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di Maria C. Fogliaro
Eleftheria i thanatos, ovvero «Libertà o morte», è il motto che guidò i rivoluzionari greci nella guerra d’indipendenza dal dominio ottomano negli anni Venti dell’Ottocento. Ed è il grido che ancora oggi – pur nella complessità di una situazione storica radicalmente differente – sembra sostenere lo spirito e ispirare l’azione del governo di Alexis Tsipras nell’estenuante negoziato con le istituzioni internazionali – la Commissione europea, la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) –. Se volgiamo lo sguardo al ritmo concitato delle trattative nelle ultime settimane, fino all’improvvisa accelerazione provocata dalla decisione del governo greco di indire un referendum – previsto per il 5 luglio prossimo – per superare l’impasse creatasi a causa del piano di ristrutturazione praticamente imposto dal FMI, il negoziato fra la Grecia e i suoi creditori si profila sempre più nitidamente come uno scontro fra un governo democraticamente eletto e l’establishment politico-economico-finanziario che regge l’Unione Europea, che non gode di alcuna legittimazione democratica.
Va cercato qui, nel punto in cui necessità e libertà si scontrano, il vero fattore politico e il significato ultimo del referendum promosso dal governo greco. Non è in gioco la decisione sull’euro. La maggioranza dei greci non vuole rinunciare alla moneta unica, ma – dopo aver realizzato, nei cinque anni precedenti, molte delle riforme richieste dalle istituzioni internazionali – oggi è in enorme difficoltà e rifiuta l’adozione di ulteriori riforme in senso neoliberista. Di questo sono ben consapevoli i massimi rappresentanti dell’Unione, uniti nell’appello, rivolto al popolo greco, a favore del «Sì» al quesito referendario. Se il vento del referendum produce una sensazione di insicurezza fra le élite dominanti – spingendole a schierarsi apertamente in una consultazione che viene presentata all’opinione pubblica come una minaccia per la tenuta dell’Unione –, è evidente che la sfida lanciata dal Primo ministro greco ha toccato un nodo politico cruciale. Tecnicamente quello greco è un referendum antiausterità; politicamente chiama in causa la questione fondamentale della sovranità democratica nei Paesi dell’UE.
L’integrazione europea – è bene ricordarlo – è stata realizzata seguendo una logica intergovernativa, che ha di fatto rafforzato il peso politico-decisionale degli Stati più influenti (il gruppo nordico con a capo la Germania) a danno di quelli più deboli (i Paesi del Sud Europa), mentre – ed è questo il nodo – la politica economica veniva sottratta alla sovranità degli Stati e trasferita alle tecnostrutture europee. È, pertanto, evidente che il governo greco, pretendendo di decidere le misure economiche da adottare e, poi, addirittura chiamando il popolo a esercitare la sua sovranità, sta riaffermando il potere sovrano dello Stato sulla propria politica economica. La questione vera allora è: è ancora possibile in quel luogo della terra chiamato «Eurozona» adottare una politica economica diversa, che non risponda ai dettami del neoliberismo e dell’ordoliberalismo? È, insomma, ancora possibile in Europa la democrazia dei Moderni? I greci vorrebbero poter rispondere di sì.
«Noi ad Atene andremo a votare. Siamo un popolo sovrano e non possiamo essere sottomessi a nessuno. Non siamo contro l’Europa, siamo per ricostruire l’Europa». A dirlo è Argiris Panagopoulos (portavoce di Syriza in Italia), in occasione di un dibattito, moderato dal giornalista Massimo Giannini, svoltosi a Bologna il 27 giugno scorso – nell’ambito di «Unions!», la festa nazionale della Fiom-Cgil –, che ha visto impegnati, insieme a Panagopoulos, Jesus Maria Montero (Segretario generale di Podemos Madrid) e Maurizio Landini (Segretario generale della Fiom-Cgil). «Abbiamo avuto il coraggio di andare avanti da soli, contro tutti. E le nostre proposte sono state rifiutate non perché fossero rivoluzionarie o radicali – ha proseguito Panagopoulos –, ma perché andavano contro la politica che ci hanno imposto negli ultimi cinque anni. Per quale ragione insistono nel farci applicare politiche economiche che hanno causato una crisi umanitaria senza precedenti?».
Per Montero di Podemos, «la Grecia sta dando una lezione di democrazia a tutti». «Questa crisi non è caduta dal cielo – ha affermato il politico spagnolo – e quello che vediamo all’opera in Grecia è la rivendicazione del diritto al futuro per tutti i cittadini europei. (…) Anche noi spagnoli, a ottobre, dobbiamo provarci». «In Grecia – ha affermato Maurizio Landini –, di fronte a quello che è un vero e proprio ricatto da parte delle istituzioni internazionali, il governo democraticamente eletto ha chiesto al popolo di decidere; in Italia i nostri governi, invece di mettere in discussione i vincoli europei, seguono i dettami contenuti nella lettera della BCE (la lettera strettamente riservata inviata dalla BCE al governo italiano datata 5 agosto 2011, ndr)».
Qualunque sarà l’esito delle decisioni che si stanno preparando, la mossa del governo greco ha dissipato le nebbie dell’illusione, mostrando chiaramente che è la natura stessa dell’Europa a essere in gioco oggi. L’alleanza fra la grande finanza europea e un’idea errata della virtù in economia (tipica della cultura dei Paesi del Nord Europa) ha prodotto l’austerity; il differente peso politico fra Paesi del Nord e Paesi del Sud e un euro costruito sul calco perfetto del marco stanno mettendo a rischio l’Unione. Rispetto al passato, una differenza balza agli occhi: un governo, per la prima volta nella storia dell’UE, ha alzato la testa e non ha ceduto a imposizioni e ricatti, e l’èlite che governa «l’Eurozona» si è mossa (e continuerà a muoversi), con la potenza di tutti i mezzi a propria disposizione, per piegare l’unico governo chiaramente di sinistra in Europa, che da solo ha osato sfidare – da sinistra – gli interessi e l’impostazione dogmatica che hanno distrutto lo Stato sociale in Europa, e che, come una fede, hanno la pretesa di plasmare l’essenza dell’uomo e di determinare la forma della società: la razionalità neoliberale e i suoi profeti.
In un’epoca che sembra incatenata in una direzione obbligata, la piccola Grecia – ancora una volta – indica al mondo gli strumenti per la liberazione e apre le porte alla speranza. È necessario abbandonare l’idea che nel futuro dell’Unione non ci possano che essere soltanto manovre economiche devastanti per la maggioranza della popolazione, oppure sarà il diluvio. Continuare a seguire questa soluzione significa impoverire ulteriormente i Paesi del Sud Europa e consegnare il destino dell’Unione alla maggioranza del Bundestag e del suo governo. Probabilmente, alla fine, sarà merito di questo voto e soprattutto dei greci che l’avranno espresso, se un’altra Europa, autenticamente democratica, sarà possibile.