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L’articolo raccoglie le riflessioni emerse dal seminario di formazione politica dal titolo «Partiti: modello, leadership, primarie», organizzato a Roma, il 28 marzo 2015, dai dipartimenti «Cultura» e «Formazione politica» del Partito Democratico.
Dire «politica» oggi significa, nel migliore dei casi, dire «impotenza», «inadeguatezza», «debolezza». Delegittimata (per colpe sue proprie e anche grazie a un intenso battage mediatico) agli occhi dei cittadini, che ormai la considerano fonte e origine di ogni male; frequentemente percepita come subalterna agli interessi dei poteri economico-finanziari e piegata al rispetto di logiche sovranazionali spesso riconosciute lontane dall’interesse nazionale, la politica sembra oggi incapace di tracciare un percorso autonomo che configuri una realistica via d’uscita da una situazione i cui esiti appaiono sempre più fluidi e incerti. Di fronte all’attuale crisi economica, al malcontento diffuso e alla disaffezione nei confronti della politica, alla crisi della rappresentanza, dello Stato e dei partiti, allo sbiadire (in realtà solo apparente) del cleavage destra-sinistra, all’impoverimento sempre più massiccio di vasti strati della popolazione, gli studiosi e coloro che fanno politica oggi sono chiamati a interrogarsi su come e perché questa deriva sia avvenuta, e se e come sia possibile uscirne, attraverso quali strumenti e decisioni.
Una seria riflessione – caratterizzata da una pluralità dei punti di analisi e di indagine – su alcuni dei temi caldi presenti nel discorso pubblico è stata affrontata nel seminario di formazione politica, organizzato dai dipartimenti «Cultura» e «Formazione politica» del Partito Democratico – svoltosi a Roma il 28 marzo del 2015 –, dal titolo Partiti: modello, leadership, primarie. Come già il titolo assegnato all’incontro lasciava presagire, «quello di sabato 28 marzo – ha dichiarato Andrea De Maria, deputato, componente della segreteria nazionale e responsabile del dipartimento «Formazione politica» del Partito Democratico – è stato certamente un momento formativo, ma al tempo stesso lo abbiamo immaginato e costruito con un obiettivo più generale, affinché fosse un contributo al dibattito e alla riflessione politica di tutto il PD».
Seguendo una prospettiva che muove dai tempi lunghi della storia e che è rafforzata dalla riflessione critica della filosofia politica, Carlo Galli, filosofo politico e deputato, ha collocato le gravi questioni che il neoliberismo ha aperto e non chiuso – fra tutti la perdita di potere della politica e dei partiti, e l’aumento esponenziale della disuguaglianza, almeno in Occidente, con grave compromissione del ceto medio – in quello che è lo sfondo teorico del nostro tempo. Se il contesto storico di riferimento è la rivoluzione conservatrice neoliberale inaugurata da Thatcher e Reagan e l’affermarsi in Europa – attraverso i trattati istitutivi dell’Unione Europea – dell’ordoliberalismo, la perdita di potere politico dei partiti è strettamente legata alla sua quasi totale adesione alla autonarrazione neoliberale, che sembra aver mandato definitivamente in frantumi l’idea che «il conflitto sociale possa nominarsi come conflitto politico, attraverso i nomi convenzionali di destra e sinistra». La sfida all’altezza della quale porsi è di superare lo schema nel quale pare essersi arenato il sistema politico italiano – semplificato da Galli nella formula «partito della nazione contro resto del mondo» – e di aprire un nuovo spazio per una politica, caratterizzata tanto dalla leadership quanto dalla partecipazione partitica, in grado di far emergere le contraddizioni che sono alla base delle posizioni antisistema e della voragine partecipativa che si è aperta in questa fase della storia politica d’Italia.
