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il limite del suo Jobs Act, come definito fino a oggi, è la sua genericità. L’inglese cerca di dissimulare l’assenza di sostanza (chiamarla “riforma del lavoro” oppure “operazione per creare impiego” sarebbe stato poco up to date?). Il JA è medicina palliativa. Per averne conferma basta il tweet di Antonio Polito di venerdì scorso: “È piaciuto a Camusso, Landini e Damiano. A occhio e croce non dev’essere molto innovativo”.
Individuare le linee guida di una vera riforma del lavoro, invece, è abbastanza semplice. Il difficile è metterle in atto (o in act), tenendo conto delle mediazioni, dei veti incrociati, delle rendite di posizione, dei vincoli che i diversi gruppi di potere in Italia frappongono a ogni innovazione. Un gioco di interdizione che finisce per vedere sconfitti quanti di potere non ne hanno per nulla: noi millennial, o se preferite noi under 30, quelli che insomma di lavoro avrebbero più bisogno di tutti gli altri (anche se la statistica che vuole al 40% il tasso italiano di disoccupati tra i 15 e 25 anni è distorta, ma questo è un altro discorso).
Per questo noi lettori di Wired scriviamo questa open letter to Mr. Secretary. È il nostro punto di vista. La scriviamo con la testa e il cuore di chi non trova mai nulla che gli parli nei media tradizionali, e quando vi si trova citato o definito è solo come appartenente alla generazione perduta o precario a vita.
La differenza la fa la capacità di realizzare quanto scritto.Implementation and execution will be key, don’t you agree Mr. Secretary? Sì, insomma, si tratta di andare incontro a costi sociali e impopolarità nell’immediato per fare la cosa giusta e vederne i risultati nel giro di qualche anno. Come attenuante per la sinistra c’è il fatto che di solito queste riforme nei paesi normali le fanno i governi liberisti.
Ma questo ci porterebbe lontano. E noi millennial abbiamo fretta e poca pazienza (e la voglia di avere le stesse opportunità dei nostri genitori). È proprio per questo che amiamo le liste numerate. Veloci e semplici da leggere.
Ecco i nostri 17 punti (perché non siamo superstiziosi):
1. Da domani un solo contratto di base, assunzioni a tempo indeterminato ma tutti licenziabili. Di botto il precariato non esiste più, e non siamo noi i soli flessibili in un mercato rigido. Come? Articolo 18? Per noi 18 è solo il simbolo della maggiore età. Tutto il resto non è pervenuto.
2. Non si difendono più i posti di lavoro (soprattutto quelli delle aziende bollite e inefficienti), ma i lavoratori. Dunque via la cassa integrazione. Al suo posto sussidi TEMPORANEI per tutti solo a patto che si segua formazione e processo di reinserimento.
3. Spostiamo le tasse dal lavoro alla rendita. Per intenderci non se ne può più di parlare di Imu, Tasi, Minimu, Iuc. Invece, defiscalizzazione degli utili per tre anni per le imprese che investono e assumono.
4. Come dite? Non ci sono i soldi? Ma dài su, è incredibile pensare che si debba discutere mesi per tagliare un miliardo di spesa su 800 miliardi di uscite pubbliche. Scommettiamo che se ne possono recuperare almeno una cinquantina e senza tagli lineari? Piccoli suggerimenti:
a) Abbattere il debito attraverso la vendita di patrimonio statale per risparmiare da subito una decina di miliardi l’anno di interessi
b) In Italia la politica costa 39 miliardi, in Gran Bretagna 24, in Spagna 18. Ci allineiamo a Madrid?
c) Quanti degli oltre 110 miliardi della spesa sanitaria si potrebbero risparmiare solo rivedendo gli appalti, senza eliminare le prestazioni?
d) Semplificazione radicale del codice tributario e fiscale, acompagnata dall’abbassamento delle imposte. A quel punto, nessuna pietà per chi non le paga
5. Ed ecco come impiegare i denari a disposizione. Niente tasse per tre anni alle nuove imprese fondate da under 35 e agevolazioni fiscali per chi fa ricerca.
