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di Amina Crisma
Siamo ancora increduli. Nessuno, credo, avrebbe potuto immaginare la strage orrenda che si è consumata ieri mattina a Parigi, XI arrondissement, nella redazione di Charlie Hebdo.
Le dodici vittime, ricordiamole una per una con i loro nomi:
i disegnatori Wolinski, Charb (anche direttore della rivista), Tignous, Cabu, Honoré,
il coordinatore della biennale dei Cahiers de Voyage di Clermont Ferrand Michel Renaud,
i poliziotti Frank Brinsolaro e Ahmed Merabet,
l’economista Bernard Maris, il correttore di bozze Mustapha Ourrad, i collaboratori della redazione Elsa Cayat e Frederic Boisseau.
Siamo ancora sgomenti.
Nessuno, credo, avrebbe potuto immaginare la ferocia opaca degli assassini – “gente senz’anima”, ha detto l’imam di Drancy, che è stato fra i primi ad accorrere – le loro urla blasfeme, la loro violenza oscena sulle loro vittime inermi.
Siamo di fronte alla dismisura di un non dicibile orrore.
Ma siamo anche di fronte alla reazione spontanea di tanti e di tante che sono scesi in strada, a Place de la République, come in tante altre piazze di Parigi, della Francia, dell’Europa, del mondo, con il cartello “Je suis Charlie”, con le matite in mano.
E tutto questo ci interpella tutti.
Per tre diversi inviti alla riflessione: “La strage nella redazione di Charlie Hebdo. Perché i loro disegni avvicinano a Dio” di Vittorio Capecchi e “La guerra fascistoislamista nel cuore di Parigi” di Bruno Giorgini, su www.inchiestaonline.it; “Livello zero: i lumi spenti dell’Occidente” di Carlo Freccero, su il manifesto di oggi, 8 gennaio.