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di Simonetta Saliera
L’Emilia-Romagna, in questi ultimi anni, ha preso atto di non essere territorio esente dall’infiltrazione mafiosa e dalla sua deleteria cultura. Indagini della magistratura e delle forze dell’ordine, ricerche specifiche effettuate dalla Regione, giornalismo di inchiesta, dati delle Prefetture e beni confiscati hanno fatto emergere la presenza, in gangli della nostra economia, della criminalità organizzata. In ispecie nel settore dei servizi (facchinaggio, trasporti, rifiuti pericolosi e tossici, ecc…), dei subappalti, della finanza (riciclaggio) e del commercio. Settori, questi, al di fuori delle loro attività tradizionali come gioco d’azzardo, usura, spaccio di droga, prostituzione e tratta delle persone. Si tratta di temi che riguardano da vicino anche il mondo del lavoro e dell’economia, perché è dalle forze sana della nostra società civile che deve venire (e sta venendo) una reazione che faccia scattare gli anticorpi. La Regione Emilia-Romagna preoccupata della presenza di questi fenomeni, ha approvato una specifica legge (L.R.. 3/2011) “Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile”, con lo scopo di prevenire il diffondersi di una sotterranea cultura malavitosa organizzata ed affermare una solare contrapposta cultura della legalità, della solidarietà di comunità in grado di comprendere la pericolosità di questa gramigna infettante. Non è mera ritualità ribadire che con questa legge la Regione ha avviato un percorso di cooperazione istituzionale con altri Enti – in primo luogo con il sistema delle autonomie locali – con l’associazionismo e il volontariato, con le associazioni imprenditoriali, con il sistema scolastico e universitario, con gli organi che hanno competenza in materia di contrasto e repressione della criminalità organizzata. Nel farlo abbiamo messo a punto quella che comunemente si definisce una “rete” (un intreccio sociale), consapevoli del fatto che le reti, specie quelle di interesse pubblico, non sono freddi meccanismi amministrativi o procedurali, ma, al contrario, un insieme coordinato del lavoro e delle relazioni positive e costruttive delle persone che vi fanno parte, sia tra di loro che con le comunità di riferimento. Ed è proprio grazie alla straordinaria umanità e professionalità di quanti animano questo insieme di azioni preventive che, a poco più di due anni dalla sua approvazione, il bilancio di questa legge ci pare che possa essere ritenuto positivo:
La Regione ha sostenuto – non solo con il contributo finanziario, ma anche con competenze tecniche e di progettazione – gli Enti Locali e le Istituzioni scolastiche e universitarie in un ampio spettro di azioni che hanno saputo mettere in campo: mobilitazione della società civile, interventi culturali e formativi, anche di natura specialistica, seminari tematici, costituzione di “Centri per la legalità”, recupero e riutilizzo di beni confiscati o in via di assegnazione. Tenere alta l’attenzione attraverso la conoscenza dei fenomeni e la sua messa in circolazione, rimettere a disposizione delle comunità i beni confiscati alla criminalità, far partecipare le generazioni più giovani in queste azioni e collaborare, con uno specifico apporto, con le altre istituzioni al fine di continuare a rendere l’Emilia-Romagna “una terra che vuole essere ostile alle mafie”, ci paiono degli utili contributi per salvaguardare quel patrimonio di convivenza civile ed operosità che i nostri predecessori ci hanno trasmesso e che è nostro compito passare alle future generazioni.