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di MAURIZIO SCARPARI
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it )
Diffondiamo un articolo di Maurizio Scarpari, dell’Università di Venezia, dal catalogo della mostra di cui è curatore, insieme a (Palazzo del Quirinale, Roma, dal 6 dicembre al 26 febbraio), che illustra la storia millenaria dei rapporti fra Cina e Occidente.
La mostra si articola in diverse sezioni che espongono capolavori provenienti dai più importanti musei europei e italiani tra cui il British Museum di Londra, il Musée du Louvre, il Musée Cernuschi e Guimet di Parigi, il Museo di Berlino, il Museo di Lione, il Museo d’Arte Orientale di Torino, il Museo delle Civiltà / Museo d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” di Roma, e molti altri. Sono presenti anche una ventina di opere moderne provenienti dalla Cina e realizzate da grandi artisti cinesi contemporanei.
Lungo l’antica Via della Seta che attraversava il vasto continente euroasiatico, l’Oriente e l’Occidente sono entrati in contatto e si sono arricchiti rispettivamente con lo scambio di merci, tecniche e informazioni di ogni genere. Missionari di varie fedi, Cristiani, Confuciani e Buddhisti, seguendo le piste della Via della Seta, si sono conosciuti, hanno dialogato e contribuito a diffondere un clima di tolleranza cha ha scavalcato le frontiere incerte degli Stati e aiutato i popoli a crescere. Tra gli uomini che hanno affrontato il lungo viaggio dall’Italia alla Cina, Marco Polo, i gesuiti Matteo Ricci e Martino Martini. Nelle intenzioni dei curatori la mostra vuole essere un omaggio dell’Italia al progetto cinese denominato Yidai yilu “Una cintura e una via” (One Belt, One Road), altresì noto come “Cintura economica della Via della Seta” e “Via della Seta marittima del XXI secolo”. Si tratta di un ambizioso progetto strategico, volto a creare infrastrutture moderne che favoriscano i collegamenti e la cooperazione commerciale, diplomatica e culturale tra i popoli dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa, coinvolgendo 65 Paesi, che equivalgono a circa il 70% della popolazione mondiale e al 55% del PIL globale, e possiedono il 75% delle riserve energetiche conosciute. La sua realizzazione cambierebbe radicalmente le relazioni tra le nazioni e gli assetti geopolitici e geoeconomici del pianeta.
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Maurizio SCARPARI
DALL’ANTICA ALLA NUOVA VIA DELLA SETA
Il 21 aprile 2016, alle ore otto, un treno simile a tanti altri arriva alla stazione di Saint Priest, quartiere periferico di Lione, con il suo carico di mercanzie: 41 container riempiti di prodotti chimici e apparecchi meccanici ed elettronici. Nulla di speciale, se non fosse che quei container erano partiti il 6 aprile da Wuhan, capoluogo della provincia cinese dello Hubei, coprendo in 15 giorni la distanza di circa 11.500 km, oltre 3600 dei quali percorsi in territorio cinese prima di raggiungere il Kazakistan e continuare il viaggio attraversando la Russia, la Bielorussia, la Polonia e la Germania. I tempi sono destinati a ridursi ulteriormente una volta completato l’adeguamento dell’intera linea ferroviaria transcontinentale allo scartamento standard (1435 mm), diverso da quello russo (1520/1524 mm), passaggio essenziale per evitare di effettuare il doppio cambio di treno, con conseguente trasbordo dei container, alle frontiere tra la provincia cinese autonoma del Xinjiang e il Kazakistan e tra la Bielorussia e la Polonia, operazione che richiede dispendio di tempo e un aumento significativo dei costi. Si consideri che se lo stesso carico fosse stato spedito via mare ci sarebbero volute almeno cinque settimane, se non di più, per giungere a destinazione.
