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Primo maggio

una giornata di lotta internazionale

 

Il l° maggio è una “data simbolo” per tutti i lavoratori del mondo che, dalla sua nascita, nella lotta per le otto ore, nel 1886 a Chicago, ha segnato oltre cento anni di storia. È sempre stata una giornata di lotta, economica e politica, del movimento sindacale per affermare i diritti e gli obiettivi sociali ed economici, della classe lavoratrice: diritto di sciopero e di coalizione, la “cittadinanza del lavoro” anche dentro le aziende, i diritti sociali (previdenza, sanità, istruzione pubblica). Ma è servita anche ad affermare i diritti di partecipazione e democrazia per la società civile e per tutti i cittadini. È il risultato di una lunga storia di lotte.

Alcuni episodi di sciopero nell’antica Roma avevano imposto, nel 494 a.C., la creazione dei Tribuni della plebe e, successivamente, l’adozione della Dodici Tavole e della Lex Hortensia. Poi, dopo oltre due millenni, solo con la Rivoluzione industriale sono ricomparsi nel ‘700, gli scioperi contro condizioni intollerabili di sfruttamento bestiale, che crearono un crescente allarme nei governi che li hanno duramente repressi con l’intervento dell’esercito e la carcerazione con leggi che li equiparavano al reato di cospirazione. Anche la Rivoluzione francese del 1774 considerava lo sciopero e le coalizioni dei lavoratori come un monopolio da combattere in nome della libertà individuale.

Il divieto di sciopero e di coalizione venne sancito in Inghilterra con il Combination Act , in Francia con la legge Le Chapelier del 1791, poi recepita nel “Codice napoleonico”, in Germania con la “legge industriale” del 1845. Nonostante la persecuzione in tutti i paesi industrializzati si moltiplicarono e intensificarono gli scioperi generalizzati con al centro la riduzione dell’orario di lavoro giornaliero.

Nel 1832 William Benbow aveva rivendicato in Gran Bretagna la creazione di una “Festa nazionale”, con uno sciopero generale prolungato, una cassa di mutuo soccorso (finanziata con la confisca dei fondi parrocchiali e il contributo dei ricchi) e un Congresso nazionale dei lavoratori, composto da delegati eletti a livello territoriale: un’idea adottata dal Congresso Cartista nel 1839.

Nel 1835 veniva effettuato il primo sciopero generale moderno nella città di Filadelfia e nel 1842 in Gran Bretagna il primo sciopero generale nazionale, a cui parteciparono oltre mezzo milione di lavoratori inglesi. Negli Stati Uniti a metà del secolo comparvero i primi scioperi e i primi sindacati e a Boston nel 1844 venne avanzata per la prima volta la rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore.

Queste lotte hanno portato, dopo nove mesi di sciopero, nel 1859 in Gran Bretagna, all’approvazione del “Servant Act”, che aboliva il carcere per gli scioperi e depenalizzava il delitto di coalizione dei lavoratori e un analogo provvedimento venne approvato in Francia nel 1864 (ma ancora nel 1884 la legge Waldeck-Rousseau riconfermava il divieto di sciopero e di coalizione), ma solo nel 1869 in Germania.

La Rivoluzione industriale fu accompagnata da un intenso sfruttamento e da orari di lavoro lunghissimi e per questo fin dai primi decenni dell’Ottocento, in Inghilterra e negli Stati Uniti, era stato posto l’obiettivo di ridurre l’orario giornaliero di lavoro a dieci ore, conquistato legalmente prima a Filadelfia e poi per i dipendenti pubblici statunitensi nel 1840, mentre in Inghilterra invece il “Ten Hours Act”’ fu approvata nel 1847, ma l’applicazione di queste leggi rimase aleatoria, specie nel settore privato. A seguito della rapida introduzione delle macchine e della connessa crescita della produttività ben presto venne posto l’obiettivo della “giornata corta” delle “tre otto”, ovvero “8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 di riposo”, esteso da Inghilterra e Stati Uniti, persino in Australia dove nell’aprile 1856, le otto ore appena conquistate a Melbourne vennero rivendicate dai lavoratori in sciopero per l’intero paese. Nel 1865 nasceva a Boston la “Lega per le otto ore” e nell’agosto del 1866 veniva fondata la “National Labor Union”, una centrale sindacale nazionale che aveva per obiettivo le 8 ore. e il primo veicolo per la diffusione in tutto il paese della rivendicazione delle otto ore.

