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“L’Unione economica e monetaria” (I)

Diario europeo n. 31

Il Preambolo del Trattato sull’Unione europea, con il suo tono (apparentemente) solenne e rassicurante (che i lettori e le lettrici di Diario hanno imparato ormai a riconoscere e interpretare) afferma: “Decisi a conseguire il rafforzamento e la convergenza delle proprie economie e ad istituire un’Unione economica e monetaria che comporti, in conformità delle disposizioni del presente Trattato e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, una moneta unica e stabile”.

(Brexit alle porte?)

I lettori e le lettrici di “Diario” , forse si chiederanno e chiederanno anche a chi scrive: “ma con la possibile Brexit alle porte, volgiamo addentraci su un tema del genere”?.

Diario – nella sua ‘finestra’ del 16 Febbraio 2016 “Europa e Gran Bretagna”- ha analizzato dettagliatamente l’Accordo tra G.B. e Unione Europea finalizzato a concedere alla stessa una sorta di Statuto Speciale di membership: una non-soluzione, per consentire all’attuale Governo inglese di far fronte alla tempesta referendaria. Una “non-soluzione”, appunto, che tuttavia poteva (e può) anche configurare – per la prima volta in questi termini pesanti ed espliciti – un grado specifico di ‘integrazione differenziata’ (così precisamente scrivevamo in Diario) e nello stesso tempo, e dare anche una spinta per accelerare la stagione di una profonda riconsiderazione del processo di Unità europea che tenga insieme i due Poli. Successivamente – nel precedente Diario – commemorando i trent’anni della morte di Altiero Spinelli, osservavamo: L’occasione del profondo rimescolamento cui è sottoposta l’attuale costruzione europea, offerta del referendum inglese dei prossimi giorni (a prescindere dal suo esito), può e deve costituire anche l’occasione per uno ‘stop and go’ della globale filosofia di Unità.

Eccoci, dunque, al momento opportuno e necessario! Alla vigilia del D-day del 23 giugno 2016, Diario dedica al referendum britannico questa riflessione dell’ambasciatore Romano: “Direi che la Gran Bretagna, se uscisse dall’Ue, correrebbe i rischi maggiori rispetto agli altri Paesi membri. Ma sarà bene non sottovalutare il rischio “sfiducia” dei mercati e delle opinioni pubbliche. Per far fronte, esiste una contromossa che consiste nel rispondere all’uscita dalla Gran Bretagna con una coraggiosa iniziativa europeista” (Il Corriere della Sera, 7 giugno 2016).

(Il compito e l’ora)

E chi dovrà essere ad assumersi questo compito? Dovranno essere i Paesi membri che hanno il vincolo/opportunità della moneta unica. In primis, tocca alla “zona Euro” assumersi l’onere e il dovere – di fronte ai popoli europei ed anche al mondo- di prendere in mano il destino di Europa e condurla nella Storia. “Sono un convinto anglofono – afferma Piero Ottone, sul Corriere del 4 giugno – e non riesco a immaginare una UE senza l’Inghilterra; ma nello stesso tempo penso che soltanto uno choc potrebbe convincere i Paesi dell’Unione a fare quello che finora non hanno fatto”.

Dobbiamo concentrarci sull’accelerazione delle riforme necessarie per rilanciare la integrazione dell’Unione, subito! Il primo compito è: “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa”. Le virgolette, ricordano che si tratta di un titolo del documento/impegno – massimamente autorevole – preso dai cinque presidenti in carica nell’attuale Unione Europea: Jean-Claude Juncker della Commissione europea, Donald Tusk del Consiglio europeo, Mario Draghi della Banca centrale, Jeroen Dijsselbloem dell’ Eurogruppo, Martin Schulz del Parlamento europeo, nella relazione del 22 giugno 2016. Di che si tratta?

