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Lettera di Gianni Pittella
Le europee di maggio non saranno elezioni qualsiasi. Segneranno uno spartiacque tra quello che è stato e quello che dovrà essere. Nuovi meccanismi nella corsa elettorale. Nuove sfide e minacce attendono l’Unione europea.
Il progetto di unificazione europea si trova di fronte alla più grave crisi dalla sua nascita. Il suo peccato originale? Credere che un’unione monetaria avrebbe reso inevitabile l’unità politica. Non è successo.
Oggi, grazie al Trattato di Lisbona, i gruppi parlamentari potranno indicare il nome del candidato alla presidenza della Commissione. Una svolta fondamentale per la democratizzazione dal basso dell’Ue, che restringe il ruolo del metodo intergovernativo.
Il prossimo parlamento europeo assumerà un ruolo costituente di un grande progetto di trasformazione delle istituzioni.
E in tale contesto, il Pse deve diventare la più grande forza europeista d’Europa, la prima formazione a mettere al centro della sua battaglia politica la costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
Ecco perché il Pd dovrà annunciare l’adesione al Pse al prossimo congresso di Roma. Non possiamo più perdere tempo. Anzi siamo già in ritardo. Matteo Renzi ha capito l’importanza della posta in gioco. Sa che per risultare vincente ed efficace in Italia occorre stare in Europa, nei ruoli che contano.
Credere nell’Europa però vuol dire anche avere il coraggio di fare un discorso di verità. Così come è architettata e pensata oggi l’Ue non funziona.
Il Patto di stabilità rappresenta una camicia di forza che va allentata attraverso lo scomputo degli investimenti produttivi pubblici dal calcolo del deficit. La Banca centrale va trasformata in banca prestatrice di ultima istanza. Il bilancio dell’Ue è inadeguato: è pari a solo all’1 per cento del Pil dell’Unione europea. Le politiche di austerità di questi anni, la spettrale immagine della troika che ha massacrato la Grecia, hanno creato l’immagine di un’Ue vampiresca e matrigna. Perfino in Italia, dove il sentimento filoeuropeista è sempre stato forte.
Insomma per imprimere una svolta positiva a tutto il continente, non ci vuole meno Europa ma più Europa. Ci vuole più Europa nella politica internazionale dove restiamo divisi e ininfluenti.
In più, a causa di irresponsabili politiche austericide, è probabile che un gran numero di forze euroscettiche e populiste siederanno in parlamento.
Questo insomma non è più tempo per decisioni prese con il bilancino. è una questione di identità e di strategia. Il segretario del più grande partito di centrosinistra in Europa deve ambire a cambiare l’Italia, certo, ma per poterlo fare deve pesare nel Pse e quindi a Bruxelles. Per il Partito democratico aderire al Pse non vuol dire aggiungere una bandierina al proprio pantheon di riferimento. Né tantomeno, come artificiosamente teme qualche nostalgico della Margherita, significa imporre una famiglia politica a danno di quella cattolica o riformista.
Star fuori dal Pse non rappresenta un’originale peculiarità per il Pd – come lascia intendere l’amico Castagnetti – ma al contrario, un’anomalia. Far parte del Pse è innanzi tutto una decisione strategica per il Pd e per l’Italia. Il peso della componente italiana sarà fondamentale per l’Italia per indirizzare le politiche del gruppo e più in generale del Parlamento europeo.
Per il Pd non c’è alternativa. Il suo ruolo sarà quello di spingere perché alcune posizioni equivoche e assolutamente timide vengano superate. Vogliamo entrare nel Pse senza cappelli in mano e senza considerarci ultimi arrivati. Sulle posizioni del più spinto europeismo, non temiamo confronti e anzi siamo molto più all’avanguardia di tanti che siedono da anni all’interno del Pse. Ma dobbiamo esserci!”