Il Congresso della Prima Internazionale di Ginevra del settembre 1866 ha posto l’obiettivo delle 8 ore “per i lavoratori di tutto il mondo” con scioperi che hanno costretto lo stato dell’Illinois ad approvare una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limiti che ne impedivano l’effettiva applicazione. Il 1° Maggio 1867, giornata di entrata in vigore della legge, venne organizzata a Chicago una grande manifestazione, con il maggiore corteo della storia della città e si definiva così il legame inscindibile tra la lotta per le otto ore e il 1° maggio. Solo in Canada venne riconosciuto per legge il diritto di sciopero, a seguito delle mobilitazioni del “Movimento delle Nove Ore” che portarono nel 1872 al “Trade Union Act” che legalizzò e tutelò lo sciopero e l’attività sindacale. Nel 1882 veniva istituito anche negli Stati Uniti, il “Labor day”, sull’esempio canadese.

Per chiedere un’effettiva applicazione della legge la “Associazione dei Cavalieri del lavoro”, fondata nel 1869, con mezzo milione di iscritti, aveva promosso una manifestazione a New York il 5 settembre 1882 e nel 1884 aveva deciso di rendere tale scadenza annuale. La Prima Internazionale aveva anche richiese che legislazioni simili fossero introdotte anche in Europa. Nell’ottobre del 1884 la “Federation of Organized Trades and Labour Unions (FOTLU)” decise che, a partire dal 1° Maggio 1886 i lavoratori avrebbero rifiutato di lavorare più di otto ore al giorno, aprendo così la strada a una battaglia generale e alla ricerca di un giorno per realizzare una mobilitazione mondiale dei lavoratori. Per questo il 1° Maggio 1886, su indicazione della “American Federation of Labor (AFL)” in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti scioperarono per le otto ore 400.000 lavoratori e nella sola Chicago oltre 80.000 parteciparono a un corteo pacifico e nei giorni successivi proseguirono scioperi e manifestazioni nelle principali città industriali americane. A causa della pesante repressione e delle provocazioni della polizia ci furono a Chicago dei fortissimi scontri, passati alla storia come la rivolta di Haymarket. Il 3 maggio la polizia sparò contro i lavoratori della fabbrica McCormick di Chicago, in sciopero contro i licenziamenti, facendo quattro morti e numerosi feriti. Il 4 maggio la polizia sparò sulla folla che manifestava per i morti del giorno precedente, uccidendo otto persone e ferendone molte altre. Il giorno 5 a Milwaukee la polizia fece nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté sulle organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le sedi vennero devastate e chiuse e i dirigenti vennero arrestati.

L’11 novembre del 1887 furono impiccate per i fatti di Chicago 12 persone, scelte in modo simbolico (quattro operai, quattro sindacalisti e quattro anarchici) e molti altri furono condannati all’ergastolo. Morendo, uno dei condannati, August Spies, disse: “verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che state strangolando oggi“. Ma i lavoratori non si fecero intimidire dalla feroce repressione e pochi giorni dopo l’esecuzione dei “martiri di Chicago”, vi fu una imponente manifestazione per continuare la lotta.

Da allora il primo maggio è diventata la data simbolo mondiale della lotta per le otto ore e il 20 luglio 1889 a Parigi il Congresso della Seconda Internazionale ha adottato la data del 1° maggio, per realizzare una grande manifestazione “in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore”.

