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In materia di licenziamento all’interno della riforma del lavoro, il nostro partito si trova davanti al dubbio amletico del “dare a chi non ha o togliere a chi ha” per renderci tutti uguali. Nel primo caso l’estensione della tutela della giusta causa ci renderebbe tutti lavoratori di serie A, nel secondo caso ci renderebbe tutti lavoratori di serie B; in entrambi i casi sarebbe raggiunto comunque l’obiettivo comune a tutti (almeno a parole nel PD) di eliminare il dualismo attuale tra i garantiti dall’art. 18 e quindi vissuti come privilegiati da quelli non coperti, la maggioranza, che vivono in una condizione di precarietà e di ricatto quotidiano.
Dal mio punto di vista il nodo politico della disputa è tutto qui, ovvero se rivendicare per il PD la difesa per tutti del principio indisponibile che dignità e lavoro sono due facce della stessa medaglia o sancire definitivamente che anche per il “partito del Lavoro” siamo “tutti merce di scambio”.
In questo caso sarebbe evidente a tutti che il PD avrebbe fatto la scelta di aver definitivamente rinunciato (abdicato) ai propri principi delegando la rappresentanza di valori di sinistra come Lavoro, Diritti e Welfare alla destra.
Di per se è una scelta politica legittima, in quanto indicherebbe finalmente una chiara scelta di campo rispetto alla quale ciascuno di noi sarebbe libero di scegliere se stare dentro a questo percorso o farsi da parte; la cosa peggiore per tutti, lavoratori tutelati e non e politici interessati, sarebbe restare nel limbo di una situazione ibrida dove non c’è certezza di diritti per nessuno, perché il tutto è lasciato alla libera interpretazione delle parti caso per caso.
Il Partito Democratico deve avere il coraggio di fare questa scelta uscendo dal dubbio amletico di oggi, poi ognuno di noi sceglierà con la propria coscienza da che parte stare.
Bologna, 27 settembre 2014