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Gli effetti della crisi greca e i meriti di Tsipras stanno soprattutto nell’aver messo a nudo – se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – il vuoto di visione politica e di solidarietà che sta attraversando l’Europa, oggi come non mai.
E’ stata siglata l’intesa tra le istituzioni europee ed il presidente greco – e questo è un bene – ma non intendo accodarmi al coro dei commenti urlati che anziché riflettere sulle sue conseguenze politiche e pratiche inneggiano ora alla Grecia, ora a qualcun altro. Un’ennesima scena pietosa, anche qui in Italia.
Ma – se e solo se il Parlamento greco approverà il piano proposto dall’Unione europea e si orienterà verso la sua realizzazione, da dove verranno le risorse promesse? Quali interventi potranno permettere? Quali no? Come e se si potrà esercitare una qualsiasi scelta “politica” da parte del leader greco? E il Parlamento tedesco – anche questa è una sede democratica – avrà la contezza di approvare il compromesso? E la Merkel ce la farà in casa sua a far passare la mediazione raggiunta?
Come la sigla dell’accordo – peraltro non ancora effettivo – interverrà sulla strategia europea degli investimenti? L’Europa si è dotata di un piano di investimenti – il cosiddetto “Piano Juncker” – che più che un segnale di inversione nelle strategie economiche europee, più che un cambio di “verso” sembra piuttosto definire una cornice di mere garanzie finanziarie a tutela di veri o presunti investitori. Una finanza di rischio per eliminare il rischio
Pochi i progetti italiani, ancor meno quelli passati al vaglio di un sistema di governance che non ha esplicitato criteri ed indirizzi delle scelte che saranno operate dalla Commissione europea insieme alla Banca centrale degli investimenti.
Intanto il 17 luglio prossimo, la Regione Emilia-Romagna, nella veste della Vice-Presidente Gualmini terrà a Bruxelles un incontro dal titolo altisonante “VERSO L’ATTUAZIONE DEL PIANO JUNCKER – NUOVE OPPORTUNITA’ PER LE REGIONI”.comparteciperanno all’iniziativa le regioni della Wielkopolska, dell’Assia, dell’Aquitaine che, insieme ad altre formano un partenariato istituzionale stabile con la nostra regione.
L’enfasi proposta dal titolo dell’incontro andrebbe mitigata se è vero, come è vero, che il “Piano Juncker” è sotto analisi critica da parte di coloro che ne hanno studiato l’impianto, le finalità, gli scopi.
In Emilia-Romagna è in corso la trattativa per la definizione di un Patto per il lavoro tra le forze sociali e le istituzioni, questione non certamente facile di questi tempi, e nell’ipotesi di sigla del Patto per il lavoro un nodo molto importante è quello che riguarda il finanziamento delle politiche regionali di sviluppo.
Si cerca di mettere a sistema le risorse locali e quelle provenienti dai Fondi europei, di ottimizzare e di razionalizzare spesa e investimenti. Cosa c’entra quindi il Piano Juncker? C’entra. Perché il “Piano Juncker” individua le risorse per gli investimenti o più propriamente individua le garanzie per il credito verso gli investimenti.
C’entra perché più che un vero e proprio Piano di investimenti ( e le parole devono tornare alla loro funzione primaria di avere un senso, perdìo!) il “Piano Juncker” serve a realizzare un sistema di leve per attivare il credito e favorire investimenti a prevalenza privati che prevedano rendimenti tariffari significativi e possano essere considerati fuori dal limite del 3% previsto per il deficit di bilancio.
Non è solo una costruzione complicata che – tuttavia – miri a permettere la realizzazione di politiche anticicliche che, pensate e progettate secondo le esigenze territoriali e le linee “politiche” individuate dalle istituzioni pubbliche intendano provare ad invertire significativamente la tendenza alla recessione.
E’, invece, una ennesima misura rivolta ad investitori pubblici – molto poco – e a investitori privati – questi si – per garantirli dai rischi di investimento.
Una misura, quindi, che non cambia il “senso” delle cose né delle politiche europee, ma che il Commissario Katainen (il falco finlandese, molto sponsorizzato dalla Germania nella sua nomina a Commissario) ben pubblicizza dal web e che mira a creare un ambiente più “sicuro” al rischio di impresa che tale non intende essere.
Non una politica energetica comune, né infrastrutturale, non una strategia per l’incremento della capacità scientifica e di economia reale, non una strategia che interpreti e risponda alle diseconomie e alle diseguaglianze presenti nel continente, non una strategia degli investimenti vincolata alla produzione di nuova e buona occupazione..
La crisi dell’Europa è tutt’ora in corso come non mai. Non gioverà la visione “etica” dell’economia propria della Germania, né le banalizzazioni populiste che cavalcano oggi la tragedia greca. Solo riscoprendo – anche noi italiani – una capacità di incontro e di mediazione tra culture europee – e non solo europee – potremmo ambire ad invertire con successo la rotta e ritornare al senso stesso dell’Europa dei primordi.
Non si cambia facilmente, spesso lo si fa solo se costretti. Questo mi pare essere il nostro caso oggi. Cambiare e cambiare in fretta si deve ed anche in cose rilevanti come l’equilibrio esistente tra Parlamento, Consiglio e Commissione europei spostando il baricentro verso le istituzioni europee – il Parlamento, in particolare – in quanto espressione di una elezione diretta e più direttamente rappresentantiva.
Dalla Grecia oggi arriva solo un incipit che, benché tragico, può soltanto agire come innesco alla definizione di una nuova Europa o – come oggi si rischia – alla sua stessa fine.
Anna Salfi
Segreteria regionale della CGIL Emilia-Romagna
Responsabile delle politiche europee, internazionali e della cooperazione internazionale
Bologna, 14 luglio 2015
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