I tempi sono comunque brevi in confronto ai mesi o anche anni che ci sarebbero voluti per collegare, in un unico viaggio, le regioni costiere della Cina con quelle dell’Europa occidentale lungo le rotte carovaniere o marittime dell’antica Via della Seta. Un viaggio più ideale che reale, essendo l’idea stessa – oltre che il termine Seidenstraße, Via della Seta, coniato nel 1877 dal barone Ferdinand von Richthofen – più un’astrazione dal sapore vagamente romantico che la rappresentazione fedele di un percorso pianificato e percorribile dall’inizio alla fine. Mai in epoca antica, e solo raramente nei secoli dei grandi viaggiatori, le vie di terra e di mare che si dipanavano per migliaia di chilometri lungo le direttrici commerciali che collegavano il continente cinese e il Sudest Asiatico al Mediterraneo venivano percorse da un estremo all’altro in un solo viaggio; per lo più la meta era rappresentata da una postazione intermedia, che consentiva di impiegare le carovane o gli equipaggi per distanze relativamente brevi, che raramente superavano i limiti regionali. Un’articolata rete di vie di terra collegava imperi, regni, città, paesi e villaggi lungo sterminate pianure alluvionali e lande desertiche, interrotte da catene montuose talvolta impervie e da corsi d’acqua impetuosi, mentre le rotte di mare toccavano porti, attrezzati all’accoglienza, disseminati lungo le coste che dall’Asia Orientale arrivano a quelle dell’Africa Orientale, che ponevano il Mare Arabico in una posizione strategica per lo sviluppo delle relazioni commerciali e diplomatiche tra gli imperi asiatici orientali e meridionali da una parte, e le diverse realtà politiche centro-asiatiche e africane dall’altra, consentendo alle navi mercantili di rifornirsi di acqua e derrate, consegnare le merci e procurarsi un nuovo carico. Tramite privilegiato di queste relazioni erano le regioni comprese lungo il bacino del fiume Tarim, dove fiorirono il regno di Khotan e città come Turfan o Kashgar, della Transoxiana (l’area sud-orientale dell’Asia Centrale), con gli snodi di Bukhārā e Samarcanda, del Pamir e della vasta aerea che si estende dall’Iran alla Penisola Arabica fino al Mar Mediterraneo. Tale frazionamento dei percorsi comportò la creazione di un sistema d’infrastrutture sempre più complesso e di un’organizzazione logistica sempre più capillare ed efficiente.
Intermediazione è la parola chiave di queste molteplici attività, il loro comune denominatore. Mercanti di diversa nazionalità, provenienti dai luoghi più disparati, si incontravano, soggiornando tanto nei centri maggiori quanto nelle remote oasi disseminate lungo la strada o, molto spesso, in caravanserragli che si trovavano grosso modo a un giorno di viaggio l’uno dall’altro, commerciando merci e raccogliendo informazioni, essenziali per proseguire il viaggio con profitto e in sicurezza. A loro si accompagnavano ambasciatori, monaci, esploratori e avventurieri di ogni risma. Aveva luogo uno scambio continuo di beni e di conoscenze, venivano messe a confronto usanze, pratiche, idee e fedi religiose in un mondo che ai nostri occhi appare assai più tollerante e aperto di quello in cui viviamo oggi.
Quelle vie di transito presero dunque corpo nel corso dei secoli nelle diverse regioni che attraversavano, senza che vi fosse la reale consapevolezza di tutte le connessioni più o meno remote che potevano avere, ci si basava più che altro sulla direzione da prendere, verso un indefinito Occidente o verso un misterioso Oriente. E non sempre era commerciale lo scopo dei viaggi e delle esplorazioni che venivano intraprese. Durante il primo impero cinese (206 a.C. – 220 d.C.), ad esempio, nel periodo della cosiddetta prima pax sinica, quando l’imperatore Wu (r. 141-87 a.C.) inviò diverse missioni verso occidente, sotto l’abile guida del Generale Zhang Qian (195-114 a.C.), per trovare delle soluzioni alle continue tensioni che c’erano lungo i confini imperiali con le popolazioni delle steppe, in particolare con i Xiongnu, per esplorare nuovi territori e per stabilire contatti pacifici con i governi centro-asiatici. Più che da interessi commerciali, queste missioni avevano dunque una natura diplomatica, servivano ad aprire nuove strade verso mondi di cui si avevano conoscenze approssimative. Nella loro lunga storia queste strade, sorvegliate talvolta da avamposti militari, hanno conosciuto momenti alterni di prosperità, durante i quali i mercanti potevano viaggiare agevolmente e senza correre particolari rischi, e di decadenza, durante i quali il tragitto si faceva difficile e pericoloso.
