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di Maria C. Fogliaro
«Cerco di vivere, e creare in modo tale da imprimere sia alla mia vita sia alle mie opere il marchio dei tempi moderni» affermò, in un’intervista del 1932, Tamara de Lempicka. E ‘moderna’ Tamara lo fu davvero, per scelta e per destino. Poliglotta e cosmopolita, affascinante e misteriosa, trasgressiva e sofisticata, Tamara Rosalia Gurwik-Gorska – che nel 1916 sposò Tadeusz Lempicki, avvocato polacco di nobili origini – ha attraversato da protagonista uno dei periodi culturalmente più effervescenti e, al contempo, più drammatici nella storia d’Europa. Lasciata San Pietroburgo in seguito alla rivoluzione d’Ottobre, Lempicka visse intensamente la Parigi delle années folles, rifugio, in quel frizzante dopoguerra, di aristocratici russi, di emigrati polacchi e del fior fiore degli ingegni di un’epoca. Viaggiatrice instancabile, soggiornò frequentemente a Berlino, Londra, in Italia, e nel 1929 approdò a New York, dove – amava dire, fantasticando – era arrivata in concomitanza con il crollo di Wall Street. Dopo il divorzio da Tadeusz Lempicki, sposò in seconde nozze il barone Raoul Kuffner, ebreo nato nell’impero austro-ungarico, con il quale nel 1939 – a causa della marcia inesorabile delle dittature nazi-fasciste – lasciò l’Europa e approdò in America. Artista affermata, poi caduta in disgrazia e infine riscoperta, vagò fra Europa e Stati Uniti per tutta la seconda metà del Novecento, fino a quando, nel 1976, raggiunse la sua ultima meta: Cuernavaca, in Messico, dove si spense nel 1980. Le sue ceneri furono sparse dalla figlia Kizette e da Victor Manuel Contreras, ultimo amore di una vita intensa e complicata, sul vulcano Popocatepetl.
Fino al 30 agosto Torino celebra la regina dell’Art Déco, con un’esposizione, curata da Gioia Mori, a Palazzo Chiablese. La mostra – che accoglie i visitatori con la Ragazza in verde (1930-1931), prestito eccezionale del Centre Pompidou – raduna, secondo un percorso tematico diviso in sezioni, circa cinquanta dipinti dall’inizio degli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta; gli acquarelli del periodo russo; una vasta selezione di opere su carta; foto, filmati e oggetti personali.
L’anima fondamentalmente (nel senso di originariamente) moderna di Lempicka emerge già all’inizio del percorso espositivo, attraverso l’esplorazione delle case abitate dall’artista, soprattutto della casa-atelier di rue Méchain 7 a Parigi, nel palazzo progettato da Robert Mallet-Stevens, dove Tamara andò a vivere nel 1930. Una casa «fatta di cristallo e acciaio», completamente dipinta di grigio (come le pareti della mostra in allestimento) per far risaltare al meglio i dipinti dell’artista, fotografata come esempio di opera modernista sulle maggiori riviste specializzate dell’epoca.
È, comunque sia, dagli anni Trenta, dopo la sua breve visita a New York, che la modernità entra prepotentemente nelle opere di Lempicka, nelle quali i simboli della nuova èra fanno da sfondo a figure umane altere e sensuali, come nel caso dei grattacieli scintillanti d’acciaio nel Nudo con edifici (1930) o come nel Nudo con vele (1931), dipinto in cui la sensualità felina della modella è esaltata dal mare d’acciaio brillante sullo sfondo e dalle vele riflettenti che sembrano fogli di metallo attorcigliati.
La selezione esposta permette, poi, di individuare un altro fondamentale aspetto della produzione artistica di Lempicka, sul quale già la critica negli anni Venti e Trenta aveva posto l’attenzione: il rapporto costante con l’arte del passato, lo studio accurato del manierismo italiano e di Pontormo, in particolare. La conoscenza della rappresentazione volumetrica del corpo nei dipinti italiani del Cinquecento alla quale Lempicka affianca l’approfondimento – attraverso la fotografia – dell’uso della luce consentono all’artista di realizzare quella fusione perfetta fra antico e moderno che, insieme alla potenza espressiva, alla forza spettacolare e alla composizione architettonica dei quadri, costituiscono la cifra essenziale della sua opera.
Grazie a uno sguardo che si è posato a lungo sui capolavori del passato, Lempicka dà prova di un virtuosismo tecnico e cromatico quasi inarrivabile, dimostrando un’inedita padronanza nell’uso di pochi colori, come testimoniano due fra i suoi quadri più noti presenti in mostra: La Comunicanda (1928), che è un gioco di bianchi, declinati in tutte le possibili tonalità, e Kizette al balcone (1927), dove a dominare è il grigio in tutte le sue sfumature.
Personalità complessa, interprete efficace del proprio tempo, Lempicka seppe cavalcare tutte le forme espressive a lei contemporanee: la moda – con la quale ebbe un rapporto diretto e spesso anticipatore –; il cinema; la cartellonistica e la grafica pubblicitaria; e, soprattutto, la fotografia, cui l’esposizione di Torino rende omaggio mettendo in mostra quei lavori, realizzati da alcuni fra i maggiori fotografi dell’epoca, che con i dipinti di Tamara trovano una consonanza visibilissima, come quelli di Brassaï e di André Kertész.
Protagonista del bel mondo, Tamara de Lempicka fu un’artista totale, nella vita privata e nel lavoro. Ricercatrice dell’eleganza in ogni sua forma, amò l’eccesso, fuggendo sempre la “normalità”, anche a costo di attraversare la notte della depressione. Come disse lei stessa: «Vivo una vita ai margini della società e le regole della società non si applicano a coloro che vivono ai margini». Margini dorati, certo; ma lo spirito di Tamara ha viaggiato sempre oltre i confini già segnati.