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Una prospettiva laburista nel PD?

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La fase attuale che sta vivendo il PD, nel pieno di processi di riforma importanti e comunque dopo il decreto legislativo n. 23 di quest’anno – che ha dato corpo alla parte più impattante del “jobs act” superando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – impone una nuova riflessione. La nostra sfida è affrontare e promuovere il cambiamento tenendo assieme il popolo che si riconosce nei nostri valori.

Ripartiamo dal valore del lavoro. Esso è il diritto di una persona a lavorare e, con il frutto del proprio lavoro, poter avere tutto ciò che consente di condurre una vita libera e dignitosa. Il lavoro è la base della legittimazione sociale di un individuo, soggetto che la società vede come una ricchezza. Per questo la Repubblica è chiamata ad assicurare il lavoro ed a valorizzarlo.

Questa è la forte visione che deriva dalla nostra costituzione, a partire dai suoi primi quattro articoli.

Ne deriva una concezione della struttura sociale molto diversa da quella del puro mercato, dove un individuo è lasciato a se stesso e può essere un peso per la società o, comunque, non rappresenta una ricchezza, ma semmai lo strumento attraverso il quale un altro individuo può perseguire il proprio profitto.

Per capire quanto siamo lontani dalla profonda visione del valore del lavoro ci basta pensare ai giovani abbandonati nelle nostre periferie più degradate.

Dal valore del lavoro deriva una visione socialista, dove le forze del mercato non si legittimano da sole, ma solamente in quanto siano in grado di offrire qualcosa di positivo alla società.

Ne deriva la necessità che un partito di sinistra sappia rappresentare il valore del lavoro e la classe sociale dei lavoratori.

Chi ha scelto il PD come il grande soggetto in grado di rappresentare e portare alla vittoria le idee della sinistra – pur nella pluralità del dibattito democratico interno – deve quindi chiedersi in ogni momento quanto il PD sia in grado di rappresentare effettivamente il lavoro: dal singolo lavoratore alle associazioni che ne tutelano gli interessi. Non si possono estromettere i sindacati o le altre espressioni del lavoro dal ruolo della rappresentanza generale dei lavoratori, pretendendo di chiuderli nella dimensione della trattativa aziendale.

Una corrente ideale non è una eresia. Si devono combattere le correnti come strutture chiuse, attraverso cui gruppi di persone lottano per il potere, ma non le correnti ideali.

Come dalle trade unions è nato il partito laburista così in Italia può ben nascere una corrente ideale nel partito democratico: una corrente che non si arrende all’idea di un indistinto partito della nazione, ma vuole portare avanti il disegno di un partito del lavoro.

Non credo nella fuoriuscita da un partito di massa come il PD verso le incerte soluzioni che la frammentazione politica alla sua sinistra manifesta. Però occorre sapere che anche in quell’area dobbiamo riprendere molto del consenso e della forza che ci serve per ribaltare la situazione attuale.

PERCHÉ NON PARLARE ALLORA DI UNA CORRENTE LABURISTA?

Dietro a ciò sta un progetto di lavoro: non bastano le parole, rappresentare i lavoratori vuol dire ascoltarli e mettere insieme i canali che consentono di sentine la voce, sapendo che essi non hanno gli strumenti di Marchionne o di Squinzi.

Per questo, se il “partito della nazione” può limitarsi ad ascoltare i forti – perché la loro voce si alza per natura nel boato indistinto della società – il movimento laburista deve alzare la voce dei deboli, facendoli essere il cuore di un mondo di esseri uguali e, per questo, democratici.

Non vi è democrazia fra il Re Mida ed il povero che raccoglie le briciole alla sua mensa, così non vi è fra Marchionne e il povero operaio della CGIL discriminato ed espulso dalla fabbrica. Non si può essere partito democratico senza porsi adeguatamente i problemi dell’eguaglianza e del lavoro.

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