sarà complice del declino di questa città e di questo territorio.

Il PD sarà dall’altra parte, dalla parte della speranza e della fiducia in noi stessi.

Formeremo sette gruppi di lavoro per sette proposte di merito per la rinascita del territorio e ce ne intesteremo la paternità politica.

Siete tutti invitati a farne parte ed a seguirne attivamente la discussione mettendo a disposizione la vostra passione politica, la vostra generosità di impegno, la vostra esperienza e competenza.

Il primo riguarderà proprio i Comuni e l’impiego delle risorse rivolte agli investimenti che chiederemo vengano ulteriormente sbloccati dal patto di stabilità per le opere di pubblica utilità per il nostro territorio.

Il secondo riguarderà l’internazionalizzazione delle imprese del nostro territorio, quali strumenti cioè costruire insieme alle associazioni di categoria ed alle rappresentanze sociali e sindacali per vincere la sfida della competitività sui mercati esteri poiché da qui si può generare immediata occupazione.

Il terzo riguarderà la nostra politica industriale, la rinascita del settore manifatturiero nel nostro territorio al centro del Piano Strategico Metropolitano.

Il quarto riguarderà la sfida della semplificazione amministrativa e la digitalizzazione dei servizi soprattutto quelli sociali e sanitari dando vita non solo alla Città Metropolitana il cui statuto si comincerà a discutere dal primo gennaio 2014, ma anche procedendo nella direzione di accorpare Comuni in Unioni e Fusioni, senza forzature ma nemmeno senza rinunciare a tracciare un progetto strategico e partecipato per il governo del territorio e per la riduzione del peso burocratico della Pubblica Amministrazione.

Il quinto riguarderà i settori in cui oggi è già possibile creare posti di lavoro se valorizzati con politiche innovative. Non solo il turismo ovviamente, ma anche la valorizzazione del nostro patrimonio ambientale, storico, artistico, culturale.

Il sesto riguarderà le politiche di risparmio energetico di cui questo territorio può essere all’avanguardia se riusciremo a mutuare le migliori esperienze in ambito europeo ed internazionale, penso per esempio all’esperienza di Frebourg.

Il settimo riguarderà la lotta alle infiltrazioni della criminalità organizzata in questo nostro territorio valorizzando ed ulteriormente affinando le normative che si sono adottate anche a livello regionale.

Accanto a queste proposte dovremo seguire, incoraggiare e sostenere il lavoro della Regione Emilia Romagna e dei sindaci dei Comuni colpiti dal terremoto per la ricostruzione delle comunità colpite dal sisma.

Dovremo poi strutturare un coordinamento permanente fra gli amministratori del Comune di Bologna, della Provincia, della regione espressione del nostro territorio, dei nostri parlamentari ed i sindaci dei Comuni, per la definizione delle priorità di sviluppo e di coesione sociale del territorio bolognese, in modo da rappresentare al meglio le nostre necessità nei vari livelli istituzionali.

Dobbiamo rieducare noi stessi ed anche chi ci osserva e ci descrive spesso impietosamente che questi sono i contenuti della proposta politica del PD, che a Bologna deve sempre più presentarsi come il Partito del lavoro, anzi dei lavori e della giustizia sociale, senza rimanere prigioniero delle vecchie ideologie del secolo scorso, ma recuperando quella propensione all’innovazione che ne fu l’ispiratrice all’atto della sua nascita.

Infine, sul fronte dell’organizzazione del Partito io penso che dovremmo far vivere l’articolo 1 del nostro statuto che parla di un Partito Federale. Un Partito Federale e Plurale e con l’effettiva parità di genere. L’esatto contrario di un Partito dirigista e correntizio. Chiediamo quindi alla Direzione Nazionale del Partito:

