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di Maria C. Fogliaro, 12 novembre 2016
«Il viaggio del pellegrino da questo mondo a quello di là da venire presentato in similitudine di sogno, nel quale si scopre la maniera in cui si mette in viaggio, le sue pericolose avventure, e infine l’arrivo nella terra desiderata». Con la citazione di The Pilgrim’s Progress di John Bunyan si apre Knight of Cups (USA, 2015, 118’), con la quale il regista e sceneggiatore Terrence Malick introduce immediatamente l’oggetto del suo film: un viaggio iniziatico, un percorso di salvezza. Come dice all’inizio del film la voce fuoricampo del padre del protagonista, questa è «la storia del giovane principe, del cavaliere mandato da suo padre, il re dell’Oriente, a Occidente, in Egitto, per trovare una perla, una perla dagli abissi del mare. Ma quando il principe arrivò gli diedero da bere in una coppa che gli portò via la memoria, si dimenticò di essere il figlio del re, si dimenticò della perla, e cadde in un sonno profondo». È, questo, un brano che ricalca il cosiddetto Inno alla perla, contenuto negli Atti di Tommaso – un componimento di derivazione gnostica del III secolo -, del quale Knight of Cups vuole essere la trasposizione rielaborata e riportata al nostro tempo.
Il principe di Malick si chiama Rick (Christian Bale), e la sua terra d’Egitto è Los Angeles, dove vive facendo lo sceneggiatore, totalmente immerso nello spirito mondano di Hollywood. È un terremoto improvviso a ridestarlo e a metterlo davanti alla terribile verità: ha trascorso i suoi primi trent’anni dimentico di quella che per la gnosi – alla quale il film fa riferimento costante – è la «scintilla divina» che dimora negli «illuminati».
Inizia così per Rick un lento e problematico itinerario di conversione spirituale, scandito da salite e cadute, da apici di consapevolezza e da arretramenti nelle illusorie tentazioni del mondo, che lo condurranno infine al risveglio. Otto sono le fasi che caratterizzano il cammino dello scrittore, e che riprendono alcuni degli «Arcani maggiori» dei Tarocchi: la Luna, l’Appeso, l’Eremita, il Giudizio, la Torre, la Papessa, la Morte. L’ultima fase non corrisponde a nessuna delle figure delle carte divinatorie, ed è il momento della Libertà: a quel punto Rick sarà riuscito a liberarsi dalle seduzioni, dai legami e dagli ostacoli che gli impediscono il ritorno alla «casa del Padre».
Per superare la propria condizione di esule, di «straniero in terra straniera», Rick, il Cavaliere di coppe, deve addentrarsi negli strati più profondi della propria anima e guarirne le ferite – come nel caso del difficile rapporto che egli ha con il padre Joseph (Brian Dennehy) e con il fratello Barry (Wes Bentley), e del tormento provocato dalla morte tragica di un altro fratello -. Ogni passaggio evolutivo è caratterizzato da una presenza femminile, che funge da orientamento nel mondo e, al contempo, da specchio dei limiti e delle potenzialità del protagonista, chiamato a integrare in sé la dimensione femminile mancante.
In questo suo penultimo film Malick porta in scena, appoggiandosi alla fotografia perfetta di Emmanuel Lubezki, un mondo sfuggente ed enigmatico; dominato dall’acqua e dal mare, ma anche da infiniti spazi desertici; fatto di enormi aree urbane; disseminato di segni e di simboli che indicano al Cavaliere (e allo spettatore) il cammino da percorrere. Il montaggio volutamente discontinuo (rispetto allo spazio e al tempo) è volto a rappresentare la frammentazione che ha intaccato la pienezza originaria dell’uomo nel momento in cui si è trovato, come un sonnambulo, ad abitare la Terra.
Un film non facile ma coinvolgente, una potente allegoria che contiene immagini e suoni di rara e sensuale bellezza, caratterizzato dalle splendide musiche di Hanan Townshend e dalla presenza di un cast eccezionale (su tutti Cate Blanchett, Natalie Portman, Antonio Banderas), con un Christian Bale in stato di grazia. Un altro capolavoro di un Autore eccentrico rispetto al cinema mainstream, capace di trasformare in immagini tutta la complessità della filosofia gnostica che rincorre il sogno di ristabilire l’unità primigenia dell’uomo-illuminato, e il cui senso ritroviamo nella massima: «Trova la tua strada: dall’oscurità alla luce».