Negli anni successivi sono stati effettuati, specie negli Stati Uniti, numerosi scioperi generali a livello cittadino, ma il secondo sciopero generale su larga scala è avvenuto in Belgio, con quattro mobilitazioni (1886, 1987, 1891 e 1893). Gli obiettivi erano la pace, la democrazia, l’istruzione pubblica, la sanità, la lotta contro l’austerità, il salario e, soprattutto, la riduzione dell’orario di lavoro, prima a dieci e poi a 8 ore giornaliere.

Nel 1890 venne proclamato, in un clima di forte tensione, la prima “Festa dei lavoratori”, facendo del 1° maggio una giornata mondiale di lotta, con il primo, e finora il solo, sciopero generale di dimensione veramente planetaria. I governi avevano preparato forti misure repressive contro tale sciopero che vide però una straordinaria partecipazione in tutta Europa e ciò indusse la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che era stata prevista come una singola iniziativa e che da allora è divenuta la “festa dei lavoratori di tutti i paesi” da svolgere annualmente. Il primo paese ad adottarla ufficialmente come festa nazionale è stato il Canada nel 1894.

Anche i lavoratori italiani hanno partecipato a questa battaglia per le otto ore e per dichiarare il 1° maggio come festa nazionale, ma anche per l’eguaglianza, i diritti civili e il suffragio universale, la pace. Dopo la Strage di Chicago, nel 1888, il popolo livornese si era rivoltato contro le navi statunitensi ancorate nel porto e contro la Questura, dove si diceva che si fosse rifugiato il console statunitense. “Lavoratori – si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 – ricordatevi di far festa il 1° maggio. Gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!“. Il governo Crispi aveva vietato qualsiasi manifestazione pubblica sia il 1° maggio che la domenica successiva, ma nonostante questo divieto, in questa manifestazione del 1° maggio 1890, la prima su scala nazionale, la partecipazione allo sciopero ha “superato di molto tutte le speranze riposte in essa”, commentava Antonio Labriola, e i lavoratori hanno ottenuto le otto ore, che però sono state istituite legalmente in Italia solo con il r.d.l. n. 692/1923).

Il 1° maggio 1898, durante i “moti per il pane” causati dalla carestia e diffusi in tutta Italia, ci furono 3 morti a Minervino; a Firenze e a Sesto Fiorentino, la polizia spara alla schiena dei lavoratori in fuga provocando 5 morti e 10 feriti e a Milano il generale Bava Beccaris ha represso la rivolta sparando sui manifestanti con fucili e cannoni.

La festività del 1° maggio venne soppressa durante il ventennio fascista, a partire dal 1924, e sostituita con il Natale di Roma (il 21 aprile), e ogni iniziativa connessa alla sua celebrazione divenne un atto sovversivo, ma venne ripristinata nel 1945, a seguito della liberazione dal fascismo, che segnò così un legame irreversibile fra il 1° maggio e la Costituzione nata dalla resistenza, che all’articolo 1 definisce l’Italia “una repubblica democratica fondata sul lavoro”.

La conquista della democrazia fu ancora un processo doloroso. Su commissione dei latifondisti e della mafia, contro l’occupazione delle terre incolte, e di altissime istituzioni italiane e forse dei servizi segreti statunitensi, che intendevano fermare l’avanzata elettorale del Pci, inaugurando la “strategia della tensione”, il 1° maggio del 1947 a Portella delle Ginestre la banda di Salvatore Giuliano sparò su un corteo di circa duemila lavoratori, uccidendone undici e ferendone una cinquantina, di cui molti morirono poi a seguito delle ferite. Ma nel 1955 anche papa Pio XII istituiva il 1° maggio come festa di San Giuseppe lavoratore, per consentire la partecipazione anche ai lavoratori cattolici.

