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Una aula gremita, quasi totalmente maschile, ha partecipato alla presentazione della Banca d’Italia sullo stato dell’economia in Emilia Romagna il 9 giugno 2014.
Il Rettore Dionigi ha fatto gli onori di casa accogliendo la platea con un grido disperato: “chiedeteci più cultura, più preparazione”. In un contesto così disperato e avanzato per l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, c’è bisogno di più laureati!
Citando Paul Ricoeur ha evidenziato che viviamo in un periodo segnato dalla “ipertrofia dei mezzi e dall’atrofia dei fini”, perché si è perso l’orientamento alla cultura.
Personalmente credo che il fattore culturale, prima ancora che scolastico, sia quello su cui si è investito di meno impoverendoci di più in sensi assoluti ed esponenziali.
Anche la presenza di un numero così esiguo di donne in una platea costituita da operatori del settore è segno di questa arretratezza culturale.
I dati sull’economia reale infatti hanno evidenziato una generale crescita negativa, una bassa domanda interna, aggravata da un eccesso di offerta in alcuni settori (costruzioni, arredamento) e la vertiginosa diminuzione del tasso di occupazione giovanile che cede il passo ad una popolazione di lavoratori anziani.
Gli investimenti non sono premiati da alcun ritorno, neanche nel settore dell’istruzione dove il differenziale occupazionale tra diplomati e laureati si è ridotto molto, causando fenomeni di fuga di cervelli o di sottoutilizzo dei talenti.
A margine del dibattito, questo tema vieni ripreso in maniera critica dal Prof. Zamagni quando espone la sua teoria sul collegamento del fattore crescita alla INVENZIONE/INNOVAZIONE.
L’Italia pur essendo un Paese con un alto tasso di inventività, non è in grado di innovare perché le istituzioni economiche non consentono con la burocrazia produttiva e la rendita parassitaria di intraprendere l’innovazione.
Per realizzare innovazione bisognerebbe intraprendere la strada del “cluster management”, mai percorsa per i costi proibitivi determinati dalla pluralità di attori ma soprattutto da un elevato tasso di fiducia tra gli stessi.
La Regione Emilia Romagna invece è nel contesto nazionale quella maggiormente titolata a dare la fiducia necessaria al coinvolgimento della pluralità di attori: imprese, associazioni, enti.
La nostra Regione è quella con il più alto capitale sociale e sin d’ora siamo nella condizione di fare partire il CLUSTER MANAGEMENT.
Nel resto del territorio nazionale invece c’è capitale umano ma manca quello sociale, cioè la capacità di realizzare reti.
Questo percorso di crescita si basa anche sull’equa distribuzione del reddito: l’iniquità infatti non è solo un attacco etico ma un impedimento al processo produttivo.
Lo ha detto recentemente anche Christine Lagarde definendo l’iniquità come una “ombra lunga che oscura l’economia globale” perché “Un’incontrollata concentrazione della ricchezza rischia di minare i principi di meritocrazia e democrazia”.
Zamagni ha ricordato che il concetto di equità qui si é più diffuso che altrove, trovando le sue radici nella Bologna del 1256 con il “Liber Paradisus” ( http://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Paradisus ) destinato a liberare i servi e a renderli anche più produttivi.
Il Prof. Mosconi ha invece evidenziato come la nostra Regione, attraverso una serie di contaminazioni tra vari settori e partendo dalla straordinaria vocazione meccanica, sta generando innovazione con indicatori economici sui livelli di un Land tedesco, con uno spostamento produttivo dalla manifattura alle lavorazioni ad alto contenuto tecnologico.
Questo processo è reso possibile dal quel Cluster management caratterizzato dalla fitta rete di relazioni tra imprese, banche e università che ha determinato quell’osmosi tra la concezione del prodotto e la sua realizzazione, passando da processi di innovazione tecnologica e rendendoci protagonisti in settori come la meccatronica, il wellness, le energie rinnovabili.
E’ necessario però che il processo di innovazione trovi un forte supporto nelle politiche industriali, sparite dall’agenda governativa e invece attuabili nel sistema regionale attraverso la formazione tecnica superiore, di cui l’Ente è titolato ad agire.
In quella che viene definita “social innovation” assumono una forte rilevanza gli Istituti di credito o meglio le Banche del territorio, che si distinguono per avere come obiettivo lo sviluppo integrale del territorio stesso e non il mero sostegno finanziario.
Le banche locali hanno evidenziato un alto grado di resilienza al processo di finanziarizzazione perché ne sono state un potente antidoto: hanno storicamente sostenuto il fabbisogno finanziario di famiglie e imprese beneficiando delle cosiddette “soft information”.
Il sistema territoriale, rendendo tali soggetti protagoniste insieme a imprese, associazioni, istituzioni rende attuabile quel match tra interesse pubblico e privato che è l’interesse collettivo o meglio il BENE COMUNE.
Su questo terreno il sindacato è chiamato ad agire un nuovo ruolo che non può limitarsi a giocare in chiave reattiva perché deve assumere la guida del cambiamento e contribuire a modificare l’assetto delle istituzioni, soprattutto delle istituzioni economiche.
Questa è una vera e propria sfida di civiltà, che darà al cittadino-lavoratore una nuova dignità.
Sabina Porcelluzzi
Segretaria Generale Fisac CGIL Bologna
Banca d’Italia – Rapporto sull’economia dell’Emilia-Romagna – giugno 2014
Bologna 11 giugno 2014