(L’antefatto)

Completare il lavoro già iniziato. Per comprendere meglio il tutto, dobbiamo tornare, un attimo indietro nel tempo, a Maastricht, cittadina olandese. Potrebbe risultare utile una brevissima contestualizzazione temporale, che facciamo utilizzando “ L’Inchiesta: come è nata la crisi UE”, di Andrea Bonanni (la Repubblica, 30 maggio e a seguire), che consiglio ai lettori e alle lettrici, per comprendere meglio alcuni semi originari dell’attuale crisi della integrazione europea. Scrive Bonanni: Siamo nel dicembre 1991. Da poche ore; l’Unione Sovietica si è sciolta. La Germania è riunificata da un anno. La Jugoslavia non esiste più. In Croazia si combatte e si uccide. L’Est europeo si misura con la scoperta della democrazia. (…) Oggi Maastricht è iscritto nel museo della memoria europea come il vertice che mise la basi della Unione monetaria, fissandone la data di nascita al 1 gennaio 1999 e definendo i famigerati parametri in materia dei conti pubblici”.
Prima ancora, i lettori e le lettrici di Diario ricordano certamente anche altre date fatidiche: 9 novembre 1989 (inatteso crollo del muro di Berlino) e i successivi undici mesi cruciali entro i quali con un’accelerazione straordinaria e non prevista si arriva alla riunificazione della Germania (3 ottobre 1990). (Per una ulteriore contestualizzazione, anche di tipo strategico-politico, si veda: Mario Campli, Europa, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo, Marotta &Cafiero, 2014; pp. 110-124).

La risposta politico-strategica alla riunificazione della Germania e contestualmente al sommovimento globale dell’area post-sovietica fu da una parte la riunificazione delle due Germanie, dall’altra il nuovo ‘Trattato dell’Unione Europea’ con dentro la Unione economica e monetaria. In quegli anni (1989-92) veramente – senza retorica – è stata fatta la Storia europea, con il coinvolgimento attivo ed esplicito delle nazioni che erano state coinvolte nella seconda guerra mondiale. E si trattò di un coinvolgimento politico e strategico non indolore. Nikita Chruscev (prego i lettori e le lettrici giovani di consultare Internet) era stato molto chiaro quando era al potere dell’impero sovietico: “La frontiera delle due Germanie è una frontiera che è stata tracciata con la guerra e solo una guerra potrebbe cambiarla”. La Russia di Corbacev, invece, non oppose alcuna resistenza. Nessuna guerra fu minacciata. Gli USA parteciparono in prima persona, attraverso il suo Segretario di Stato James Baker al processo storico, negoziando direttamente – sia per la riunificazione/annessione sia per la successiva adesione alla NATO della nuova Germania riunificata – i passi del nuovo assetto dell’area, strategico per l’intero occidente.

Ci dispiace, invece, dover sottolineare – da “vecchi” europei che vengono da un percorso di Unità iniziato nel 1950 – che furono proprio i Governi degli stati membri dell’allora Comunità Europea a non raccogliere completamente la sfida della storia. “Si arriva così al 30 settembre 1991, il lunedì nero dell’Europa, secondo i ricordi dei diplomatici olandesi. Nel corso di una riunione dei dodici ministri degli esteri dei Governi dei dodici Paesi membri convocatisi per discutere del nuovo “Trattato” (da cui nascerà la Unione Europea) la proposta della presidenza di turno, l’Olanda, di comunitarizzare oltre che la moneta, anche la politica estera, la difesa e la giustizia riceve solo due voti: Olanda e Belgio. La Germania si schiera con la Francia. L’Italia si adegua” (Andrea Bonanni, vedi sopra). Cosa era accaduto nei mesi di faticosi incontri e discussioni? Era intervenuto una serie interminabile di contorcimenti, sotto gli occhi increduli di Russia e America, stupiti che gli Europei stavano mancando l’appuntamento a cui avevano dedicato anni ed anni di faticoso cammino (dal famoso discorso a Parigi di R. Schuman il 9 maggio 1950). Sta di fatto che ad una apertura della Germania di H. Kohl pronto a mettere a disposizione l’abolizione del marco e anche l’opzione della Unione politica, la Francia di F. Mitterand preferì mantenere nazionalizzate tutte le politiche strategiche (Difesa, Esteri, Fiscalità comune, Debito sovrano europeo) illudendosi che la sola “moneta unica” (con la soppressione del marco) avrebbe potuto reggere la sfida della navigazione in mare aperto della la sorgente globalizzazione dell’economia e delle Comunicazione (Internet). Nell’insieme si era verificato anche un circuito – piuttosto usuale nella storia europea- di scarsa fiducia vicendevole: la Germania, ad esempio procedette al riconoscimento unilaterale della indipendenza della Slovenia e di Croazia, innescando la guerra in Jugoslavia; pure il Vaticano fece la sua parte: all’inizio della crisi dello Stato Jugoslavo, il papa polacco aveva attivamente favorito la secessione della Croazia cattolica a scapito della Serbia ortodossa (cfr. Sergio Romano, “Fra cattolici e ortodossi…”, in Corriere della sera, 12-6-2016). A seguire alcuni colpa di coda: la Germania, non avendo comunitarizzato la politica economica, pretese i famosi “parametri di Maastricht”, per vincolare i bilanci nazionali a rigorose regole di austerità; la Gran Bretagna aggiunse (as usual) il suo veto a qualsiasi “politica sociale europea”.

