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di Gabriele Polo
Alla fine Piazza del popolo era piena. Soprattutto di metalmeccanici, precari di vario tipo e un po’ di studenti. E, poi, gli homeless della sinistra. Gli altri pezzi del sindacato e della società chiamata a coalizzarsi erano più sul palco che in piazza. Ora è il tempo dei commenti.
C’è anche uno scrittore – “Stregato” – che ha visto una cultura reazionaria e corpi “inerti”, superando a destra la destra; ma si tratta di banale cortigianeria, non vale la pena perderci del tempo. Per tutti gli altri il tempo è quello delle previsioni – che a volte sembrano quasi suggerimenti -, dell’incasellamento in qualche schema. Quello del “nuovo soggetto (o partito) politico” andava per la maggiore fino a venerdì sera.
Foto di Sergio Caserta
Ora ha perso un po’ di smalto e a sostenerlo rimane tutta la dirigenza del Pd e tutta la destra; insomma, quelli che hanno il potere come unica logica e lingua. Cresce, invece, l’interpretazione della “scalata ai vertici della Cgil”, che stuzzica molto la cultura e il mondo del centro-sinistra. Entrambi gli schemi hanno una loro ragione e un loro senso; quello di tenere gli occhi bassi sulle contingenze immediate e sulla gestione di un oggi considerato immutabile, con qualche possibile variante “amministrativa”, ben che vada. Interpretazioni molto re-alistiche, fin troppo, con l’ulteriore difetto di guardare poco alla vita e alla condizione di chi nel presente non ci vive troppo bene. Interpretazioni che si precludono la possibilità di sollevare lo sguardo sul futuro. Un peccato, per loro.
Eppure la piazza di sabato 28 marzo a Roma non poteva essere più realistica, nel suo raccontare la vita e nel sottolinearne le esigenze. Non solo nei frammenti di una società divisa che si osserva e cerca di parlarsi per trovare una lingua comune, come emergeva nei singoli interventi dal palco in cui ognuno esponeva il “suo” problema. Ma soprattutto nel discorso “corale” che quei pezzi hanno composto.
I metalmeccanici della Fiom non avevano mai fatto una manifestazione così tanto confederale, così vogliosa di rappresentare e contrattare tutte le forme del lavoro e, persino, tutti gli aspetti della vita sociale; coalizzando ciò che è frammentato, cercando gli elementi e i punti di vista comuni per costruire “un mondo”.
L’intenzione di scalare la Cgil o di creare un nuovo partito ne sono le letture banali dettate dal tono del dibattito politico nostrano; vanno messe in conto, ma sono una deformazione semplicistica di qualcosa di molto più complicato, complesso almeno quanto lo è il mondo della globalizzazione e della subordinazione della vita a mercati e finanze.
A vedere quella piazza con un corpo così metalmeccanico e un’intenzione così confederale, venivano in mente gli interrogativi finali di un ex segretario generale della Fiom, Claudio Sabattini. Che agli inizi di questo nuovo secolo si – e ci – chiedeva come fare a rappresentare lavori e lavoratori tanto frantumati e divisi dal nuovo capitalismo senza cadere nel sindacato aziendale, corporativo, di mercato. Quale confederalità per il 2000, in sostanza. Quella risposta – probabilmente una serie di risposte ancora da mettere insieme – sono il senso di UNIONS!
Parola scelta apposta non per immaginare ritorni al passato o una storia che ogni volta si ripete allo stesso modo; ma una necessità, un metodo, una pratica che diventano punto di vista e azione comune. Difficile, certo. Che ha bisogno di tempo e non di fretta, sicuro. Ma è sempre cominciata così, a prescindere da come sia poi andata a finire. Anche centocinquant’anni fa non sapevano bene dove sarebbero andati, ma la loro risposta l’hanno trovata sollevando gli occhi per liberarsi dalle ristrettezze del presente e guardando un po’ più lontano.
Bologna 31 marzo su autorizzazione del Il manifesto Bologna