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Renato Zangheri intellettuale e politico

di Maria C. Fogliaro

zangheri

Prima che il neoliberismo si affermasse come forza capace di incrinare l’esperienza di progresso democratico e sociale, non certo priva di contraddizioni, che ha caratterizzato i «Trenta gloriosi», c’è stato un tempo in cui nel nostro Paese cultura e politica sono state profondamente interconnesse. A quel periodo storico, a quell’altra Italia, si è richiamato il convegno organizzato il 18 novembre a Bologna dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna − con il patrocinio della Camera dei deputati, della Regione e dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, del Dipartimento di Storia culture civiltà dell’Università di Bologna, e del Comune di Bologna (rappresentato da Davide Conte, assessore al Bilancio) − affrontando, con il contributo di autorevoli studiosi, la vicenda politica e intellettuale di uno dei protagonisti di quell’epoca ormai svanita: Renato Zangheri.

Storico, docente universitario, politico, amministratore, parlamentare: questa personalità poliedrica, capace di passare attraverso molte esperienze, nella sua lontananza dal tempo presente si configura − secondo Carlo Galli (Università di Bologna, presidente Fondazione Gramsci Emilia-Romagna) − sia come esponente di una politica che è stata capace di affrontare la contingenza facendo perno su un’idea di «cultura vissuta come fattore strategico e di sviluppo per una comunità», sia come simbolo di «un sapere che non arretra davanti all’impegno».

Dell’esperienza di Zangheri come amministratore e politico hanno dato testimonianza Maurizio Ridolfi (Università della Tuscia) che ne ha ricordato la figura di studioso e di amministratore attento alla dimensione del governo locale − di cui la costituzione nel 2004 dell’osservatorio Civitas a Imola è stato un esempio rilevante −; Luca Baldissara (Università di Pisa) che ne ha rievocato l’attività di sindaco di Bologna (1970-1983) in una fase storica molto complessa per la città, passata attraverso la strategia della tensione e la contestazione del ’77, e nella quale − nonostante uno sviluppo economico, un progresso sociale e un avanzamento dei diritti che sono stati reali e disponibili per tutti i cittadini − cominciavano ad affiorare i sintomi di quella decadenza con la quale la politica è obbligata oggi a fare i conti; e Roberto Finzi (Università di Bologna) che ha documentato il rapporto del professore con la «grande politica» e l’attenzione alle vicende internazionali del suo tempo, che lo portarono da un lato a fare della «sua» città un modello di democrazia aperta all’accoglienza degli esuli in fuga dalle dittature − come ha testimoniato anche Sergio Vuskovic, ex-sindaco di Valparaiso (Cile), con una lettera inviata al convegno −, e dall’altro a promuovere la ricerca e la conoscenza dei problemi internazionali attraverso la costituzione di centri studi specializzati − basti pensare alla fondazione nel 1974, per volontà della sua amministrazione, del «Centro Amilcar Cabral» sull’Asia, l’Africa e l’America Latina, o all’impulso decisivo del Comune e di un gruppo di intellettuali politicamente impegnati nella nascita della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna negli anni Sessanta −.

Quella di Zangheri è quindi la vicenda di un politico che è stato prima di tutto − come ha ricordato Paolo Capuzzo (Università di Bologna) − uno studioso, che non si sottrasse alle responsabilità di governo (locale e nazionale) e che fu capace di coniugare l’azione politica immediata con una visione ampia del futuro. Per questo motivo il tema stesso del convegno − Renato Zangheri intellettuale e politico − è stato scelto, secondo Giuseppe Vacca (Fondazione Gramsci Onlus), con grande opportunità, in quanto testimonia della scommessa vinta da Zangheri di poter essere a tutti gli effetti uno storico di professione − protagonista di primo piano di una importante stagione di studi gramsciani − e, al contempo, un militante politico. Una figura, quella di Zangheri, da riscoprire in tutta la sua interezza proprio a partire dalla sua esperienza di studioso di grande rigore, che nei suoi lavori sul municipalismo e sul socialismo − ha affermato Patrizia Dogliani (Università di Bologna) − ha mantenuto un legame profondo con la propria terra (la Romagna), dove ha avuto modo di conoscere da vicino il mondo contadino. Un intellettuale complesso, dunque, che, come ha documentato Gilda Zazzara (Università di Venezia), dopo la laurea in Filosofia con Felice Battaglia all’Università di Bologna, ha sempre avuto un preciso orientamento alla storia come mestiere, e la cui vocazione di storico − ha rilevato Mariuccia Salvati (Università di Bologna) − si è manifestata anche nel contributo fondamentale che egli ha dato per la nascita delle facoltà di Storia in Italia, e di quella di Bologna in particolare.

Attraverso la vicenda individuale di Renato Zangheri è emersa, in realtà, la storia di un mondo e di una classe dirigente che ha avuto il suo centro in Emilia-Romagna e la sua vetrina più illustre nella città di Bologna, simbolo per anni dell’intreccio virtuoso fra cultura, politica, e buona amministrazione. Un mondo ormai tramontato, ma che è importante ricordare in quanto modello di un modo di fare politica orientato all’avvenire da una visione democratica che traeva dalla cultura linfa e vitalità sempre nuove, e una capacità di comprensione (e quindi di risoluzione) dei problemi che si è dimostrata concreta ed efficace. Una politica all’altezza delle sfide del proprio tempo, che ha saputo produrre quei legami sociali e quell’interesse per la cosa pubblica che sono la forza di una cittadinanza realmente democratica.

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