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di Maria C. Fogliaro
Riflettere oggi, in Italia, sulla forma-partito, sulla sua metamorfosi, la sua crisi e il suo destino, significa misurarsi con una molteplicità di questioni che, prese insieme, investono direttamente le logiche della legittimità e dell’unità politica stessa della «seconda repubblica». Davanti alle multiformi sfide disorientanti del tempo presente, la politica – quasi del tutto ridotta a mera gestione delle emergenze, cui l’ha condannata la sua subalternità al blocco economico-finanziario-mediatico oggi egemonico – cerca di recuperare una qualche forma di legittimazione affidandosi al mito della governabilità e al potere personale del leader – del Capo politico che, grazie alla propria capacità di entrare in rapporto diretto con il popolo, saltando ogni mediazione, è in grado di stabilire alleanze e di agire efficacemente nei confronti dei problemi che, di volta in volta, si impongono –. Eppure, la gravità e la complessità delle sfide correnti richiederebbero la presenza di soggettività politiche organizzate e certe di sé, in grado di comprendere le ragioni strutturali dei fenomeni, di produrre analisi, e di articolare e indirizzare le domande composite provenienti da una società in continua evoluzione, attraversata da antiche e nuove linee di frattura.
Di questa necessità e, soprattutto, dell’allontanamento rovinoso fra politica e cultura si è parlato il 5 settembre scorso a Milano, alla Festa nazionale dell’Unità 2015, nell’incontro seminariale dal titolo Storie e culture politiche costituenti, che ha visto protagonisti Stefano Bonaccini (presidente della Regione Emilia-Romagna), Carlo Galli (filosofo politico e deputato), Barbara Pollastrini (deputato). L’incontro era parte delle due giornate di studio e dibattito, dal titolo Il PD riparte dal PD (5-6 settembre), organizzate da Andrea De Maria (deputato e responsabile nazionale della formazione politica del Partito Democratico) e alle quali hanno partecipato studiosi, politici, numerosi funzionari e militanti di partito.
Nell’aprire i lavori Barbara Pollastrini, protagonista di primo piano del PD fin dalla sua fondazione, ha sottolineato che la forza originaria del Partito Democratico risiede nella sua pluralità interna e nella sua capacità di rapportarsi all’esterno con movimenti e forze sociali. Una pluralità che – osserva Pollastrini – richiede lo sforzo continuo della mediazione, altrimenti rischia di rovesciarsi in debolezza, e a cui, tuttavia, non si deve rinunciare in nome di un passivo unanimismo. Vincere e governare, per Pollastrini, non è sufficiente. Per cambiare davvero il Paese, da sinistra e nel segno di una ritrovata «moderata utopia», è necessaria una rigenerazione del partito, che deve rispondere, innanzitutto, al bisogno di ‘senso’, ovvero di direzione e di orientamento che proviene dalla società, che dovrebbe essere la finalità principale di qualsiasi partito politico. La minoranza interna, quindi, va considerata una forza e non un problema.
Attraverso una ricostruzione storico-concettuale che risale alle origini della Repubblica italiana, Carlo Galli ha evidenziato l’analogia fra la collaborazione tra le forze politiche che ha dato vita alla Costituzione e quella che ha generato, passando per le esperienze dell’Ulivo e dell’Unione, il Pd, il cui codice etico è, nella sua parte iniziale, un aperto rinvio alla Costituzione repubblicana. Richiamandosi allo spirito della Costituente del 1946-47, Galli ha osservato che l’unione tra i riformismi italiani – che costituisce l’essenza del Pd – per funzionare ha bisogno non solo del pragmatismo necessario per individuare in modo preciso i problemi del presente, ma anche di un’elaborazione politico-culturale in grado di ricostruire il quadro dei problemi del Paese in modo organico, a partire da un punto d’origine preciso e nominato. Per Galli la politica in generale ha bisogno di ricreare un nuovo rapporto con la cultura, che le consenta di dare una lettura strutturale dei fenomeni e di avere un’idea complessiva dei problemi, che la mettano realmente in grado di agire efficacemente. Per avere più forza politica ed evitare di ridursi a «macchina di potere che affonda nella contingenza» e che agisce «sotto l’onda dell’emergenza e dell’emozione», il Pd, per Galli, non deve solo ingrandirsi e mirare all’allargamento della propria base elettorale, ma anche irrobustirsi qualitativamente con una cultura vivente, che oggi – come agli altri partiti, del resto – gli manca.
Stefano Bonaccini, chiudendo i lavori, ha messo in rilievo che fare politica nazionale non è solo amministrare un territorio, e ha quindi riconosciuto che il rapporto fra cultura e politica è un vero problema da affrontare e da risolvere, recuperando quel legame, spesso organico, che le forze politiche dell’«arco costituzionale» avevano consolidato con il mondo intellettuale.
Tenere insieme prospettive anche confliggenti come decisione e radicamento, velocità e disegno strategico, leadership e partito, contrasto ai populismi: sono queste, secondo Bonaccini, alcune delle sfide che attendono nell’immediato il PD e che lo chiamano, in quanto forza maggioritaria e di governo, a realizzare «velocemente le riforme che il Paese attende da troppi anni». Un segnale positivo, per Bonaccini, è già arrivato dal risultato del 2 per mille delle tasse dato dai cittadini al PD, un atto compiuto in completa libertà, che, per il presidente della Regione Emilia-Romagna, testimonia il radicamento popolare di un partito che – pur all’interno di un progetto nazionale e europeo – sa dare risposte alle domande che arrivano dalla base e dalle diverse realtà locali.
La speranza che nasce da questo seminario è che, superando il reciproco sospetto, politica e cultura possano tornare almeno a collaborare per lo sviluppo concreto di una visione che superi i limiti di un disegno fondato esclusivamente sulla contingenza (spesso subita come coazione) e che dia conto della direzione verso la quale il PD vuole andare. Se vuole essere il punto di riferimento per quella «parte» che crede ancora nella possibilità di una società regolata e progressiva, orientata all’inclusione e alla riduzione delle disuguaglianze, o se invece è diretto altrove. E ci si augura che, alla fine, la decisione e la velocità non siano pagate con lo stravolgimento della vita democratica interna del partito.