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di Amina Crisma
E’ morto il 29 giugno a Roma, all’età di novant’anni, Lionello Lanciotti, decano dei sinologi italiani, professore emerito e riconosciuto maestro di un’intera generazione di studiosi. Era nato a Roma nel 1925; allievo di Giuseppe Tucci, aveva coltivato rapporti con prestigiose figure della sinologia europea quali Bernhard Karlgren e J.J.L. Duyvendak; fondatore dell’Associazione Italiana Studi Cinesi, aveva insegnato Lingua, letteratura e filologia cinese alle Università di Roma La Sapienza, di Napoli L’Orientale, di Venezia Ca’ Foscari, dove aveva avviato dagli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta un’importante scuola sinologica che ha conosciuto vasti sviluppi. Era stato vicepresidente dell’ISMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), consigliere della European Association for Chinese Studies, direttore della Sezione Venezia e l’Oriente della Fondazione Cini, direttore della rivista Cina, membro del comitato editoriale di East and West. Fra le sue opere, ricordiamo ad esempio Letteratura cinese (1969), Confucio, la vita e l’insegnamento, (1968), Wang Chong l’iconoclasta (1997), l’edizione del Laozi Il Te-tao-ching secondo il manoscritto di Ma-wang-tui (1981).
Ma gli elenchi delle sue molteplici attività e dei suoi prestigiosi incarichi, come la sua bibliografia, non riescono a dare un’adeguata idea di quanto abbia inciso il suo magistero sugli studi sinologici nel nostro Paese. Ne offre in qualche misura una rappresentazione il volume collettaneo in suo onore Caro Maestro.. (a cura di M. Scarpari e T. Lippiello, Cafoscarina 2005) apparso dieci anni fa, in occasione del suo ottantesimo compleanno.
E per avere un suo non convenzionale ritratto, conviene ricorrere al “Ricordo personale di Lionello Lanciotti” pubblicato su www.inchiestaonline.it da Maurizio Scarpari, che è stato suo allievo negli anni Settanta – quando a coltivare lo studio dei classici confuciani erano davvero in pochi – poi suo collega e suo successore dagli anni Novanta sulla cattedra di Lingua cinese classica a Ca’ Foscari.
Ne emerge la vivida immagine di un rapporto didattico d’altri tempi, di cui credo occorre serbare la memoria e l’esempio, anche se appare così dissonante rispetto al mondo in cui oggi viviamo: ha per protagonista un docente che metteva in gioco vasta cultura e umanità generosa nella quotidiana e costante conversazione con i suoi studenti, allora soltanto una decina. Dimensioni d’altri tempi, certo; ma non è detto che ci si debba arrendere all’opaco e totale prevalere del “regno della quantità” che dispoticamente ci detta le sue leggi.
Amina Crisma