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di Maria C. Fogliaro
La Seconda guerra mondiale è finita, almeno in Europa, e a Londra − l’8 maggio del 1945, il V−E Day (Victory in Europe Day) − si preannuncia una notte magica, che verrà ricordata per sempre. Una notte con la regina (A Royal Night Out, Gran Bretagna, 2015, 97’) l’ultimo film di Julian Jarrold, scritto da Trevor De Silva e Kevin Hood, ci narra che le giovani principesse Lillibeth (Sarah Gadon) − la futura Elisabetta II − e Margaret (Bel Powley) vogliono anche loro scendere, come tutti, per le strade, e vivere in mezzo al popolo i festeggiamenti di quel momento che sanno speciale e irripetibile. Bisogna però convincere i genitori e, in particolare, superare le resistenze della madre, la regina Elizabeth Bowes−Lyon (Emily Watson), poco propensa a pensare alle proprie figlie da sole in mezzo al caos esuberante − ma pur sempre rischioso per due giovani fanciulle poco esperte del mondo − della città. Le giovani, però, non vogliono arrendersi all’idea di rimanere «murate vive» in quello che considerano un «mausoleo spettrale», lontane dalla vita vera e per loro, fino a quel momento, inaccessibile. Riescono così a strappare al padre (Rupert Everett) − intento a provare il discorso che dopo poche ore dovrà fare via radio alla nazione (quello rappresentato recentemente in Il discorso del Re, vincitore di tre premi Oscar nel 2011), ma sensibile alla richiesta delle figlie − il permesso di uscire in incognito per festeggiare tra la gente, insieme a tutti gli altri. Le ragazze sono al settimo cielo e corrono a prepararsi per la festa.
Ma la prudente e volitiva regina chiama le caserme di Chelsea (dove, tra l’altro, quella notte si terrà una festa privata della quale Margaret è a conoscenza) e affida le ragazze alle cure di due militari − il capitano Pryce (Jack Laskey) e il tenente Burridge (Jack Gordon) −, che dovranno scortarle all’Hotel Ritz e sorvegliarle scrupolosamente prima di riaccompagnarle a casa, tassativamente, entro l’una di notte. Di malavoglia le principesse accettano le condizioni imposte dalla madre, ma una volta al Ritz la vivacissima e imprevedibile Margaret riuscirà a sfuggire alla presa degli accompagnatori in divisa − per la verità distratti e, quella notte, poco ligi al dovere −, e si immergerà completamente nell’esplosione di energia vitale che attraversa tutta Londra, costringendo la sorella Lillibeth − una ragazza sveglia e curiosa, ma anche giudiziosa − a inseguirla per tutta la città.
Sarà così che la futura Elisabetta II conoscerà l’aviatore Jack Hodges (Jack Reynor), che − ignorando la vera identità della ragazza − le farà da accompagnatore per quell’unica, indimenticabile notte − perché quella è la notte della vittoria, una notte di libertà, e possono succedere le cose più strane −. Vediamo le persone lasciarsi andare a una gioia folle e spensierata: si ride, ci si abbraccia e ci si bacia fra sconosciuti per le strade; a Trafalgar Square la gente fa il bagno nella fontana; e nei pub fumosi e pieni di soldati si balla e si brinda, in attesa del discorso del re. Le due principesse si immergono in quel mare liberatorio di felicità, potendo − per la prima, e forse unica, volta della loro vita − decidere per se stesse, a dispetto di un’esistenza che invece − dato il loro ruolo − non apparterrà loro mai completamente.
Servendosi anche di potenti immagini tratte dai documentari dell’epoca e di estratti dei discorsi tenuti da Churchill e da re Giorgio VI in quel mitico giorno, Julian Jarrold costruisce, interpretando liberamente fatti realmente avvenuti, una commedia scanzonata e leggera, caratterizzata da un buon ritmo, dalla bella prova degli attori (sopra tutti un maturo e perfetto Rupert Everett, e una bravissima Emily Watson) e dalle musiche fresche e frizzanti affidate a Paul Englishby.
È con piacere che si segue quell’onda di felicità che pervade tutto il film, anche grazie alla presenza di scene divertenti che suscitano le risate degli spettatori − come quella in cui Margaret finisce nel seminterrato di un locale malfamato di Soho gestito da Stan (Roger Allam), un fervente monarchico −; una felicità a cui fa da contrappunto la consapevolezza − manifestata chiaramente, e con un po’ di turbamento, da Giorgio VI − che un nuovo mondo è lì da venire e che la vecchia Europa in quegli anni si giocò il proprio destino.