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Presentazione del Dossier Cina della rivista Inchiesta all’Università di Venezia a cura di Amina Crisma
Quale rapporto la Cina d’oggi intrattiene con il suo passato? E’ difficile dare una risposta a questa domanda, poiché gli scenari cinesi ci mettono di fronte ad atteggiamenti ambivalenti e contraddittori. Da un lato, il legame con il passato viene enfaticamente ribadito in molti modi, dal rilancio del culto di Confucio alle fiction che celebrano la storia imperiale, ma dall’altro le grandi trasformazioni economiche e sociali in atto nel Paese ne comportano una continua e radicale cancellazione che assume forme molteplici, e che nella distruzione di ambienti e di paesaggi determinata dall’ urbanizzazione e dall’industrializzazione ha una delle sue manifestazioni più vistose. A una riflessione a più voci su questo problema è dedicato il dossier Cina della rivista Inchiesta (luglio/settembre 2013, n. 181) a cura di Amina Crisma, docente di Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Bologna. Nel suo intervento, si sottolinea come la complessa interazione di passato e presente costituisca un aspetto cruciale nei dibattiti attuali, e come le reinvenzioni della tradizione a cui oggi si assiste corrispondano non certo ad atteggiamenti nostalgici, ma a precisi progetti politici, rivolti al presente e al futuro. Anche il contributo di Maurizio Scarpari, per più di trent’anni docente di Lingua cinese classica all’Università di Venezia e autore di numerosi saggi sul pensiero della Cina antica, oltre che curatore di una vasta opera collettanea dedicata alla storia globale della civiltà cinese (La Cina, Einaudi 2009-2013), affronta il nodo del rapporto con la tradizione in tutta la sua carica di progettualità politica sul versante, molto discusso, degli attuali tentativi di rilancio del confucianesimo in chiave di religione civile, a cui si affida il compito di riempire il vuoto spirituale che caratterizza l’epoca post-maoista. L’intervento di Guido Samarani, docente di Storia della Cina contemporanea all’Università di Venezia, curatore fra l’altro de La Cina. Verso la modernità (Einaudi 2009), fra i cui molti lavori si possono ricordare La Cina del Novecento (Einaudi 2004) e Cina, Ventunesimo secolo (Einaudi 2010), si riferisce a un problema che è il grande assente nel pubblico dibattito, e che è stato di recente riproposto da una lettera aperta di giovani cinesi, studenti in università degli Stati Uniti: la questione della democrazia. E’ indubbiamente responsabilità del PCC non aver perseguito nel corso degli anni iniziative volte ad allargare gli spazi di espressione della volontà popolare; e peraltro, l’attuale impasse della democrazia non è certo un problema soltanto cinese, ma un fenomeno che, pur nella diversità di situazioni, attraversa drammaticamente tutto il pianeta, dai paesi occidentali ai luoghi delle primavere arabe, e sul quale sarebbe opportuno aprire una riflessione condivisa. Il contributo di Davide Cucino, presidente della European Union Chamber of Commerce in China e autore di saggi importanti come Tra poco la Cina (Bollati Boringhieri 2012) è dedicato al tema della diffusione del soft power cinese e di quelle che appaiono essere le sue persistenti difficoltà, in parte addebitabili a un persistente atteggiamento di sinocentrismo che genera diffidenza negli interlocutori occidentali. Il 20 novembre al Dipartimento di Studi sull’Asia dell’Università di Venezia si è tenuto un seminario in presentazione del dossier a cui hanno partecipato, oltre alla curatrice e a Guido Samarani, Vittorio Capecchi, professore emerito di Sociologia dell’Università di Bologna e direttore di Inchiesta, e i docenti dell’Università di Venezia Laura De Giorgi, che insegna Storia della Cina contemporanea, e Renzo Cavalieri, docente di Diritto dell’Asia orientale. Molti gli interrogativi emersi dal dibattito, soprattutto a proposito delle strategie di legittimazione perseguite dalla classe dirigente cinese, che in sostanza eludono l’esigenza manifestata da una parte della giovane generazione di riappropriarsi integralmente del passato e di metter fine alla rimozione delle sue pagine tragiche, come il 1989 di Tian Anmen.