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L’enciclica di papa Francesco

copertina

L’enciclica di papa Francesco pone innanzitutto – come per ogni esercizio dell’attività umana, del resto –   la questione del suo motivo principale: perché è stata scritta, qual è l’obiettivo che con essa si vuole perseguire.

Potrebbe essere vista come la necessità di posizionare la Chiesa all’interno del dibattito ecologico: ritenendosi strumento della presenza di Dio nel mondo, la Chiesa cattolica si sente in dovere di dire una parola su tutto.

Non è così, o meglio: è stato così fino a ieri. Ed infatti “Laudato sì” si dilunga nelle citazioni dei predecessori di Francesco e delle varie Conferenze Episcopali, che sull’argomento si sono più e più volte espressi, anche con toni forti e suggestivi, senza però mai superare i confini assegnati dall’occidente ad ogni intervento religioso che parta dal suo interno.  Semplicemente, quasi nessuno se n’è mai accorto. E questo – maliziosamente – si potrebbe dire che fosse anche se non la segreta intenzione almeno la rassegnata considerazione degli estensori di quei documenti.  Pure oggi è in campo un’operazione simile, con le dovute proporzioni trattandosi di un’enciclica: grandi titoli sulla stampa per un po’ di giorni, poi si passa ad altro.

Ma non è detto che l’operazione annacquamento riesca, perché “Laudato sì” vuole essere altro: vuole essere strumento di dialogo, collante e detonatore, per un movimento che cambi il governo del pianeta, dove l’ecologia è solo una parte del programma politico, collegando strettamente l’uso delle risorse alle condizioni di vita degli esseri viventi e all’ingiustizia che governa entrambi per la cupidigia di pochi. E’ un invito alla rivolta e si pone come guida, con l’ambizione di fare da riferimento,  portare ad unità quei movimenti che in ogni parte del mondo, partendo dal basso e quindi disorganizzati, con pochi mezzi e divisi, denunciano l’ingiustizia che governa il pianeta.

Pur con la consapevolezza che ogni enciclica è un seme gettato che richiede tempi lunghi (pensiamo alla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII) questa rivolta è ritenuta necessaria ed urgente perché le condizioni del pianeta sono sulla soglia del non ritorno. Francesco lo ha ribadito in modo inequivocabile in Bolivia: “Se è così, insisto, diciamolo senza timore: noi vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi… E non lo sopporta più la terra, la Sorella Madre terra, come diceva san Francesco. Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo. Mettere l’economia al servizio dei popoli… Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che appartiene a loro.”

Quel “diciamolo senza timore” percorre tutta l’enciclica: è l’ora di unirsi e partire per la giusta battaglia. Così come è forte nell’enciclica la critica ad un ecologismo di maniera, che pervade la stessa società dei consumi e “aiuta a cauterizzare le coscienze”. Non si può parlare di ecologia senza affrontare l’ingiustizia.

Come risponde la politica a chi pone “l’urgenza di una vera rivoluzione culturale”? Se la può cavare con le solite frasi di circostanza, confidando nelle sabbie mobili dell’affollamento mediatico? Oppure – mentre si chiede se quest’enciclica ha o meno accelerato un movimento che non si fermerà – si porrà delle domande sulla sua missione, sul suo dover essere parte e anima di questo movimento? E’ ancora in grado, la politica, di mettersi al servizio di un ideale tanto grande – e quindi indeterminato – quanto leggibile in ogni progetto e programma, perfino nella quotidianità spicciola?

Credo che nessuna persona che fa politica, che crede nella politica, possa restare insensibile, possa non sentirsi profondamente turbata, perché è in gioco l’essenza stessa delle sue scelte di vita. Torna alla mente la reazione degli abitanti di Gerusalemme nel giorno di Pentecoste: “All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”.

Questa enciclica apre alcune altre questioni. Una è stata sollevata da Massimo Cacciari su L’Espresso: come mai il “paradigma tecnocratico” è nato e ha preso piede all’interno dell’occidente cristiano? Apparentemente Francesco non dà risposta.

