(da Amate l’architettura, 21 novembre 2015)
L’inizio della ricerca del lavoro è sempre uno scontro con la dura realtà ma, per un Architetto, può davvero riservare sorprese al limite dell’immaginabile, per la mia esperienza, indicative della attuale e, purtroppo, penosa situazione in cui versa la nostra amata professione a tutti i livelli.
Appena laureata, armata di belle speranze ma anche di volontà, ho iniziato “la ricerca” del mio primo lavoro attraverso internet che, sappiamo, è uno strumento libero ed alla portata di tutti ed è, o sembra, il “luogo” dove possono incontrarsi domanda ed offerta in modo limpido e meritocratico.
Così come molti ho fatto la normale trafila: si manda il proprio curriculum a studi, più o meno noti, ed affascinati dai rendering accattivanti che mostrano i siti, si spera ardentemente di entrare a far parte del team. Se il neolaureato è fortunato gli viene proposto uno stage non retribuito della durata di svariati mesi, da 3 a 9 in genere, e questo è il caso “standard”.
Ma si sa che la fantasia non manca nel nostro campo ed ognuno di noi “architetti con la crisi” ne ha viste delle belle!
Il caso più singolare che mi è capitato da neolaureata è stato sicuramente quello di uno studio di Roma. Il lavoro da svolgere era questo: ognuno dei (tanti) collaboratori doveva cercare, sempre su internet ed al suo pc, due concorsi e parteciparvi a nome dello studio. Il collaboratore che vinceva un concorso veniva pagato a un prezzo fisso molto basso (ben diverso dal premio!) perché il restante serviva per “finanziare altri concorsi”, mentre chi non vinceva nessun concorso non veniva semplicemente pagato lavorando, in pratica, solo per arricchire con i suoi render il portfolio dello studio. Quando ho ricevuto la mail che conteneva questa proposta sono rimasta a bocca aperta e non ho neanche risposto.
Un’altra illuminante esperienza l’ho avuta durante un colloquio presso uno studio di giovani architetti che mi hanno chiesto: “ma tu hai un pc portatile da portare qui in studio? Ma da quanto tempo ce l’hai? No perché se non è veloce non va bene, ci serve un collaboratore con pc portatile nuovo!!”, il tutto per la miserrima “paga” di 150 euro al mese full time anche di sabato! Purtroppo o per fortuna, col senno di poi, non avevo e non ho un pc portatile performante e quindi mi hanno scartata senza neanche avvertirmi, naturalmente.
Il divertimento maggiore tra neolaureati era raccontarsi le esperienze di colloqui e le risposte che ricevevamo alle mail che mandavamo, con tanto di curricula e portfolii pieni di rendering e speranze universitarie. Ricordo che ad una mia amica e collega hanno avuto il coraggio di proporre come rimborso spese “150 euro + panini” per un tirocinio full time, un’altra lavora a tutt’oggi (5 anni dopo) per un architetto che le dà un fisso di 800 euro al mese e fa lei tutto il lavoro: progettazione, direzione dei lavori, pratica amministrativa e firma. Uno dei più bravi tra i miei colleghi lavora all’Ikea, ed è felice.
Ma io ero determinata a fare esperienza e farmi pagare.
Finalmente, dopo 6 mesi, trovai uno studio che mi prese a 400 euro al mese full time per 9 ore di lavoro al giorno: ero felicissima.
Rientravo in uno dei migliori casi in cui può incorrere un neolaureato e mi diedi molto da fare, peccato che, se prima eravamo due collaboratrici di studio, dopo tre mesi ero rimasta l’unica superstite con il doppio del carico alla stessa paga ed ovviamente, non riuscendo mai a finire entro le 19.30, con conseguente orario di lavoro tragicamente dilatato a mie spese.
Continuavano però ad entrare nuovi lavori e così, con un po’ di coraggio, feci la ingenua richiesta di un aumento e la risposta non fu un “no”, che avrei comunque apprezzato visto che la chiarezza vince sempre, ma un “vediamo, dai, dal mese prossimo”; bene, manco a dirlo, la frase è stata ripetuta per i successivi tre mesi.
Fortunatamente era estate e la mia voglia di andare al mare mi ha fatto avere il buon senso di abbandonare la baracca.