Al pari di quanto avveniva in Occidente, verso il 200 d.C. la pax sinica, similmente alla pax romana, iniziò a registrare un progressivo declino e di conseguenza anche le relazioni diplomatiche e i traffici commerciali subirono notevoli contraccolpi. Per una loro ripresa bisognerà attendere la fine del VI secolo, quando la Cina conobbe lo splendore del secondo impero e diede vita a una nuova pax sinica che inaugurò uno dei momenti più alti della storia dell’Asia Orientale, caratterizzato da una forte espansione territoriale, da una situazione economica florida e dal fiorire della cultura in ogni suo ambito. Grazie a un lungo periodo di pace, prosperità e stabilità sociale e politica la nuova era favorì l’espandersi dei commerci sia lungo le tradizionali rotte carovaniere e marittime verso Occidente, sia lungo nuovi itinerari. Chang’an (Pace Perpetua), capitale dell’impero per oltre dieci dinastie, oggi nota con il nome di Xi’an (Pace Occidentale) e capoluogo della provincia dello Shaanxi, è stata da sempre considerata il punto ideale di arrivo e di partenza di centinaia di migliaia di stranieri provenienti prevalentemente dall’India e dal Medio e Vicino Oriente, ma anche dalla Corea, dal Giappone, dalle isole del Sudest Asiatico e, in minima parte, dall’Europa. Nell’VIII secolo la sua popolazione sfiorò il milione di abitanti, una cifra enorme per l’epoca, e coloro che venivano per risiedervi più o meno stabilmente da oltre i confini dell’impero assommavano a circa centomila persone.
La presenza di tanti stranieri, portatori non solo di mercanzie e oggetti rari, ma anche di forme di pensiero, credi religiosi, conoscenze tecniche, usanze e stili di vita diversi ebbe un profondo impatto sulla società cinese contribuendo a renderla più dinamica e cosmopolita. In seguito, dopo che i mongoli ebbero conquistato gran parte dell’Asia e inaugurato un periodo di relativa stabilità (pax mongolica), caratterizzato da condizioni di sicurezza all’interno di un impero che nel momento della sua massima espansione arrivò a comprendere la maggior parte dei territori dall’Asia Orientale all’Europa centrale (33 milioni di km2 nel 1279), nuove rotte commerciali furono aperte e i traffici si svilupparono come mai era avvenuto in precedenza. Fu allora che arrivarono alla corte imperiale cinese i primi francescani, personalità come l’italiano Giovanni da Pian del Carpine (ca. 1182-1252), autore della Historia Mongalorum, uno straordinario resoconto degli usi e costumi dei mongoli, e il fiammingo Guglielmo di Rubruck (ca. 1220-1293), autore del primo trattato scientifico sull’Asia Centrale, l’Itinerarium fratis Willielmi de Rubruquis de ordine fratrum Minorum, Galli, Anno gratia 1253 ad partes Orientales. E fu proprio in quel periodo che il veneziano Marco Polo (1254-1324), accompagnato dal padre e dallo zio, compì il suo epico viaggio verso Oriente, raggiungendo la Cina. La descrizione dell’Asia riportata nel Milione è stata per secoli un’inesauribile fonte d’ispirazione che ha contribuito a migliorare le conoscenze di mondi e popoli poco noti in Occidente e a stimolare la ricerca di terre ignote (Cristoforo Colombo la studiò a fondo e per tutta la vita fu profondamente convinto che le terre da lui raggiunte nel suo viaggio alle Americhe altro non fossero che le Indie e il Catai). Vennero compilate nuove mappe tenendo conto di quanto gli esploratori andavano scoprendo nel corso dei loro viaggi; tra di esse rivestono particolare importanza il planisfero di Fra’ Mauro, che rappresenta tutte le terre scoperte fino alla metà del XV secolo, e quelle dei gesuiti, i grandi esperti nell’arte cartografica, come dimostrano le raffigurazioni del mondo prodotte dal Matteo Ricci (1552-1610), Giulio Aleni (1582-1649) e Ferdinand Verbiest (1623-1688).
