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Diario Europeo n. 21
A volte anche la lettura del vecchio quotidiano può riservare qualche piacevolezza. (Soprattutto per un settantenne. E la memoria, stanca ma ancora indomita, torna non senza un certo rammarico alle temute interrogazioni del lunedì su un capitolo di storia, letto e memorizzato in fretta, per la “interrogazione” e poi via di corsa!)
Oggi – non un giornalista di professione ma uno storico di livello internazionale – Niall Ferguson, ci fa tornare ad un “vertice europeo” tra Francia e Gran Bretagna, del 1520 (…appena poche ore dopo il Consiglio europeo di giovedì-venerdì scorsi: ma in questo caso sono 28 Paesi di Europa).
Dice: “durò quasi due settimane e mezzo” (oggi sono più sbrigativi!). “Non si concluse nessun accordo importante, ma tutti tornarono a casa contenti” (e questa abitudine ha, dunque, una sua storia antica!).
Niall Ferguson è, tra l’altro, autore di: “ The Great Degeneration” (2012) – “Il grande declino- come crollano le istituzioni e muoiono le economie”, Mondadori, 2013.
In questo suo saggio, scrive: “Per dimostrare che le istituzioni occidentali sono veramente in declino, dovrò aprire alcune scatole nere rimaste a lungo sigillate. Sulla prima sta scritto “democrazia”. Sulla seconda, “capitalismo”. Sulla terza, “rule of law” (regola o governo della legge). Sulla quarta, “società civile”. Insieme costituiscono le componenti fondamentali della nostra civiltà. (…) Non si può individuare il guasto semplicemente guardando l’involucro lucente. Bisogna guardare dentro” (ivi, p. 11) .
Ma torniamo al Ferguson della sua lezione di storia, impartita oggi, a noi contemporanei di questa Europa-Unione (cfr. la Repubblica 22 febbraio 2016, p. 7).
Si lamenta il nostro perché: “ho avuto difficoltà a spiegare ai miei colleghi americani che il futuro del mio paese era appeso al numero di anni di attività lavorativa nel regno Unito che un idraulico polacco deve vantare per poter aspirare alle prestazioni di sicurezza sociale. La cosa li lascia perplessi, soprattutto quando specifico che la questione riguarda gli immigrati regolari”.
Dunque, 1520: quattrocentonovantasei anni fa, tra il 7 e il 24 giugno. (Per i dettagli è facilissimo consultare Wikipedia).
Forse è utile, invece, tratteggiare (citando e sintetizzando Niall Ferguson) la situazione dell’Europa di allora:
• Mentre l’Europa si spaccava sulla Riforma, gli eserciti del sultano assediavano Vienna due volte nell’arco di due secoli, nel 1529 e nel 1963;
• In seguito ad Est si profilò una seconda grave minaccia, nella forma delle Russia zarista;
• Dopo la pace di Westfalia del 1648, l’Europa entrò nell’era che associamo all’equilibrio di potere: cinque grandi potenze (Austria, Gran Bretagna, Francia, Prussia e Russia);
• La realtà geopolitica: competizione oltreoceano intensa, tra olandesi, britannici e francesi (per le spoglie dell’impero e dell’infinita “ questione orientale” che a lungo contrappose la Russia e la Turchia);
• Ma lo “splendido isolamento” era una formula ironica. Prima Napoleone, poi il Kaiser e infine Hitler ci insegnarono, o avrebbero dovuto insegnarci, l’esatto contrario. Il vincolo con il continente non venne mai meno.
Ci sono curiose assonanze. Salvo – lo voglio precisare a scanso di equivoci, gravi e spiacevoli ancorché diffusi- che oggi non ci sono invasioni alle porte di Europa.
Diario ricorda anche che un cittadino inglese, di Londra, vissuto intorno a quegli anni (1572-1631) – John Donne – ha lasciato scritto questa mirabile creazione, insieme, poetica e spirituale:
“Nessun uomo è un’isola,/ completo in se stesso;/ ogni uomo è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./
Se anche solo una zolla/ venisse lavata via dal mare,/ l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio,/ come se venisse a mancare/ una dimora di amici tuoi,/ o la tua stessa casa./
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,/ perché io sono parte dell’umanità./ E dunque non chiedere mai per chi suona la campana:/ essa suona per te.”
John Donne è stato poeta, religioso, saggista. Non un grande poeta, certamente. Scrisse anche “Sermoni”: celebre il suo sermone “Nessun uomo è un’isola” (meditazione XVII) citato da Ernest Heminguay, in epigrafe al suo famoso: “Per chi suona la campana”.
L’articolo di Niall Ferguson, ha mosso oggi “Diario europeo” per una sorta di veloce “MEMO”.
Aggiungiamo due piccole chiose. Una è questa: Ferguson (ora uno dei più importanti storici britannici e docente ad Harvard) è di origine scozzese. La Scozia permane filo europeista; la leader indipendentista della Scozia – Nicola Sturgen – ha dichiarato subito dopo il vertice di Bruxelles: “Se la Gran Bretagna esce dall’UE, la Scozia potrà anche uscire dalla Gran Bretagna”. L’altra riguarda il sindaco di Londra e anche parlamentare dello stesso partito del premier David Cameron; anche lui ha dichiarato, subito dopo il vertice di Bruxelles, dice ‘NO all’Europa’. E con lui, cinque ministri del governo di cui Cameron è primo ministro.
La questione – prima che europea – è britannica; è una questione di strategia e di storia di questo Paese. Non è nuova e neppure potrà essere risolta dagli altri Paesi o Popoli d’Europa.
“Nessun uomo è un’isola”: decida il popolo (o meglio i popoli britannici) e decida una volta per sempre. Europa è attesa dal Mondo e nel Mondo alla prova di nuove e straordinarie sfide. Non può più attendere: ha bisogno di Europa coesa, affidabile, forte, sicura, riconoscibile e identificabile.