(Euro, soluzione incompleta)

L’affermazione “soluzione incompleta” è di Mario Draghi presidente della Banca Europea. Il Film della crisi economica e finanziaria – peraltro importata dagli USA – ha successivamente (2007-08) mostrato senza equivoci di sorta, che la moneta da sola, e per giunta “senza un sovrano” certo e indiscusso (la Unione politica,) non può reggere la sfida né dello sviluppo armonico di economie e società diverse e ancora ‘nazionali’, mentre tutte le leve di una normale politica economica e finanziaria e la impostazione di una coerente politica economica di crescita e sviluppo restano affidate a strumenti e congegni di “coordinamento” (vedasi art. 5-6 del T.U.E.). “Com’e possibile continuare a mantenere una moneta unica, con diciotto politiche economiche diverse, con diciotto politiche del debito pubblico, con diciotto politiche di bilancio, con diciotto mercati del lavoro, ecc. E che dire di una Banca centrale, lasciata sola a difendere la moneta, nel contesto appena ricordato e senza gli strumenti normali di altre banche centrali del mondo?” (Carmelo Cedrone, Dove va l’€uro?, Edizioni Nuova Cultura, 2013).

(Le tappe)

Bruxelles 21 ottobre 2015, La Commissione europea – dopo la Relazione dei cinque Presidenti – in qualche modo (!) espressione del “sovrano” (l’attuale Consiglio Europe) – invia al Parlamento ed ai Governi, alla Banca Centrale (ed alla società civile europea) una formale “Comunicazione” per delineare le tappe del completamento della U.E.M. Ma, attenzione, senza poter (non avendo questo input da parte dei Governi degli Stati membri) mettere mano a nessun altra riforma che delinei le forme e le istituzioni proprie di una “Unione politica”.

Nell’esame sul tema del “completamento” della Unione economica e monetaria vi sono molti passaggi di natura e consistenza specialistica e anche tecnica che non è utile affrontare per non appesantire la lettura, paziente e generosa, dei lettori e delle lettrici di Diario. Farò, peraltro, molto riferimento al lavoro condotto dai rappresentanti della Società civile europea nel Comitato Economico e Sociale Europeo, in quanto è – allo stato attuale l’organismo istituzionale (indipendente) dell’Unione che il Trattato chiama ad “assistere” le prime tre Istituzioni della UE (Parlamento, Consiglio, Commissione- art. 13, comma 4).