Non deve quindi sorprendere se la Cina oggi è divenuta promotrice di un progetto strategico di grande respiro che si rifà, non solo metaforicamente, alla Via della Seta, volto a favorire la cooperazione e i collegamenti tra i paesi dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa. I paesi coinvolti sono 65 e rappresentano circa il 70% della popolazione mondiale e il 55% del PIL globale, e possiedono il 75% delle riserve energetiche conosciute. Secondo le proiezioni degli esperti, se il progetto sarà portato a compimento il commercio cinese del prossimo decennio lieviterà di almeno 2500 miliardi di dollari l’anno. Per la sua realizzazione il governo di Pechino ha promosso riforme strutturali imponenti del proprio apparato economico, finanziario e burocratico, ha dato vita a nuovi organismi finanziari, primi fra tutti la Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca di sviluppo multilaterale alternativa alla World Bank alla cui gestione partecipano 56 nazioni, Italia inclusa, e il Fondo per la Via della Seta, la cui mission è finanziare progetti di infrastrutture, oleodotti, aeroporti, porti, ferrovie, autostrade e quant’altro possa servire a creare sviluppo e benessere nei paesi che si trovano lungo le molteplici direttrici delle nuove Vie della Seta. Centinaia di miliardi di dollari sono già stati stanziati e sono stati concretizzati i primi progetti. L’investimento complessivo previsto sfiora i 4000 miliardi di dollari; per dare un’idea dell’ordine di grandezza di questo intervento si pensi che il Piano Marshall, avviato dagli Stati Uniti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, attualizzato a oggi varrebbe 130 miliardi di dollari.
L’iniziativa cinese tende a considerare l’Asia e l’Europa come uno spazio unitario da sviluppare e consolidare e si muove in direzione opposta ai trattati commerciali Trans Pacific Partnership (TPP) e Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) promossi dagli Stati Uniti, che si basano invece sull’intento di limitare le relazioni dirette tra i due continenti, asiatico ed europeo, e di rafforzare la posizione statunitense, facendo dell’America il mediatore privilegiato nelle relazioni internazionali. I progetti avviati o in corso di elaborazione, fortemente voluti dalla nuova leadership, sono destinati a cambiare radicalmente gli assetti geopolitici e geoeconomici del pianeta. Il progetto Yidai yilu “Una cintura e una via” (“One Belt, One Road”, da cui l’acronimo OBOR) è stato presentato ufficialmente dal presidente Xi Jinping, che lo ha illustrato in due occasioni: il primo discorso, che ha come orizzonte simbolico la direttrice terrestre e che è stato sintetizzato come progetto di una “Cintura economica della Via della Seta”, è stato pronunciato nel settembre 2013 all’Università Nazarbayev di Astana, capitale del Kazakistan, per secoli passaggio obbligato di mercanti e viaggiatori. Il secondo discorso, che ha illustrato la “Via della Seta marittima del XXI secolo”, è stato rivolto il mese successivo al Parlamento indonesiano a Giacarta, l’antica Batavia, storica base strategica della Compagnia delle Indie Orientali, il mitico punto di arrivo e di partenza dei vascelli asiatici e occidentali e dei traffici delle più varie mercanzie: tè, cannella, pepe, zenzero, chiodi di garofano, noce moscata (la cosiddetta Via delle Spezie), incenso, pietre preziose, legname pregiato, manufatti in legno, metallo o ceramica, tessuti di seta o cotone, e tanto altro ancora.
Grazie ai moderni mezzi di comunicazione e ai processi di globalizzazione in atto, oggi il trasferimento dei saperi avviene in tempo reale; è difficile dunque prevedere quali saranno gli effetti che il progetto cinese sulla nuova Via della Seta produrrà non solo sul piano dei commerci e delle relazioni diplomatiche e politiche tra gli stati, ma anche sul piano del progresso e delle conoscenze reciproche, il cui miglioramento è essenziale per realizzare un mondo migliore, rispettoso delle differenze e, di conseguenza, più tollerante e pacifico.
Maurizio Scarpari
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)