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Chi scrive ha avuto in passato una incredibile stima nelle visioni strategiche e lungimiranti di D’Alema. Ha pensato potesse essere l’uomo giusto per tenere insieme tradizione e futuro, per poter tragettare un popolo (allora lo era) ferito dal crollo di qualcosa che già sapeva già morto ma che non aveva mai avuto il coraggio di seppellire.
Ci ha provato, ha fallito, ma con onore. Non sarebbe stato facile per nessuno anzi forse era impossibile. Rifuggire nel non sono mai stato comunista sarebbe stato molto facile, qualcuno lo fece infatti, invece lui tenne la barra dritta e con onestà volle provare a fondere le idealità blairiane alle tradizioni di sinistra ortodossa andando a scontrarsi contro la realtà di una società che non era pronta ad accettare un ex comunista perché ancora imprigionata dalla tradizione.
Insomma, un protagonista della storia d’Italia. Il suo autunno sa invece di campione di calcio di 50 anni che imbolsito, sbraita contro i calciatori che non valgono neppure il suo polpaccio sinistro ma che corrono, corrono e sono gli unici ormai in grado di giocare su un campo che è sempre lo stesso ma che per lui ormai è cambiato. Il nostro ex campione non riesce a capire perché quei meravigliosi passaggi e quegli scatti fino in porta non gli riescano a più e crede sia solo il caso, che sia la maledizione di un momento, invece essi non torneranno mai più.
Una volta che si esce dalla politica attiva bisognerebbe porsi al servizio degli altri, capire che il proprio periodo è finito e far crescere nuove persone che possano far camminare le proprie idee su nuove gambe. Lui non lo fa, non rendendosi conto che così facendo getta alle ortiche una storia politica cinquantenaria fatta di tante ombre ma anche di tante, tantissime luci.
Speriamo ci ripensi dopo il referendum, comunque esso vada. A pensarci bene la pensione non è poi così male per un intellettuale.