La centralità della dicotomia destra-sinistra attraversa anche la riflessione di Giorgio Tonini, senatore e giornalista. «Dire che sinistra è lotta per l’uguaglianza – afferma Tonini, seguendo in questo la lezione di Norberto Bobbio – significa avere della politica un’idea forte» e «concepirla come forza di trasformazione della società». In questo percorso, che impone la rimozione degli ostacoli che impediscono la concreta riduzione delle disuguaglianze, ci si scontra con tre grandi questioni del nostro tempo: la riduzione del peso della politica nazionale a favore di istituzioni sovranazionali; la fuga del potere dalla politica verso altri luoghi (nello specifico verso i poteri economico-finanziari); la contraddizione, «per un certo tempo feconda ma oggi da superare, tra l’ambizione “rivoluzionaria” della prima parte della Costituzione e la debolezza strutturale della seconda», che ha impedito – nella prospettiva delineata dal senatore – l’affermazione di una leadership forte, in grado – attraverso il consenso democratico – di incidere profondamente sulla realtà del Paese e di consentire una vera trasformazione sociale. Parallelamente alla questione della legittimazione di un governo e di una leadership forti è necessario, però, – prosegue Tonini – «predisporre un nuovo sistema di pesi e contrappesi, che dia al governo la garanzia di poter decidere in tempi certi e assicuri all’opposizione i tempi giusti per poter proporre le sue alternative al Parlamento e al Paese». In questa prospettiva, il partito – inteso come luogo di selezione e di produzione della leadership – rappresenta un forte contrappeso, in grado di bilanciare il peso della leadership e di metterla democraticamente in discussione.
Il tema della leadership e dei pesi e contrappesi ritorna anche nelle riflessioni successive. Nel suo intervento Donato Di Santo, uno dei massimi esperti in Italia dei Paesi latinoamericani, esaminando la situazione politico-istituzionale di alcuni Stati dell’America Latina – che nella maggioranza dei casi hanno adottato il modello presidenziale nordamericano – ha mostrato come essi abbiano trovato delle proprie originali vie per bilanciare il forte potere del leader e del partito che vince le elezioni (come nel caso dell’Argentina, dove è stato istituito un registro dei partiti e dove è lo Stato a organizzare, due mesi prima delle elezioni presidenziali, le primarie). Anthony Renzulli, diplomatico americano, afferma che negli Stati Uniti «i partiti sono istituzioni peculiari, fuori dall’ordine costituzionale, ma fondamentali per il funzionamento della nostra democrazia. Vecchi, ma sempre in evoluzione». I due partiti principali, prosegue Renzulli, condividono gli stessi valori fondamentali e i loro compiti si concentrano sulla selezione dei candidati con primarie aperte, sulla mobilitazione degli elettori e sull’informazione dell’opinione pubblica, sul controllo della maggioranza. Il caso tedesco, infine, – esaminato da Silvia Bolgherini, ricercatrice di Scienza politica presso l’Università Federico II di Napoli – è quello di uno Stato a cancellierato forte (Kanzlerdemokratie), che è stato caratterizzato, per gran parte della sua storia, da una grande stabilità – incentrata sulla dinamica bipolare dei «due partiti e mezzo» [SPD (socialdemocratici) e CDU/CSU (democristiani), con FDP (liberali) come ago della bilancia]. Oggi, afferma Bolgherini, anche a causa della crisi, che alimenta insofferenze e disagi, «cominciano a cambiare le condizioni sistemiche». Questo induce, secondo la ricercatrice, a ipotizzare che siamo all’inizio di una fase nuova nella storia politica tedesca, caratterizzata da sempre maggiore incertezza e fluidità – con i partiti classici sempre più in difficoltà a far fronte alle sfide e alle esigenze messe in moto anche dall’emergere di nuovi partiti (Piraten Partei e Alternative für Deutschland) –, che fa presagire un futuro sistema politico caratterizzato da maggioranze e coalizioni ancora più fluide o difficili.
Questi, in estrema sintesi, sono stati i passaggi principali dell’incontro seminariale, che – nell’intenzione dei suoi organizzatori – doveva costituire un momento di riflessione aperta, interdisciplinare e inclusiva. Come ha dichiarato De Maria, a conclusione dei lavori: «Credo che la formazione politica abbia un compito da svolgere in questo percorso» verso un’idea condivisa di partito e verso una visione comune di società. «La formazione in un partito – ha affermato De Maria – resta sempre e soprattutto la leva principale per condividere una cultura politica e il tema di come nel PD si costruisce una nuova cultura politica condivisa è ancora in buona parte da svolgere».
Bologna 28 aprile 2015
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