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di Maria C. Fogliaro
Rispetto agli altri Stati europei, l’Italia è ultima per numero di laureati e il divario negativo rispetto al resto dell’Ue riguarda anche i dottorati; nonostante una recentissima lieve ripresa delle immatricolazioni (+1,6 per cento, trainato dal +3,2 per cento registrato al Nord, mentre il Sud ristagna), l’Università italiana registra un calo degli iscritti; l’alto tasso di abbandono degli studi è un dato ormai strutturale; le scarse chances occupazionali per i laureati da un lato determinano il trasferimento all’estero di intelligenze formate in Italia, e dall’altro danno forza all’idea che il grande sacrificio economico che l’istruzione universitaria oggi impone (a fronte del vertiginoso aumento delle tasse e dell’inconsistenza del diritto allo studio) non serva più a un miglioramento delle condizioni di vita; infine il divario ampio e crescente fra Nord e Sud del Paese si è tradotto in un nuovo fenomeno migratorio dal meridione al settentrione di studenti e docenti.
Università in declino. Indagine sugli atenei da Nord a Sud (Donzelli 2016, pp. 412, euro 32) − uno studio della Fondazione Res curato da Gianfranco Viesti − fornisce un quadro serio e allarmante della condizione attuale e delle prospettive future dell’Università in Italia. La presentazione della ricerca a Bologna − il 25 marzo presso la libreria Ambasciatori − ha dato origine a uno stimolante confronto fra Patrizio Bianchi (assessore regionale per il Coordinamento delle politiche europee allo sviluppo, scuola, formazione professionale, Università, ricerca e lavoro), Davide Conte (assessore alla Cultura e ai rapporti con l’Università del Comune di Bologna), Francesco Ubertini (Rettore dell’Università di Bologna), Walter Vitali (del coordinamento di Laboratorio Urbano) e Gianfranco Viesti (Università di Bari), curatore della ricerca.
Il drastico taglio dei finanziamenti e l’applicazione di criteri di merito in una situazione di risorse calanti hanno prodotto − secondo Vitali − effetti perversi, che rendono indispensabile «un piano nazionale per lo sviluppo delle Università, che non penalizzi certe zone territoriali rispetto ad altre e che, nell’ambito di una garanzia di base al sistema, assegni risorse aggiuntive sulla base di meccanismi premiali». Tuttavia, ha avvertito Vitali, di fronte ai dati emersi dallo studio − corrispondenti a quelli indicati nel rapporto dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario) presentato a Roma il 24 maggio −, difficilmente si potrà invertire il declino dell’Università italiana, soprattutto in assenza di un deciso interesse da parte della classe dirigente e dell’opinione pubblica del Paese.
Per Bianchi oltre agli obiettivi fondamentali della formazione e della ricerca, l’Università ha anche il compito di perseguire i traguardi previsti dalla «terza missione» (cioè la conoscenza a servizio dello sviluppo sociale, culturale, economico della società). A fronte di tante nuove responsabilità si impongono un maggior rispetto dell’autonomia degli atenei, un aumento degli investimenti sulle alte competenze, e, soprattutto, il riconoscimento che nel livello terziario d’istruzione non c’è solo l’Università, ma esistono anche altri percorsi di professionalizzazione.
Il rapporto fra Università e città è, per Conte, fondamentale e a torto trascurato. Uno degli esempi più fruttuosi di questa relazione straordinaria è il progetto «Urban@bo» − la piattaforma di trasferimento della ricerca sulle politiche urbane −, presentato il 20 aprile di quest’anno e sottoscritto dal Comune di Bologna, dall’Alma Mater e da «Urban@it» (il Centro nazionale di studi per le politiche urbane, di cui Vitali è direttore esecutivo). Un progetto innovativo legato all’espletamento della «terza missione» dell’Università.
Partendo dai dati contenuti nell’ultimo rapporto dell’Anvur − rispetto ai quali l’Università di Bologna è in controtendenza − Ubertini afferma che, prima di qualsivoglia valorizzazione del merito, è necessario innanzitutto garantire il diritto allo studio, che oggi è divenuto inconsistente non solo per la mancanza di risorse per pagare le borse, ma soprattutto per la differenza di accesso tra regioni. Poi, bisogna sbloccare il turn over dei docenti, fermo da anni, e ripartire con il reclutamento di giovani ricercatori. Ma, soprattutto, è fondamentale liberare il sistema universitario dai vincoli burocratici, con una drastica semplificazione del quadro normativo.
La ricerca della Fondazione Res individua, in maniera indipendente, parecchi punti critici e solleva alcune grandi problematicità, che − ha affermato Viesti a conclusione dell’incontro − vanno oltre l’Università, coinvolgono il futuro del Paese nel suo complesso e sono frutto di precise scelte politiche.
Le conclusioni che è possibile trarre dal dibattito sono che è necessario garantire un sistema universitario omogeneamente robusto; aumentare i finanziamenti al sistema pubblico delle Università, in un’ottica di autonomia responsabile; e soprattutto ricordare che l’Università ha come obiettivo la formazione, attraverso l’alta cultura e il sapere avanzato, di élites dotate di visione e autorevolezza, indispensabili per la ripresa civile, culturale e anche economica del nostro Paese.