6. Aziende straniere che si insediano in Italia, assumono e creano indotto: corporate tax ridotta al 12,5% (invece di lamentarci che Google e Apple hanno sede in Irlanda e in Lussemburgo, creiamo gli incentivi e i benefici affinché le prossime si insedino da noi).
7. Formazione e riforma universitaria. Rivedere il sistema delle scuole professionali per adattarle alle mutate necessità della manifattura (modello tedesco). Poi, riforma universitaria: l’università deve tornare ad essere un percorso di eccellenza, non un prolungamento delle scuole superiori che port i ragazzi solo a ritardare il propri ingresso nel mondo del lavoro. Università selettive, molti meno corsi di laurea (con il risparmio che ne consegue) e premi al merito. Anche qui, modello tedesco: niente test all’entrata, ma chi dopo un anno non è in pari con gli esami torna a casa.
8.Aprire alla concorrenza le attività e le professioni protette (vedi quel che Alesina e Giavazzi sostengono ormai da sette anni).
9. Tempi per autorizzazioni. Un numero a caso: giorni necessari per allacciare un’impresa tedesca alla rete elettrica=3, in Italia=89. Si può fare qualcosa?.
10. In Slovenia l’energia costa il 36% in meno che da noi; le imprese italiane la pagano il 68,2% in più rispetto alla media Ue. Morale, Mr. Secretary, il 10% non basta. It’s a warm cloth, un pannicello caldo, e se si devono trovare i soldi vedi al punto 4.
11. Le norme bizantine provocano il proliferare di tributaristi, avvocati e notai, incentivano l’evasione e creano un costo non valutabile da alcun business plan: l’incertezza. Semplifichiamo?(But not in the Calderoli’s way, please).
12. Settori: quelli individuati vanno bene (cultura, turismo, agricoltura, made in Italy – food – fashion – furniture, Ict, green economy, nuovo welfare, edilizia e restuaro, manifattura). Ma per carità, meglio che lo Stato ne stia alla larga. Basta solo non approvare leggi che li affossino, come sta avvenendo per il digitale con la webtax o con l’Iva maggiorata per gli ebook.
13. Occupazione femminile: contributi dimezzati per due anni per chi assume donne.
14. Merito: licenziabilità immediata non solo dei dirigenti ma anche dei dipendenti pubblici che non rispondano a criteri minimi di produttività, con valutazioni annuali. Stipendi pubblici variabili, con aumenti e incentivi per chi raggiunge gli obiettivi. In proposito c’è un ottimo sistema di misurazione della produttività dei dipendenti pubblici in Rwanda (non è uno scherzo). Impariamo da loro.
15. Fatto 100 il costo di un lavoratore in Italia, il 46,2% è fatto di imposte. La media dei paesi Ocse è al 35%. Rientriamo in media? (Per i costi vedi al punto 4).
16. Europa. I parametri europei ci stanno stretti e un’eventuale procedura d’infrazione non ci fa paura. Assumiamoci la responsabilità di un piano chiaro e di una scelta forte: allentiamo la cintura dei parametri di bilancio, usiamo i soldi per rilanciare l’occupazione e la crescita, con un progetto chiaro e verificabile per rientrare nei ranghi.
17. Credito più facile. Un mondo del lavoro che premia il merito e a cui si chiede la giusta flessibilità deve essere supportato da tutti:banche comprese.
a) Per ottenere un mutuo oggi non è possibile dover presentare un contratto a TI, un salario minimo e la garanzia del papà. L’italia rischia, i lavoratori rischiano, le imprese rischiano che comincino a farlo anche le banche. Altrimenti il sistema è zoppo.
b) Credito facilitato per le nuove imprese fondate da Under35
c) Concessione del credito anche per coloro che hanno avuto dei fallimenti d’impresa alle spalle.
d) Riscattiamo il fallimento: l’importante non è restare in piedi, ma la velocità con cui ci si rialza.
Can we do it Mr. Secretary? Is there anybody left with “balls of steel” (cit. Enrico Letta in Irlanda, 7/11/2013) in this country?