  • che entro l’anno si possano svolgere tutti i Congressi Nazionale, Regionale, Provinciale e di Circolo. Per quello che mi riguarda io penso che sarebbe un bel segnale cominciare dal basso, dai territori e poi affrontare una discussione nazionale anche sulla base delle esperienze locali. Perché un Partito Federale porta a Roma ciò che emerge dal confronto sul territorio anziché tradurre sul territorio ciò che si è deciso a Roma.
  • che la discussione possa avvenire fra compagni ed amici in modo costruttivo e rispettoso e non fra personalismi e risentimenti.
  • che la partecipazione sia assicurata agli iscritti ed agli elettori così come indica lo statuto e che anche a livello locale si trovino le forme per renderla aperta a quanti intendono impegnarsi stabilmente nel Partito, con passione e costanza.
  • che anche i bilanci del Partito a tutti i livelli siano non solo trasparenti, ma anche federali con un livello di condivisione e responsabilizzazione maggiore da parte dei Circoli e del territorio.
  • che le Case del Popolo che fanno capo alle varie fondazioni siano messe a servizio delle comunità cittadine con progetti che ne assicurino la sostenibilità finanziaria e l’apertura e la partecipazione dei cittadini, appunto del popolo, come siamo orientati a fare noi a Bologna.
  • che le feste dell’Unità siano sempre più i luoghi di incontro fra i vertici e la base del Partito e fra la nostra comunità politica e le altre forme di associazionismo civico e rappresentanza sociale.

In questa discussione dobbiamo tutti noi impegnarci al massimo delle nostre energie perché siamo consapevoli che oggi il Partito Democratico con tutti i suoi limiti e difetti non è un ferro vecchio da gettare al macero, ma la speranza per la nostra democrazia. Noi porteremo in dote quanto abbiamo fatto a Bologna in questi anni. Dalla composizione federale del principale organismo decisionale del Partito,la Direzioneappunto, formata per due terzi da delegati dei territori. Dalla trasparenza con cui abbiamo gestito ogni nostra spesa, non solo certificando i bilanci, ma mettendo in rete tutti gli stipendi e le spese della struttura del Partito. Dagli investimenti che abbiamo sostenuto per la formazione politica dei giovani anche non iscritti al PD con laboratori di avanguardia. Dal rapporto costante con il territorio non solo in periodo elettorale. Dal superamento del funzionariato politico a tempo determinato per coloro ai quali si richiede un impegno politico a tempo pieno. Dal modo aperto con cui sono gestiti i nostri Circoli attraverso il coinvolgimento dell’associazionismo civico. Il tentativo infine di costruire e far vivere anche nuovi modi, luoghi, tempi della politica come i forum del Partito ed il Circolo on line, il quale, lo ricordo, a quasi un anno dalla sua nascita, ha ormai centinaia di adesioni ed oltre cinquanta nuovi iscritti al PD. Infine il tentativo di coinvolgimento strutturale del popolo delle primarie, elettori PD, con i quali occorre stringere un patto costante di consultazione e partecipazione e non soltanto nei momenti elettorali.

Dobbiamo saper accogliere, in questa discussione congressuale il pensiero critico al nostro interno come un valore ed un fattore di crescita della nostra militanza politica. Le critiche a volte fanno male ma se costruttive aiutano a crescere e migliorare Accanto al pensiero critico però, all’autonomia di giudizio, occorre maturare assieme nell’etica della responsabilità. Perché l’affermazione di un pensiero individuale sia parte di un pensiero collettivo al quale ciascuno di noi è chiamato a dare un prezioso, quanto indispensabile contributo. Infine, il seminario che oggi svolgiamo qui, avrà una pausa nel primo pomeriggio, per la cerimonia di intitolazione di questo bel parco urbano in cui svolgiamo le nostre feste dell’Unità di Borgo Panigale a Maurizio Cevenini. Abbiamo scelto lo slogan “ripartiamo dal territorio” non possiamo né vogliamo dimenticare un amico, un compagno, un dirigente del nostro Partito ed un grande campione delle relazioni umane e politiche qual’era il Cev, che al territorio ha dedicato la vita. Se siamo qui, è perché vogliamo reagire, se siamo qui è perché possiamo ripartire.

Viva il PD. Viva il nostro territorio

 

 

 

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