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C’è qualcosa di epico nel complesso negoziato che vede impegnati, ormai da cinque mesi, il governo greco di Alexis Tsipras, da un lato, e i suoi creditori internazionali – Commissione UE, Banca Centrale Europea (BCE), Fondo Monetario Internazionale (FMI) –, dall’altro. Nella fase attuale della trattativa, alla dura posizione negoziale dei creditori – che vorrebbero da Atene ulteriori riforme in senso neoliberista, con nuovi tagli alle pensioni e agli stipendi, e interventi sull’IVA –, il governo greco ha risposto presentando un proprio piano di riforme, essenzialmente incentrato sulla fine dell’austerità, sullo sblocco degli aiuti e sulla ristrutturazione del debito.
Dal 2009 – da quando, cioè, è esplosa la crisi nel Paese e, come contromisura, sono state adottate le politiche di austerità – la situazione economica e sociale in Grecia si è fortemente deteriorata: la disoccupazione è arrivata al 25% e quella giovanile ha raggiunto il 50%; la classe media è stata distrutta dai tagli agli stipendi e alle pensioni; il 30% circa della popolazione è finita sotto la soglia di povertà; il sistema sanitario e la previdenza sociale sono allo stremo; la crescita – nonostante una breve fase di ripresa nel 2014 (trascinata dalle esportazioni e dagli investimenti), che ha comportato però costi sociali pesantissimi – si è arrestata. Col voto del 25 gennaio scorso – che ha portato alla nascita del governo guidato da Tsipras, frutto dell’alleanza fra il partito del Primo ministro, Syriza (Synaspismós Rizospastikís Aristerás, tradotto: Coalizione della Sinistra Radicale), e Anel (Anexartītoi Ellīnes, tradotto: Greci indipendenti), un partito di destra guidato dall’attuale ministro della Difesa, Panos Kammenos –, i cittadini greci hanno condannato le durissime misure di austerità imposte loro dalle istituzioni europee e, contemporaneamente, hanno affermato la loro volontà di rimanere nell’Unione Europea.
Quale che sia lo scenario che si imporrà alla fine della trattativa, una cosa è certa: le politiche di austerità – se mai avessero davvero avuto una reale possibilità di inaugurare una fase espansiva per l’economia – hanno fallito e l’esempio dato dalla Grecia, finora unita dietro al suo governo, impegnato in un «negoziato tra soggetti che non sono alla pari» – per usare le parole di J. Stiglitz e di Martin Guzman (in «Internazionale», n. 1107, Anno 22, p. 40) –, potrebbe essere fondamentale per cambiare gli equilibri in Europa. «Il caso greco sta suonando una campana sul futuro dell’Europa: siamo in un momento decisivo e il futuro assetto dell’Unione dipenderà molto dalla vicenda aperta dalla trattativa fra il governo greco e i suoi creditori internazionali». A dirlo è Danilo Barbi, della Segreteria nazionale della CGIL, in occasione di un incontro organizzato il 31 maggio scorso – nell’ambito della festa «Idee al lavoro», organizzata dalla CDLM (Camera del Lavoro Metropolitana)-CGIL di Bologna – che ha visto protagonisti, oltre a Barbi, Maurizio Lunghi (Segretario generale della CDLM-CGIL di Bologna), Trachanatsis Efstathios (Segretario generale della Camera del Lavoro di Atene e responsabile delle relazioni internazionali per il lavoro di Syriza) e Jesus Montero (Segretario generale di Podemos Madrid). «È evidente – ha affermato Barbi – che la questione del debito europeo è una questione politica. Tutti sanno che quello che dice il governo greco è ovvio: se l’economia non riprende a crescere, se non si crea nuova occupazione, la Grecia non potrà pagare i suoi debiti. Il problema, quindi, non è tanto il debito; il tema vero è quale politica economica seguirà l’Europa negli anni a venire». «Questo negoziato – ha proseguito Barbi – dà alla Grecia una responsabilità enorme e tutti coloro che hanno a cuore la storia e la civiltà del lavoro in Europa devono sostenere il tentativo che il governo di Syriza sta facendo».
Anche per Jesus Montero di Podemos è l’intera architettura europea a essere in crisi e se le organizzazioni sociali e politiche, che mettono al centro delle proprie rivendicazioni la valenza politica del lavoro, riusciranno a imporsi democraticamente oltre che in Grecia anche in Spagna e negli altri Paesi europei, allora «una nuova Europa» sarà possibile. «Dobbiamo cambiare l’agenda in tutti i Paesi d’Europa – ha, infatti, affermato Trachanatsis Efstathios di Syriza – e riportare al centro della politica europea il lavoro e la giustizia sociale. Dobbiamo lottare per la democrazia. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa o sarà sociale o non continuerà ad esistere».
Lo sbocco finale della trattativa fra governo greco e istituzioni internazionali potrà ridare una nuova speranza all’Europa se si andrà verso una maggiore integrazione e una nuova solidarietà sociale o – nell’ipotesi di una rottura radicale – potrà aprire la strada a un futuro che, per la troppa vicinanza, non possiamo ancora vedere nella sua interezza, ma che – se prestiamo attenzione ai segnali che già si scorgono all’orizzonte – si prefigura pieno di incertezze e poco rassicurante. In ogni caso, indipendentemente dagli esiti del negoziato, il rifiuto del governo greco di cedere alle «assurde» – come le ha definite Tsipras – pretese dei creditori ci riporta alla mente le parole di Churchill che, davanti alla tenace e fiera resistenza del popolo greco contro l’offensiva dell’Italia fascista durante la Seconda guerra mondiale, affermò: «Da oggi non diremo più che i greci combattono come gli eroi, ma che gli eroi combattono come i greci».
Bologna, 21 giugno 2015