La Giornata del 1° maggio è l’unica ricorrenza che riunisce i lavoratori di tutto il mondo, di ogni nazionalità e religione. È diventato una festa ufficiale nazionale in quasi tutti i paesi del mondo, con alcune eccezioni importanti, come l’Olanda e la Danimarca. Negli Stati Uniti non si festeggia il primo maggio perché la data è troppo legata ai fatti di Haymarket, mentre si festeggia il “Labor day” il primo lunedì di settembre.

A differenza delle conquiste tecnologiche, che sono cumulative, quelle sociali sono reversibili e devono essere sempre, ogni volta, conquistate di nuovo, come nel mito di Sisifo. L’attuale epoca della globalizzazione neoliberista ha determinato un forte arretramento dei diritti sociali e del lavoro, della partecipazione e della democrazia. I parlamenti sono svuotati del loro potere e sottoposti ai vincoli economici e politici di organismi tecnocratici che nessuno ha eletto e non rispondono a nessuno, ma operano legittimandosi sullo stato di necessità, sulla base del motto “TINA, There is no alternative” della Tatcher. Se non c’è alternativa non ha senso la democrazia, il sindacato, la società civile, la speranza nel futuro, ovvero tutto ciò che si nutre della possibilità di una alternativa a una vita spesso invivibile. Il risultato è il dominio della finanza onnivora del “banksters” che, con la sua avidità sta divorando il lavoro, lo stato sociale, la solidarietà e il legame sociale, favorendo la moltiplicazione degli egoismi, della xenofobia, degli sciovinismi tribali e rancorosi, delle diseguaglianze. Ma si tratta d’un mondo senza futuro. In particolare l’Europa, dominata dall’“ordoliberismo” tedesco, impone una concorrenza senza sbocchi, che alla svalutazione monetaria, resa impossibile dall’euro, sostituisce quella sociale, tagliando occupazione pubblica, salari, pensioni, sanità e, più in generale lo stato sociale, chiedendo la precarizzazione del lavoro e la fine del contratto di lavoro nazionale: ciò che sta appunto realizzando Renzi col suo “Jobs Act” e l’attacco alle pensioni.

Occorre perciò passare alla riscossa, per imporre il ritorno alla solidarietà, all’uguaglianza, a uno sviluppo socialmente e ambientalmente compatibile. Un insegnamento che ci viene dal 1° maggio è quello della necessità di ridurre l’orario e distribuire il lavoro, che si è sempre più concentrato aumentando l’orario di fatto degli occupati, divenuti sempre più precari e lasciando disoccupati gli altri. Le odierne tecnologie sono così altamente distruttive di forza lavoro (con informatica, tlc, automazione industriale, stampanti 3D, ecc.) che non sarà più possibile come in passato trasferire il lavoro da industrie obsolete a quelle nuove, incapaci ormai di assorbirlo, ma così si lacera non solo il tessuto sociale, ma si riduce la domanda solvibile e dunque la possibilità d’una stabile ripresa che esige una crescita dell’occupazione. Dunque è indispensabile operare sulla riduzione dell’orario di vita, non solo quello settimanale ma anche quello della pensione, pensando ad un diverso modello. È poi certo che una spietata concorrenza fra paesi attraverso l’austerità non fa che ridurre ilo mercato globale e portare a un a depressione planetaria e forse a guerre micidiali che sono già in larga misura in atto. Dunque è indispensabile recuperare il senso storico del 1° maggio come una giornata di cooperazione e solidarietà dei lavoratori di tutto il mondo, di lotta per cambiare la società, bandire gli egoismi le diseguaglianze, le guerre, tagliare le unghie alla finanza speculativa, rilanciare occupazione e stato sociale, attraverso una cooperazione su scala mondiale a cui i lavoratori devono fornire la spinta propulsiva.

In un mondo globalizzato come l’attuale la giornata internazionale dei Primo Maggio non è una commemorazione del passato ma un impegno di lotta che appartiene al nostro futuro.

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