Può essere utile ricordare come tutto è cominciato. Riandare per esempio a Dietrich Bonhoeffer, che nel 1934 coglieva il tema della manipolazione della persona, senza la quale un “paradigma tecnocratico” non potrebbe avere successo: “Il mondo cerca in tutti i modi di mettersi in rapporto immediato all’uomo”. Il nazismo compì un passo decisivo rispetto al mondo com’era prima della rivoluzione francese, e anche rispetto alle rivoluzioni proletarie dettate da condizioni di estrema indigenza: è la conquista delle menti che consente di usare le masse per raggiungere il potere. Ma come la si ottiene? Offrendo all’uomo un accesso immediato a se stesso. Fornendo una risposta alle domande che l’uomo si pone di continuo: chi sono? L’uomo e la donna sono un mistero a loro stessi: siamo buoni, siamo cattivi? Amiamo? Come si ama? L’ideologia nazista offrì ai tedeschi la Volksgemeinschaft, comunità di popolo, elemento fortemente identitario che consentì a Hitler di affermare: «Quando un avversario dice: “Non passerò dalla vostra parte”, io rispondo calmo: “I tuoi figli sono già dei nostri.”» Oggi il liberismo offre continuamente risposte immediate, a portata di mano, che soddisfano le nostre domande fino al punto di inventarne di nuove, così che un industriale può dire: “Io non vendo prodotti, io compro clienti”.

Questo snatura completamente il rapporto con le cose e la natura. Papa Francesco dice che in questo modo “è come se il soggetto si trovasse di fronte alla realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione”.

L’ideologia liberista viene additata come la prima responsabile, ma era la religione che, almeno fino al primo novecento, deteneva il monopolio del rapporto con l’uomo. Non a caso l’ideologia liberista si innesta sul dominio delle coscienze operato dal cristianesimo. Il giudizio di Bonhoeffer è durissimo non tanto nei confronti delle chiese quanto della religione stessa, sovrastruttura incapace di rispondere alla modernità, che infatti non resse all’avvento dei fascismi e ne diventò subalterna.

La risposta di papa Francesco è indiretta, contenuta in particolare nel capitolo sesto. Ma è soprattutto nella esortazione “Evangelii gaudium” (che va letta!) e nello stile del suo pontificato. Bonhoeffer rispetto al nazismo sosteneva il passaggio dalla religione alla fede: “Questa opposizione è solo un momento transitorio verso un’opposizione completamente diversa… la vera lotta dovrà essere semplicemente un sostenere la passione nella fede…. Ecco, io credo che tutto si deciderà sulla base del Discorso della montagna”. Il pontificato di Francesco lascia in secondo piano la religione per spingere alla fedeltà al Vangelo tanto da poter dire che, come “Laudato sì” apre il conflitto con l’ideologia liberista, così l’”Evangelii gaudium” e lo stile di Bergoglio prendono le distanze da una religione fine a se stessa.

L’altra questione che può mettere in imbarazzo il lettore è che si parla di Dio e di fede, in un mondo completamente secolarizzato. Siamo tentati di rispondere a Bergoglio come gli Ateniesi risposero a Paolo all’Aeropago: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta!”

Francesco ne parla con franchezza: “Nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante… una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata”. Ma dà una risposta fulminante: “La Chiesa cattolica è in dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione”.

E’ vero che il mondo occidentale si trova bene anche senza la fede: ma che ne è stato della filosofia? Perchè nessuno insegna più la ragione? Quale politica nuova potrà mai fondarsi su una tecnologia e una scienza separati dal pensiero filosofico? Perché non c’è una scuola che insegni la filosofia come stile di vita, a vivere filosoficamente? Solo il distacco dal pensiero filosofico può considerare la fede una irrilevante sottocultura. Francesco dà in sostanza una risposta molto laica: la natura in pericolo ci chiede di dialogare, e se non volete tenere sul comodino il Vangelo, tenetevi almeno i Pensieri di Marc’Aurelio.

Mauro Lambertini

Bologna 14 luglio 2015

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