La Comunicazione della Commissione sulle Tappe verso il completamento (COM 600, del 21 ottobre 2015) aveva il compito di dare una concretezza operativa e di percorso legislativo al documento politico dei cinque presidenti, onde evitare che restasse ‘lettera morta’, come era già accaduto ad un analogo pronunciamento dei 4 presidenti nel 2012, ingnorato del tutto dalla Commissione stessa, allora presieduta dal portoghese Barroso.
Bene, dunque, che la Commissione – Junker si sia assunto la responsabilità politica di avviare un vero e proprio percorso legislativo. Nel merito essa presenta una configurazione prevalentemente fragile.

I punti di forza sono: forzare il fronte degli Stati membri che manifestano tiepidezza e anche contrarietà alle riforme; l’attenzione alla Unione finanziaria nelle sue diverse articolazioni; il completamento della Unione bancaria, con la imprescindibile esigenza della garanzia europea dei depositi; l’Unione dei mercati dei capitali, affinché i risparmiatori/correntisti, i contribuenti europei in riferimento ai debiti delle banche, gli investitori e le imprese che operano sui mercati finanziari poco trasparenti e poco diversificati siano tutelati dentro un quadro di regole europee e relativi controlli incisivi. In questo ambito, grave risulta la mancata obbligatoria differenziazione e separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Limitata ma utile e positiva è anche la introduzione della “Rappresentanza esterna unificata” dell’UEM, per consentire un dialogo strutturato ed istituzionale tra zona euro- come entità unica- verso il Fondo monetario internazionale (considerando che allo stato attuale la “zona euro” non è dotata di un analogo Fondo Monetario Europeo).

I punti di debolezza, invece, sono molto seri e tutti di natura politico-strategica. “Si continua a perseverare e far credere, ad esempio, che: a) il problema nella UEM sia solo una questione di rispetto delle regole di “contabilità”; b) la ‘governance’ economica si risolva solo con un “coordinamento”; c) la sostenibilità macroeconomica e finanziaria dell’Eurozona sia solo un problema di trasparenza; d) la gravissima questione della disoccupazione possa essere affrontata con proposte sollo “formali”, come si fa da anni (….) Le gravi conseguenze sociali provocate dalla disoccupazione non trovano nessuno strumento di solidarietà e non si capisce che cosa si voglia intendere per “pilastro europeo” dei diritti sociali (forse quelli esistenti già – molto diversificati e spesso fragilissimi- nei Paesi membri?)” (cfr. Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo, ECO/394, del 17 marzo 2016, del relatore, consigliere Carmelo Cedrone).

Ma la parte ancora più debole è quella relativa alla “legittimità democratica”. Afferma, coerentemente il relatore del CESE, Carmelo Cedrone: “Se ne parla in mdo molto superficiale ed approssimativo, quando invece è il cuore di tutto, e l’essenza del dibattito e delle preoccupazioni dell’opinione pubblica europea: e da qui che passa il futuro dell’eurozona e della UE”. La Commissione rinvia, dunque, ad una “Fase 2” ed a un “Libro bianco” a fine 2017.

Con tutta evidenza, siamo di fronte ad una gravissima sottovalutazione della gravità delle situazione politica dell’Unione, di fronte alle pulsioni antieuropeiste, dalle svariate forme. Oppure dobbiamo “capire” che prima delle elezioni in Francia e in Germania, nessuna vera apertura del dibattito sulla ‘Unione politica’ potrà cominciare? E, dunque, l’attuale Unione e i 27 ( utti, meno la UK) Paesi membri non hanno ancora nessuna “Ipotesi di ripartenza” all’indomani del referendum britannico? Non possiamo crederlo e non è così! Già ora molte analisi e anche precise proposte sono state espresse. Dobbiamo attendere – come diceva sopra Piero Ottone- uno choc per convincere i Paesi dell’Unione a fare quello che finora non hanno fatto”?

Una seconda puntata sul “Completamento” (II) della Unione economica e monetaria-Pilastro politico, sarà per dopo referendum.

Diario, oggi, si ferma qui. Il 23 giugno – Giovedì – torneremo ai lettori e alle lettrici, direttamente da Londra, per commentare Brexit/Remain.

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