Dopo quasi un anno e un bel po’ di esperienza in più, cercando di nuovo lavoro, mi sono imbattuta in un gruppo di architetti e grafici che mi hanno chiamata per un colloquio che vale la pena raccontare: alle 3 di pomeriggio, con un caldo da morire, l’architetto “capo”, un signore molto robusto e “paffutello” di età 75 anni circa, mi fa la fatidica domanda “architetto, ma lei è fidanzata?” io davvero quasi non potevo trattenermi dal ridere ma devo dire che a volte l’apparenza inganna e quindi non si pensi che questo distinto signore volesse provarci!! No! Era molto serio invece, infatti, da precedenti domande che mi aveva posto come “ma lei quindi non è di Roma? Va spesso a trovare la sua famiglia? I suoi amici si trovano a Roma?” ho capito, solo dopo, che non era l’istinto sessuale a spingerlo su un terreno imbarazzante, più per lui che per me, ma le stesse ragioni del lupo cattivo della favola Cappuccetto rosso: “… è per sfruttarti meglio!!”
Ma non finisce qui! La più allucinante però è capitata ad un mio amico che ha fatto un colloquio presso l’abitazione di un architetto molto facoltoso ed amante dell’arte nella sua casa di Prati. Il povero mal capitato s’è trovato sottobraccio a questo anziano signore con “atteggiamenti ambigui” e di fronte ad un garbato ma fermo rifiuto delle profferte del potenziale datore di lavoro “il lavoro” è diventato in un batter di ciglia un tirocinio non retribuito con una sola via e prospettiva dichiarata: “poi se ci sono i finanziamenti…”; ogni cosa ha il suo prezzo, evidentemente.
Nel frattempo e, fortunatamente, ho incontrato anche persone corrette a riprova che non bisogna mai perdere le speranze e, grazie a ciò che ho imparato proprio da queste ultime, sto cercando dei lavoretti per conto mio per farmi in qualche modo conoscere.
Come 5 anni fa, non avendo parenti o amici che necessitino di lavori a casa, mi sono rivolta di nuovo al famigerato amico internet.
Ed ecco che si è riaperto il vortice! Tra architetti che svendono certificazioni energetiche su Groupon a 35 euro (vorrei chiedere a questi colleghi se hanno trovato un avanzatissimo rilevatore satellitare a ultrasuoni nell’uovo di Pasqua… come fanno il rilievo obbligatorio?) e quelli che per 300 euro offrono un progetto di ristrutturazione completo ovunque in Italia e nel mondo (genius loci… una cosa che si vende su ebay?), sono però incappata in una proposta davvero interessante, la più interessante di tutte: dall’invitante nome “a cena con l’architetto” (probabilmente si ispira al titolo del film “la cena dei cretini”) è una sorta di contest aperto a clienti e progettisti e riesce a essere peggio del noto portale Cocontest che già di per sé agisce con meccanismi dubbi.
Funziona così: il potenziale cliente/utente va su facebook alla fan page dell’iniziativa e posta le foto e le piantine degli ambienti che vuole ristrutturare. Gli architetti (o studenti di architettura, poverini perché no?!) si iscrivono alla fan page e cliccano “mi piace” sulle foto degli ambienti che vorrebbero ristrutturare. Dopo un mese le richieste più “mipiaciate” vengono messe a bando interno e i progettisti pubblicano le loro proposte, sempre sulla pagina facebook. Il progetto più “mipiaciato” vince! Che fortuna! Il progettista vince nientepopodimenoche… 100 euro! E in più gli viene offerta persino una cena con il cliente in cui gli tocca pure dargli consigli sul colore delle piastrelle del bagno! Lungi dal progettista pensare di svolgere veramente il lavoro e prendersi il dovuto compenso! Geniali, davvero.
La conseguenza va ben oltre l’inevitabile perdita di qualità del progetto: la standardizzazione delle soluzioni progettuali, dovuta alla sempre maggiore rapidità e del minimo costo richiesti, elimina, purtroppo, tutta una serie di fattori indispensabili al lavoro dell’architetto: la visita del luogo da ristrutturare, il rilievo, la riflessione, l’ascolto delle reali esigenze del cliente, la ricerca, l’elaborazione di più soluzioni, il dialogo col cliente, l’approdo alla soluzione finale.
In pratica elimina la nostra professionalità e la scelta per il committente.
Solo noi architetti possiamo far rispettare e valorizzare la nostra professione ed abbiamo l’obbligo morale di farlo anche se siamo disperatamente alla ricerca di lavoro.
La politica al ribasso non funziona mai ed il lavoro va pagato sempre e se non viene pagato bisogna rifiutarlo e chiamarlo con il suo nome: sfruttamento.
Autore: Lucia La Rovere
Redazione: Daniela Maruotti
Immagini: da archivio pubblico